Keith si rivolse a Thor. «Dove siamo diretti, adesso?»
Thor consultò gli strumenti. «Siamo ancora su una versione modificata della rotta parabolica che abbiamo usato per sfruttare la gravità della stella verde. Ovviamente, però, la traiettoria si è modificata quando abbiamo cessato di avvertire l’influsso gravitazionale della stella. Di conseguenza…»
«Magnor» lo interruppe Jag. «Ho bisogno che la nave venga ruotata secondo lo schema di Gaf Wayfarer: ci manca una delle due serie di iperscopi e a me serve una scansione iperspaziale parallattica dell’intero cielo.»
Thor azionò alcuni comandi e la bolla olografica che circondava il ponte iniziò una complicata serie di rotazioni. Poiché però lo spazio era vuoto, a parte le scarse macchioline bianche, le oscillazioni e le giravolte non causarono nessun senso di mal di mare. Il pilota guardò Keith. «A proposito del ritorno a casa: l’uscita della scorciatoia alle nostre spalle appare, vista nell’iperspazio, identica a tutte le altre che conosciamo, completa di meridiano zero. Nell’ipotesi che questi affari funzionino sempre nello stesso modo anche a milioni di anni luce di distanza, non appena Lianne avrà tutti i sistemi elettrici in funzione, dovrei riuscire a portare la nave a qualunque scorciatoia attiva mi venga indicata.»
«Bene» commentò Keith. «Lianne, quanto gravi sono i danni della battaglia?»
«Tutti i ponti dal 54 al 70 sono inondati» rispose lei da un ologramma sopra la testa di Keith. «E tutte le attrezzature dal ponte 41 in giù hanno subito qualche danno a causa dell’acqua. Inoltre, tutti i ponti sotto il disco centrale hanno assorbito una massiccia dose di radiazioni quando abbiamo costeggiato la stella verde. Suggerisco di dichiarare inabitabile l’intera metà inferiore.» Dopo un momento di silenzio, Lianne proseguì. «Quelli della Starplex 2 se la prenderanno con noi: abbiamo reso inservibili per due volte di seguito la sezione inferiore dei moduli abitativi.»
«Gli schermi come sono messi?»
«Gli emettitori di campo di forza si sono tutti surriscaldati, ma ho già messo al lavoro gli ingegneri per ripararli e uno schermo minimo sarà disponibile entro un’ora. In un certo senso è un bene che siamo finiti nello spazio intergalattico: qua fuori la probabilità di essere colpiti da un micrometeorite è minima.»
«E i danni provocati da Gawst quando ha staccato il generatore numero 2?»
«Le mie squadre hanno già messo in posizione paratie temporanee intorno al buco» rispose Lianne. «Dovrebbero durare fino al nostro arrivo in un cantiere.»
«Gli altri generatori?»
«Il numero 3 ha tutti i collegamenti elettrici danneggiati. C’è una squadra al lavoro per poterlo utilizzare almeno come riserva, ma non so se abbiamo in magazzino abbastanza cavi a fibre ottiche a banda larga per completare il lavoro. Forse saremo costretti a fabbricarne un po’ di nuovi. In ogni caso, finché il generatore non tornerà operativo non potremo fare uso dei motori principali. Un’altra nave waldahud aveva cominciato a colpire anche il generatore numero 1: è la sua mancanza che ha causato il black out energetico. Dovremmo comunque essere in grado di riportarlo in piena efficienza.»
«I moli di attracco?»
«Il molo 16 è pieno di acqua ghiacciata» rispose Lianne. «Inoltre, tre delle cinque sonde coinvolte nella battaglia hanno bisogno di riparazioni.»
«Possiamo almeno tenere lo spazio?» domandò Keith.
«Mi piacerebbe poter mettere in calendario almeno tre settimane ai cantieri per riparare i danni, ma a breve termine non corriamo pericoli.»
Keith annuì. «In tal caso, Thor, non appena Lianne annuncerà che siamo pronti per azionare i motori, prepara una rotta che attraversi la scorciatoia facendoci sbucare esattamente dove siamo partiti, vicino alla stella verde.»
Le sopracciglia color arancione di Thor si inarcarono. «So che vuoi soccorrere la Rum Runner, Keith, ma se la nave si è salvata, Lunga Bottiglia deve averla già portata il più lontano possibile da lì.»
