«Chiedo scusa, ma mi sembra che il PDQ sia nei guai» intervenne Rombo, agitando una corda verso un punto della bolla olografica: due navi waldahud convergevano verso la nave sonda, con i laser in piena attività.
Keith divise la sua attenzione tra il display olografico e il monitor della consolle che mostrava il procedere dell’inondazione.
«Aspetta» disse Rombo. «La Dakterth sta arrivando alle spalle delle due navi che hanno attaccato la PDQ. Dovrebbe riuscire a distogliere da lei un po’ di potenza di fuoco.»
«Come va l’evacuazione?» domandò Keith.
«Siamo nei tempi previsti» rispose Lianne.
«Ci sono perdite di acqua nello spazio?»
«No, la falla è soltanto interna.»
«Fino a che punto sono a prova d’acqua le porte interne?»
«Be’, quelle scorrevoli tra le stanze si chiudono ermeticamente, ma non sono molto robuste» disse Lianne. «Dopo tutto, quei pannelli sono progettati in modo che basti un calcio per farli uscire dalle guide, per essere usati come uscite di emergenza in caso di incendio. Il peso dell’acqua li farebbe saltare in un attimo.»
«Qual è stato il genio che ha avuto questa idea?» domandò Thor.
«Credo che abbia collaborato anche al progetto del Titanic» borbottò Keith.
La nave traballò di nuovo, ondeggiando avanti e indietro. Nel display olografico si vide un pezzo cilindrico del disco centrale della Starplex, alto quanto dieci ponti, allontanarsi roteando nella notte. «Gawst ha tranciato il generatore numero 2» fece rapporto Lianne. «Avevo fatto evacuare quella zona del toroide ingegneria non appena il laser aveva cominciato a scavare, quindi non ci sono perdite. Però se riesce a fare altrettanto con un altro generatore, la nave non potrà più entrare nell’iperspazio, neanche allontanandosi a sufficienza dalla stella.»
Un’esplosione di luce attirò l’attenzione di Keith. La Dakterth aveva reciso il bozzolo-motore da una delle navi waldahud che avevano attaccato la PDQ. Il bozzolo si allontanò roteando. Sembrò sul punto di scontrarsi contro il nucleo cilindrico staccato dalla Starplex, ma era soltanto un’illusione indotta dalla prospettiva.
«E se scaricassimo l’acqua nello spazio?» propose Rombo.
«Per farlo dovremmo scavare noi stessi un buco nel ponte oceano» disse Lianne.
«In quale punto sarebbe più facile farlo?» domandò Keith.
Lianne consultò il progetto della nave. «La parete posteriore del molo d’attracco 16. Dietro c’è il toroide ingegneria, ovviamente, ma in quel punto il toroide contiene una stazione di filtraggio per il ponte oceano. In altre parole è pieno d’acqua, quindi basta scavare un buco nella parete del molo per riversarvi l’acqua.»
Keith rifletté per qualche secondo, poi capì. «D’accordo» disse. «Mandate immediatamente al molo 16 qualcuno con un laser geologico.» Si girò verso Rombo. «So che gli ib hanno bisogno della gravità, ma che succederebbe se togliessimo la gravità artificiale e mettessimo la nave in rotazione su se stessa?»
«Forza centrifuga?» disse Lianne. «La gente dovrebbe camminare sulle pareti.»
«Già. E allora?»
«Be’, i ponti sono a forma di croce, quindi l’apparente forza di gravità aumenterebbe spostandosi verso l’esterno del braccio.»
«Però impedirebbe all’acqua di scendere lungo il cilindro centrale» disse Keith. «Invece si schiaccerebbe contro le pareti più esterne del ponte oceano. Thor, ce la fai a mettere la nave in rotazione con i propulsori Acs?»
«Certo che ce la faccio.»
Keith guardò Rombo. «Di quanta gravità hanno bisogno gli ib per far funzionare il sistema circolatorio?»
Rombo sollevò le sue corde. «Secondo i dati sperimentali dovrebbe bastare un ottavo di G.»
«Sotto il ponte 55» intervenne Lianne «anche alle estremità dei bracci non ci sarebbe gravità apparente a sufficienza, a nessun ragionevole ritmo di rotazione.»
