Dopo un attimo di riflessione, Keith rispose: «Hai detto che vi abbiamo fatto del male, ma non era nostra intenzione. Diteci che cos’abbiamo fatto di sbagliato e non lo faremo più.»
Il ritardo era snervante. Infine: «Attaccarvi tra voi.»
«Siete stati turbati dalla battaglia?» domandò Keith.
«Sì.»
«Temevate che le esplosioni vi danneggiassero?»
«No.»
«Allora perché avete buttato quelle navi nella stella?»
«Paura.»
«Di che cosa?»
«Che le vostre azioni distruggessero… distruggessero… il punto che non è un punto.»
«La scorciatoia? Temevate che distruggessimo la scorciatoia?»
«Sì.»
«Nessuna esplosione potrebbe mai danneggiarla. Non è affatto fragile.»
«Non sapevamo.»
Jag abbaiò piano. «Chiedigli perché ci tengono tanto.»
Keith annuì. «Perché tenete tanto alla scorciatoia, comunque? La usate personalmente?»
«Usare? No. Non usare.»
«E allora perché?»
«Riprodursi.»
«È importante per le vostre pratiche riproduttive?»
«No, una delle nostre riproduzioni» disse la voce dall’altoparlante.
Era frustrante, e probabilmente la frustrazione era identica per Keith e per il matos. Occhio di Gatto apparteneva a una comunità i cui membri continuavano a chiacchierare tra loro da millenni. Conoscevano il contesto delle affermazioni altrui, la storia passata. Spiegare un pensiero nei dettagli non era normale, per loro. Forse, anzi, era un comportamento maleducato.
«Una delle vostre riproduzioni» ripeté Keith, speranzoso.
«Sì. Toccato il punto che non è un punto.»
“Oh, Dio mio.” «Intendi dire che uno dei vostri giovani è entrato nella scorciatoia?»
«Sì. Perduto.»
«Cristo!» esclamò Thor, girando la testa. «Ecco che cos’ha attivato questa scorciatoia: l’ha attraversata un cucciolo di matos!»
Keith si appoggiò allo schienale. «E se i nostri caccia avessero accidentalmente distrutto la scorciatoia, il vostro bambino non avrebbe più potuto ritrovare la strada di casa, giusto?»
«Abbondanza di giustezza. Quando siete arrivati, abbiamo pensato che foste venuti per riportare a casa la nostra riproduzione.»
«Non ce ne avete mai parlato.»
«È male chiedere.»
«Maleducazione matos» commentò Rissa, con le sopracciglia inarcate.
Keith allargò le braccia. «Non sappiamo niente del vostro piccolo. Quanto tempo fa è entrato nella scorciatoia?»
«Il tempo da quando siete arrivati, raddoppiato.»
Keith si girò a sinistra per guardare Jag. «Allora il piccolo non può trovarsi molto lontano dal punto di uscita. Esiste qualche modo per scoprire dove è sbucato?»
«Il piccolo deve essere emerso da un’uscita attiva» esordì Jag. «Come abbiamo scoperto sulla nostra pelle, però, esistono più uscite attive di quelle che immaginavamo… forse addirittura a miliardi, se si estendono allo spazio intergalattico e alle altre galassie. Inoltre, dal momento che le scorciatoie ruotano, sarebbe necessario conoscere con precisione l’istante in cui il piccolo l’ha attraversata. Senza questa informazione, anche conoscere con precisione l’angolo di approccio non servirebbe a nulla. Quella cosa può essere finita dovunque.»
«Però se riuscissimo a ritrovare il piccolo e a riportarlo a casa al sicuro» disse Keith «non soltanto compiremmo una buona azione, ma consolideremmo la nostra amicizia con i matos.» Si guardò intorno. «Qualcuno la pensa diversamente?» Tornò a parlare al microfono. «Il piccolo ha un nome? Una parola unica che lo identifichi?»
“Sì. È…” La voce di Phantom sostituì quella sintetizzata che proveniva dall’altoparlante: “Termine non tradotto”.
Keith agitò una mano verso gli occhi di Phantom. «Chiamalo… chiamalo Junior» disse.
“Registrato.”
