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Sei miliardi di anni luce.

Keith ricordò ciò che aveva letto su Borman, Lovell e Anders, gli astronauti dell’Apollo 8 che avevano orbitato intorno alla Luna durante il Natale del 1968, leggendo passi della Genesi ai popoli della Terra. Erano stati i primi esseri umani a spingersi così lontano dal proprio pianeta da poterlo circondare con le dita di una mano. Forse, più di ogni altro evento, era stata quella visuale, quella prospettiva, quell’immagine, a segnare la fine dell’infanzia per l’umanità: la comprensione che il mondo non era altro che una pallina che fluttuava nel buio.

Adesso, pensò Keith, questa immagine avrebbe forse segnato… “forse”… l’inizio della mezza età: un fotogramma immobile, che sarebbe diventato il frontespizio per il secondo volume della biografia dell’umanità. Non era soltanto la Terra a essere così piccola, così fragile e insignificante. Keith sollevò una mano a coppa verso l’ologramma e raccolse tra le dita quell’isola di stelle. Rimase a lungo seduto in silenzio, poi abbassò la mano e permise ai suoi occhi di vagare in quella schiacciante vacuità buia che si estendeva in ogni direzione. Posò casualmente lo sguardo su Jag, che stava facendo lo stesso identico gesto compiuto da Keith pochi istanti prima, cioè raccoglieva la Via Lattea in una mano tesa a coppa.

«Scusa, Keith» esordì Lianne, pronunciando le prime parole dopo parecchi minuti. La sua voce era dolce, rispettosa, simile ai movimenti di chi cammina in una cattedrale. «Gli impianti elettrici sono in funzione. Possiamo lanciare quella sonda quando vuoi.»

Keith fece un lento cenno di assenso. «Grazie» disse con voce meditabonda. Guardò un’ultima volta la giovane Via Lattea che galleggiava nelle tenebre, quindi disse in un sussurro: «Rombo, andiamo a vedere che cosa sta succedendo a casa.»

20

«Sonda lanciata» disse Rombo.

Nella bolla olografica Keith vide il cilindro argenteo e verde allontanarsi dalla nave, illuminato da un raggio cercatraccia proveniente dalla Starplex. Sembrava fuori posto, tra le chiazze indistinte delle galassie lontane. Ben presto la sonda toccò la scorciatoia e scomparve.

«Il percorso programmato dovrebbe richiedere soltanto cinque minuti» ricordò Rombo.

Keith annuì, cercando di nascondere l’impazienza. Non sapeva che cosa desiderare: se un rapporto sulla localizzazione del radiofaro di Rissa (il che avrebbe significato che, perlomeno, la Rum Runner era intatta) o un rapporto di mancata localizzazione (il che avrebbe significato che “forse” la sonda aveva attraversato la scorciatoia e si trovava ormai al sicuro).

Il tempo passava, e il nervosismo di Keith cresceva di pari passo. È vero che una pentola osservata non bolle mai, però… Alzò lo sguardo sulla terna di orologi che fluttuavano nel nulla sopra l’invisibile porta di prua. «Quanto tempo è passato?»

«Sette minuti» rispose Rombo.

«La sonda non dovrebbe essere già tornata?»

Sulla rete dell’ib le luci si mossero all’insù.

«Allora dove diavolo…»

«Impulso tachionico!» annunciò Rombo. «Arriva.»

«Non aspettare che abbia attraccato» ordinò Keith. «Scarica i dati via radio e mandali ai monitor.»

«Lo farò con piacere» disse Rombo. «Eccoli.»

La scansione della sonda era a bassa risoluzione e si limitava a immagini video non olografiche. Una parte della bolla che avvolgeva il ponte venne contornata di azzurro, e in essa cominciarono ad apparire le piatte immagini registrate dalla sonda.

«Che cosa…?» esclamò Keith. «Rombo, hai usato l’angolo di approccio corretto?»

«Sì, con l’approssimazione di un decimo di grado.»