«Sì, è probabile. Ma non è per questo che voglio tornare là.» Lanciò un’occhiata a Rombo. «Qualche minuto fa hai detto una cosa giusta, amico a rotelle: dobbiamo tenere presenti le nostre priorità. E lo scopo per cui la Starplex è stata costruita è, in primo luogo, quello di prendere contatto con altre forme di vita. Non permetterò che il Commonwealth diventi come gli Sbattiporta, che tagli ogni comunicazione a causa di un malinteso. Voglio scambiare altre due chiacchiere con i matos.»
«Hanno tentato di ucciderci» fece notare Thor.
Keith alzò una mano. «Non sarò così sciocco da dare loro una seconda possibilità di buttarci nella stella verde. Riesci a tracciare una rotta che ci porti fuori dalla scorciatoia con la giusta direzione, che possa nuovamente sfruttare l’effetto-fionda della stella e che infine ci riporti alla scorciatoia lungo un vettore che ci conduca all’uscita Flatlandia 368A?»
Dopo averci pensato per un po’, Thor rispose: «Sì, è possibile. Ma perché F368A e non Nuova Pechino?»
«Per quel che ne sappiamo, non è detto che l’attacco alla Starplex sia stato un evento isolato: Nuova Pechino potrebbe essere assediata. Preferisco una destinazione neutrale.» Una pausa. «Veniamo a noi. Con la rotta che ho descritto, i matos riusciranno ad afferrarci?»
Thor scosse la testa. «Considerata la velocità che avremo, no. A meno che non siano tutti là in attesa, all’uscita della scorciatoia.»
«Rombo» chiamò Keith. «Non appena Lianne avrà fatto riparare i sistemi relativi, manda una sonda all’uscita della stella verde. Aggiungici uno scanner iperspaziale, in modo che possa localizzare i matos dalle infossature che causano allo spaziotempo. Falle fare anche un’analisi radio ad ampio spettro, per controllare che non siano arrivati rinforzi waldahud. E infine…» Keith tentò di bloccare il tremito nella voce «falle controllare se capta il codice di radarfaro della Rum Runner.»
«Ci vorranno almeno trenta minuti perché il lancio sia possibile» comunicò Lianne.
Keith si morse un labbro e pensò a Rissa. Se lei non c’era più, i miliardi di anni che gli restavano da vivere non sarebbero bastati ad attutire la perdita. Osservò il flebile biancore delle luci galattiche che si stagliavano contro l’abisso. Non sapeva nemmeno in quale direzione guardare, dove concentrare i suoi pensieri. Si sentiva incredibilmente piccolo, insignificante e solo. Nella bolla olografica non c’era nulla su cui fissare lo sguardo, niente di netto, niente di ben definito. Soltanto l’abisso… un vuoto che schiacciava l’ego.
Proprio in quel momento, da un punto alla sua sinistra venne un rumore strano, simile al colpo di tosse di un cane. Phantom la tradusse come “espressione di assoluto stupore”. Keith si girò verso Jag e rimase a bocca aperta: non aveva mai visto la pelliccia di Jag in quelle condizioni. «Che cosa succede?»
«So dove siamo» rispose Jag.
Keith lo fissò. «E allora?»
«Lo sai, vero, che la Via Lattea e Andromeda hanno una quarantina di galassie più piccole legate a loro dalla forza gravitazionale?» domandò Jag.
«Il gruppo locale» ribatté Keith, seccato.
«Appunto» disse Jag. «Ebbene, ho cominciato cercando di localizzare alcune delle caratteristiche distintive del gruppo locale, come la stella superluminosa S Doradus nella Grande Nube di Magellano, ma non ho avuto successo. Così ho consultato il catalogo delle pulsar extragalattiche di cui era nota la distanza, che ovviamente corrisponde all’età, e ho usato per orientarmi le loro “firme” fatte di impulsi radio.»
«Sì, ho capito» disse Keith. «E allora?»
«Attualmente la galassia più vicina a noi è questa» Jag indicò una chiazza sfocata che nell’ologramma si trovava sotto i suoi piedi. «Si trova a circa 500 mila anni luce da noi. L’ho identificata come CGC 1008: ha diversi attributi unici.»
«Va bene» disse seccamente Keith. «Siamo a mezzo milioni di anni luce da CGC 1008. E adesso una concessione a noi non-astrofisici: quanto lontano si trova CGC 1008 dalla Via Lattea?»