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Il secondo colpo di Fong fu altrettanto disastroso, dal momento che centrò una scatola di collegamento del sistema d’illuminazione del molo. L’intera scena fu avvolta dalle tenebre.

«Jessica!»

«Sono sempre qui, Keith. Dio mio, quanto sono goffa.»

Nella cornice non si distingueva altro che buio… buio, e poi uno sfrigolio color rubino, quando il laser colpì la parete posteriore. Keith guardò il metallo illuminarsi, ammorbidirsi, incresparsi…

E poi…

Il rumore scrosciante dell’acqua, come quello di una pompa antincendio ad alta pressione. Jessica continuò ad azionare il laser, aprendo sulla parete un gigantesco squarcio di forma quadrata: un buco qui, uno spostamento di un centimetro, un altro buco, uno spostamento, e così via, senza interruzione.

Si accesero le luci di emergenza, che immersero l’hangar in una penombra rossastra. L’acqua marina erompeva dalla parete. Il quadrato di metallo della paratia venne piegato, poi strappato del tutto e volò libero nel molo sotto la spinta del geyser d’acqua che lo seguiva.

Keith si rannicchiò su stesso. Sembrava quasi che il pezzo di paratia stesse per schiacciare Jessica, che già era stata colpita con violenza da alcuni schizzi d’acqua. Anche lei, però, l’aveva visto arrivare. Alle spalle della donna un’esplosione di fiamme bruciacchiò la parete. Jessica era stata abbastanza previdente da indossare una tuta dotata di razzi e proprio in quel momento, appena in tempo, li azionò per spararsi verso l’alto. Il molo si stava riempiendo d’acqua: il fondo era adesso la parete del boccaporto e l’acqua saliva verso l’interno della nave. Ben presto Jessica si ritrovò schiacciata contro il boccaporto.

Quando il molo fu pieno del tutto, Keith le parlò ancora. «Benissimo. Adesso girati e apri un buco di dieci centimetri sul portello. Tienici il laser appoggiato, se non vuoi bollire in tutta quell’acqua.»

«Seguirò il consiglio» ribatté lei, con la tuta spaziale diventata ora una tuta da sub. Si girò per fronteggiare il boccaporto e impugnò il cono di metallo grigio che costituiva il laser geologico come un martello pneumatico. Poi si sparò in mezzo ai piedi. Ben presto parte del boccaporto brillò di un colore rosso ciliegia, poi arrivò al calor bianco, poi…

La Starplex girava nella notte come una trottola, mentre la stella verde traeva bagliori dal suo scafo.

Le cinque navi waldahud superstiti si avvicinarono. Due di esse venivano da sopra, le altre tre dal basso e si dirigevano verso l’anello dei moli. Senza dubbio la grande nave ruotava troppo velocemente perché i piloti waldahud notassero il puntino incandescente al centro del portello del molo 16, un puntino che aumentò il suo splendore, s’infiammò e bruciò fino a spegnersi. Poi, all’improvviso…

L’acqua cominciò a sprizzare nello spazio, scagliata lontano dalla nave in rapida rotazione. Non appena colpì il vuoto si trasformò in vapore ma quando si accumulò abbastanza vapore da fornire la giusta pressione l’acqua si ricondensò in liquido: i granuli per la formazione delle gocce furono forniti dal plancton, dai cristalli di sale e dai detriti oceanici. Subito dopo, grazie al campo di materia oscura che schermava la luce della stella verde, l’acqua liquida diventò ghiaccio…

Milioni e milioni di schegge di ghiaccio furono scagliate lontano dalla Starplex ad alta velocità, spinte dalla forza esplosiva dell’acqua che continuava a uscire e dalla forza centrifuga della nave in rotazione. Come innumerevoli diamanti che, sullo sfondo notturno, luccicavano verdi nella luce della stella vicina…

La prima nave waldahud fu colpita da uno sbarramento di pezzi di ghiaccio e la sua stessa velocità si aggiunse a quella dei proiettili, creando tutte le condizioni per una vera collisione ad alta velocità. I primi cinque o sei frammenti furono deviati dagli schermi di forza della nave, schermi progettati per proteggere il vascello contro i rari impatti dei micrometeoriti nello spazio interstellare, non per affrontare una grandinata. Poi…

Le pallottole di ghiaccio affondarono nello scafo waldahud come zanne nella carne squarciando l’habitat ed espellendo l’aria, che si congelò e si aggiunse alla tempesta nello spazio.