Jag lanciò un’imprecazione in waldahudar. Come regola generale Phantom non traduceva le oscenità, ma Keith capì ugualmente perché anche lui aveva voglia di sfogarsi imprecando. «Non è da qui che siamo venuti!» esclamò.

La pelliccia di Jag era immobile. «No» disse. L’immagine sullo schermo mostrava stelle rosse fittamente raggruppate. «Come prima ipotesi, direi che questo luogo non si trova nemmeno nella Via Lattea. Sembra l’interno di un ammasso globulare: potrebbe essere uno dei tanti associati con CGC 1008.»

«Il che significa…»

«Il che significa» ripeté Thor alzando le mani dalla consolle del Timone «che non possiamo ritornare a casa. Non abbiamo l’indirizzo giusto.»

«A quanto pare, il sistema di coordinate latitudine/longitudine non funziona allo stesso modo su distanze grandi come queste» notò Lianne.

La voce di Keith era esile. «Anche con gli iperpropulsori a piena potenza…»

Jag sbuffò. «Anche con gli iperpropulsori a piena potenza, percorrere sei miliardi di anni luce richiederebbe 270 milioni di anni.»

«Va bene» disse Keith. «Continueremo a mandare sonde secondo uno schema di ricerca. Rombo, comincia col bucare la sfera tachionica intorno alla scorciatoia al polo nord, poi prosegui verso il basso spostandoti ogni volta di cinque gradi di latitudine e cinque gradi di longitudine. Se siamo fortunati, forse vedremo qualcosa di conosciuto nelle riprese che riporteranno con sé.»

Rombo cominciò a lanciare sonde, ma ben presto fu evidente che tutte finivano nell’ammasso globulare oppure in una regione di spazio nella quale il cielo era dominato da una nebulosa ad anello.

«Dal punto di vista di questa scorciatoia» disse Rombo «esistono soltanto altre due uscite attive. È stata una fortuna che la prima sonda abbia fatto ritorno… aveva soltanto una possibilità su due di farcela.»

«La scelta qui è un po’ scarsa, eh?» commentò Keith. «Alla periferia di un buco nero nello spazio intergalattico, nel bel mezzo di un ammasso globulare (probabilmente pieno di stelle vecchie e senza vita), oppure nei dintorni di una nebulosa ad anello.»

«No» disse Jag.

«No cosa?»

«No, non è possibile che siamo limitati a queste sole scelte.»

Keith esalò un sospiro di sollievo. «Meno male. E perché?»

«Perché il mio patrono è la dea dei depositi alluvionali» affermò il waldahud. «Ed Ella non mi abbandonerebbe mai.»

Keith si sentì sprofondare. Riuscì a controllarsi appena in tempo, prima di pronunciare qualche cattiveria.

«Una via di ritorno “deve” esserci» insistette Jag. «Fin qui siamo arrivati, dunque dobbiamo anche essere in grado di tornare. Se soltanto…»

«Velocità!» strillò Lianne.

Keith la guardò.

«Velocità!» ripeté lei. «Siamo entrati nella scorciatoia viaggiando a una velocità elevatissima. Forse la velocità con la quale si imbocca il portale può dare accesso a un’altra famiglia di scorciatoie. In passato siamo sempre andati a velocità relativamente basse allo scopo di evitare impatti. Dopo tutto, quando si attraversa una scorciatoia lo si fa completamente alla cieca, senza mai sapere con certezza che cosa si troverà all’altro capo. Questa volta, invece, ci siamo fiondati dentro sfrecciando a una frazione significativa della velocità della luce. Forse in questo modo abbiamo avuto accesso a un altro livello di scorciatoie.»

Keith guardò Jag, il quale sollevò le quattro spalle. «È una spiegazione buona quanto qualunque altra.»

«Rombo, lancia un’altra sonda» ordinò Keith. «Ma questa volta mettila su una traiettoria allungata, che le permetta di accelerare fino alla velocità che avevamo noi quando siamo entrati, poi indirizzala secondo la latitudine e la longitudine corrispondenti al luogo da cui siamo venuti.»

«Lo farò con gioia trascendente» rispose l’ib.