Keith alzò lo sguardo da Rombo, che naturalmente non aveva difficoltà a vedere Keith anche se gli dava le spalle. «Rombo, che ne pensi?»
«Potrebbe essere una china molto ripida, che termina su un dirupo» disse. «Ovvero un buco nell’acqua. Ma, come hai fatto notare, stabilire relazioni amichevoli è lo scopo per cui la Starplex è nata. Secondo me dovremmo almeno provarci.»
«Forse dovremmo chiedere a uno di loro di accompagnarci» suggerì Lianne.
«Non esiste alcun modo per attraversare la scorciatoia insieme» replicò Thor, girandosi a guardarla. «Non dimenticare che anche la più piccola di quelle creature ha una massa pari a quella di Giove. E se non ha la possibilità di controllare con precisione il suo angolo di entrata, il matos potrebbe arrivare a un’uscita diversa. Risultato: ci sarebbero due matos dispersi anziché uno solo.»
Keith riattivò il microfono. «Cercheremo il vostro piccolo» disse. «Ora, per favore, chiamatelo in un modo che gli sia familiare. Noi lo registreremo e trasmetteremo la registrazione in tutti i luoghi in cui potrebbe trovarsi. Chiamatelo e ditegli di seguirci. Ditegli che non gli faremo del male e che ci limiteremo a guidarlo a casa.»
«Registrare?»
«Come i racconti storici: ripeteremo ciò che direte.»
«Va bene, comincio» disse la voce dall’altoparlante. Keith attese che il messaggio in arrivo si riversasse nella memoria di Phantom.
«Abbiamo sentito» disse Keith, quando Occhio di Gatto smise di trasmettere.
«Trovate il nostro piccolo» disse Occhio di Gatto. «Io… “parole non disponibili”.»
Gli esercizi di traduzione non avevano toccato quell’argomento, ma Keith comprendeva i legami di sangue… anzi, i legami “di materia”. E annuì.
22
Keith era nel suo ufficio, intento a esaminare le proposte per ritrovare il cucciolo matos. Era il primo del mese e l’ologramma di Rissa, quello che teneva sulla scrivania, era automaticamente cambiato: ora mostrava un’istantanea di Rissa in short e maglietta, scattata durante un’escursione al Grand Canyon. Il quadro di Emily Carr si era trasformato in una veduta del Lago Superiore dipinta da A.Y. Jackson.
“Jag Kandaro em-Pelsh è alla porta” annunciò Phantom.
Keith parlò senza alzare lo sguardo dal blocco-dati che stava leggendo. «Fallo entrare.»
Jag entrò e si accomodò su una sedia. Entrambe le coppie di braccia erano incrociate sul grosso torace. «Desidero andare a prendere il piccolo matos» abbaiò.
Keith si appoggiò allo schienale e guardò il waldahud. «Tu?»
Le placche dentali ticchettarono in segno di sfida. «Io.»
Keith lasciò andare lentamente il fiato, approfittando del tempo necessario per completare l’esalazione per raccogliere le idee. «Si tratta di una missione delicata.»
«E tu non ti fidi più di me» disse Jag. Mosse le spalle superiori. «Me ne rendo conto. Ma l’attacco alla Starplex non era stato autorizzato dalla regina Trath. E l’attacco a Tau Ceti di cui ha parlato Rissa è stato respinto. La faccenda è ormai conclusa… a meno che voi umani non desideriate prolungarla. Che cosa succederà, Lansing? È tutto finito o continueremo a combatterci? Io sono pronto ad agire come se…»
«Come se nulla fosse accaduto?»
«L’alternativa è la guerra. Io non la desidero, e credevo che neanche tu la volessi.»
«Tuttavia…»
I latrati di Jag si inasprirono. «La decisione spetta a te. Ti ho spontaneamente offerto una coesistenza pacifica. Se invece vuoi il sangue, come dite voi umani, allora rifiuto di darti soddisfazione. Comunque, per trovare il piccolo e riportarlo a casa sarà necessaria un’estrema abilità nel maneggiare la meccanica delle scorciatoie. Magnor è bravo in questo campo, ma io lo supero. Per la precisione, non c’è nessuno in tutto il Commonwealth che sia migliore di me. E tu sai che è vero. Se non lo fosse, non sarei stato assegnato a questa nave.»