«Però dovremmo far evacuare gli ib soltanto da quindici ponti, anziché da quaranta» fece notare Keith. «Lianne, informa tutti di ciò che intendiamo fare. Thor, quando non sarà più rimasto nessun ib sotto il ponte 55 comincia a far ruotare la nave. E quando avrà preso velocità, togli la gravità artificiale.»
«Agli ordini.»
«È probabile che la gente non occuperà le stanze alle estremità dei bracci, a causa delle finestre» disse Lianne.
«Perché?» s’informò Keith. «Sono trasparenti, ma sono anche fatte di materiale composito al carbonio: non si romperanno se qualcuno ci camminerà sopra.»
«Certo che no» confermò Lianne. «Ma quelle finestre hanno un’angolazione di 45 gradi, perché quello è l’angolo con cui sono tagliati i moduli abitativi. Sarà difficile restarvi in piedi, quando la gravità artificiale le farà diventare pavimenti in forte pendenza.»
Keith annuì. «Giusto. Trasmettilo come consiglio.»
«Ci penso io.»
Parlò la testa olografica di Lunga Bottiglia, che pilotava la Rum Runner. «In acque inquinate siamo. Surriscaldando si stanno i motori.»
Keith rivolse all’ologramma un cenno di assenso. «Fai quello che puoi. Se necessario allontanati da noi, forse nessuno vi seguirà.»
La Starplex vibrò ancora una volta. «Gawst ha cominciato a scavare il disco centrale sotto il generatore numero 3» annunciò Rombo. «E un’altra delle sue navi sta scavando il disco sull’altra faccia, all’altezza del generatore numero 1.»
«Inizia la rotazione, Thor.»
L’ologramma del cielo stellato cominciò a roteare. La nave ebbe uno scossone. «Abbiamo colto Gawst di sorpresa» disse Thor. «I suoi laser vagano sull’intera superficie del disco centrale.»
Si fece sentire Lianne: «Jessica Fong è in posizione nel molo d’attracco 16, Keith.»
«Fammela vedere.»
Sull’ologramma del cielo stellato, che ora ruotava a sconcertante velocità, comparve una scena incorniciata: l’interno del molo d’attracco, dove una donna in tuta spaziale fluttuava a mezz’aria. Con un cavo era agganciata alla parete posteriore, quella che confinava con il toroide ingegneria, e il cavo era mantenuto teso dalla rotazione della nave. La stessa rotazione spingeva in fuori la donna, verso il centro del boccaporto incurvato. Il pavimento del molo, segnato dalle strisce che indicavano le zone di atterraggio, si trovava a più di una decina di metri sotto i suoi piedi, mentre il soffitto, coperto di pannelli luminosi e alloggiamenti per gli argani, si trovava a una decina di metri sopra la sua testa.
«Canale aperto» disse Keith. Poi: «Okay, Jessica. Oltre la parete posteriore del molo, nel toro ingegneria, c’è una stazione di filtraggio del ponte oceano, piena d’acqua. Dall’altra parte la stazione si apre sull’oceano. Tu dovrai scavare un bel buco nella parete posteriore del molo. Attenta, però: l’acqua uscirà con la forza di un maglio.»
«Capisco» disse Jessica. Portò le mani alla vita e lasciò andare un altro po’ di cavo. Keith la guardò col fiato sospeso mentre si muoveva nell’aria lungo il molo. Non sprecava un attimo: a ogni istante si vedevano comparire altri metri di cavo. Alla fine la donna raggiunse la parte opposta del molo e sbatté contro la superficie curva del boccaporto che dava sullo spazio. Per un terribile momento, Keith pensò che fosse rimasta priva di conoscenza a causa dell’impatto, invece si riprese quasi subito e si diede da fare per mettere in posizione il massiccio laser geologico. Faceva fatica a tenere immobile l’unità. Quando infine sparò, il primo colpo attraversò il suo stesso cavo tagliandolo proprio nel mezzo: quindici metri di filo di nylon le precipitarono addosso, mentre gli altri quindici sferzarono l’aria ben lontano dalla sua testa, simili a un magro serpente giallo. Adesso era inchiodata al centro del portello spaziale a causa della rotazione della nave.