Sul ponte, Keith gridò: «Adesso, Thor! Fai ballare la nave.»

Thor eseguì. Un nuovo fiotto di pezzi di ghiaccio venne espulso a una diversa angolazione e si scontrò con una seconda nave waldahud, facendola a pezzi. Poi una terza nave esplose, un fiore silenzioso sullo sfondo oscuro, quando le pallottole ghiacciate bucarono il serbatoio che conteneva il carburante per le manovre atmosferiche.

Thor fece ondeggiare la nave nella direzione opposta, scagliando le pallottole di ghiaccio verso la quarta nave superstite. A quel punto, però, il pilota aveva escogitato una controstrategia: ruotò la sua nave in modo che il cono di scarico del motore a fusione puntasse verso la Starplex, poi azionò il motore principale facendo fondere il ghiaccio in gocce d’acqua, che si misero a bollire e divennero vapore prima di colpire la nave. Il pilota di una delle navi rimanenti, però, non aveva intuito la manovra, o forse era troppo occupato a salvarsi la pelle dirigendosi di corsa verso la scorciatoia: scelse una rotta che lo portò proprio nel cono di scarico dell’altra nave, dove fu avvolto da fiamme al calor bianco che fecero esplodere il vascello. Rimanevano soltanto due navi, una delle quali era quella di Gawst.

L’anello in espansione di pallottole d’acqua deviò dalla Starplex la maggior parte dei rottami della nave, ma l’equipaggio del vascello waldahud che aveva tentato il trucco del cono di scarico non fu altrettanto fortunato. Un grande e contorto pezzo di scafo si scontrò con la loro nave. L’impatto la fece roteare lontano, priva di controllo… proprio verso il campo di materia oscura. Il pilota sembrò sul punto di riprendere il controllo quando fu a qualche milione di chilometri dalla più vicina delle grandi sfere gassose, ma a quel punto era già stato catturato dal suo campo gravitazionale. Ci sarebbero volute ore perché la traiettoria giungesse alla sua mortale conclusione, ma la nave era condannata a sfracellarsi sul matos… e, a quella velocità, anche il morbido impatto caratteristico degli scontri tra materia normale e materia oscura sarebbe stato sufficiente per polverizzare il vascello.

La nave di Gawst era ancora indenne, essendosi ancorata con un raggio trattore sotto il disco centrale. Thor non aveva alcun modo di dirigere lì il flusso di pallottole ghiacciate. Comunque, la Starplex avrebbe potuto continuare a ruotare finché la nave di Gawst non avesse terminato il carburante, se necessario…

“Oh-oh.” Così Phantom tradusse il lampeggiare di luci sulla ragnatela di Rombo.

Thor alzò gli occhi. «Maledizione!» esclamò.

Dal bordo inferiore della stella verde erano spuntati uno… due… “cinque” altri caccia waldahud. Gawst non era stato così sciocco da concentrare tutte le sue forze nel primo attacco. Uno dei nuovi arrivati era un gigante, almeno dieci volte più grande delle sonde.

Le cinque navi pilotate dai delfini della Starplex si erano disperse per evitare lo sbarramento di ghiaccio. Adesso però stavano ritornando in formazione e si dirigevano verso la forza d’attacco in avvicinamento, decisi a raggiungerla prima che questa potesse impegnare la nave-madre.

Poi…

«Che diavolo succede?» esclamò Keith, aggrappandosi ai braccioli.

«Cristo!» disse Thor. «Cri-i-i-isto!»

Il vasto campo di materia oscura aveva cominciato a muoversi, sulle prime lentamente ma ora con velocità crescente. Sembrò allungare tozzi tentacoli rotanti, verdastri dalla parte che dava sulla stella verde, neri come l’inchiostro dall’altra. I tentacoli crebbero fino a estendersi per milioni di chilometri, tubi di ghiaia con sfere grandi quanto pianeti distribuite sulla loro lunghezza come nocche di dita eteree.

Le sonde della Starplex deviarono sopra o sotto i tentacoli. I piloti waldahud si trovarono con le navi trascinate in rotte irregolari, incapaci di compensare l’attrazione gravitazionale dei tentacoli. Nell’ologramma sferico, Keith vide le navi attaccanti vagare su percorsi erratici, da ubriachi, spinte fuori rotta da centinaia di masse gioviane nei nastri di materia oscura.