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«Di Thor ci si può fidare» disse Keith, semplicemente.

I due occhi di destra del waldahud erano già puntati su Lansing e un attimo dopo anche i due di sinistra virarono su di lui. «La decisione spetta a te. Hai il mio rapporto.» Indicò con un gesto il blocco-dati che Keith teneva ancora in mano. «Ho suggerito di inviare una sonda a recuperare il piccolo. E a bordo di quella sonda ci sarei io.»

«Tutto ciò che vuoi» commentò Keith «è che il tuo popolo abbia accesso ai matos. Portando a casa il loro cucciolo ti guadagneresti la loro gratitudine.»

Jag mosse le spalle inferiori. «Mi dipingi peggiore di quello che sono, Lansing. In realtà i matos non sanno ancora che a bordo di questa nave ci sono un migliaio di entità distinte, figuriamoci se immaginano che qui ci sono rappresentanti di un quarto di sedici razze.»

Keith si prese qualche secondo per riflettere. Accidenti, essere messo con le spalle al muro era una cosa che detestava. Ma quel maledetto maia…, Jag aveva ragione. «D’accordo» disse. «Andrete tu e Lunga Bottiglia, se lui è d’accordo. La Rum Runner è in condizione di affrontare un’altra missione?»

«La dottoressa Cervantes e Lunga Bottiglia l’hanno fatta controllare a Grand Central» disse il waldahud. «Rombo ha confermato che è in condizioni di tenere lo spazio.»

Keith alzò gli occhi. “Comunicazione: da Keith a Thor.”

Sulla scrivania di Keith apparve il fluttuante ologramma della testa di Thorald Magnor. “Sì, capo?”

“Come siamo messi per un viaggio attraverso la scorciatoia?”

“Nessun problema” rispose Thor. “Adesso la stella verde è abbastanza lontana da consentire l’ingresso con qualunque angolo. Vuoi che programmi una rotta?”

Keith scosse il capo. “Non per l’intera astronave. Solamente per la Rum Runner e un’altra per una scialuppa singola. Devo tornare a Grand Central per incontrarmi con il Primo ministro Kenyatta.” Lanciò uno sguardo al waldahud. «Tu puoi dire quello che vuoi, Jag, ma questa la pagherete.»

Fu un viaggio da Guinness: il giro della galassia in venti scorciatoie, per un rapido controllo di tutti i punti di uscita attivi. La Rum Runner, con a bordo Jag e Lunga Bottiglia, si allontanò sfrecciando dai moli della Starplex e, dopo l’inevitabile e gioiosa esibizione di Lunga Bottiglia, si diresse alla scorciatoia.

Come sempre, il punto di uscita si dilatò quando la nave lo toccò. La discontinuità color porpora si mosse da prua a poppa, dopodiché la nave sfrecciò in un diverso settore di spazio. Quella prima uscita non offriva panorami spettacolari: stelle e nient’altro, ammassate un po’ meno densamente che dall’altra parte.

Jag era assorto sugli strumenti. Stava eseguendo una scansione iperspaziale in cerca di qualunque grande massa entro un raggio di un giorno luce dall’uscita. Trovare il piccolo matos sarebbe stato arduo. La materia oscura, per sua natura, era difficilissima da localizzare: era praticamente invisibile, e i segnali radio che emetteva erano molto deboli. Tuttavia, anche un cucciolo matos si portava dietro una massa di 1037 chili, che avrebbe prodotto nello spaziotempo locale un’infossatura percepibile nell’iperspazio.

«Niente?» domandò Lunga Bottiglia.

Jag mosse le spalle inferiori.

Lunga Bottiglia fece un salto mortale nella vasca e la Rum Runner sterzò per tornare alla scorciatoia.

«Ancora partiamo» disse il delfino. La nave sprofondò nel punto…

…e sbucò nei pressi di un elegante sistema stellare binario, con fasci di gas che fluivano dalla gigante rossa, schiacciata ai poli e rigonfia all’equatore, verso la piccola compagna azzurra.

Jag consultò gli strumenti. Niente. La Rum Runner fece un doppio giro della morte e piombò sulla scorciatoia dall’alto, immergendosi tra spruzzi di radiazioni Soderstrom. Lo spettacolo della coppia binaria fu rimpiazzato da un nuovo panorama stellato, con una grande nebulosa gialla e rosa che copriva metà del cielo, al centro della quale una pulsar alternava oscurità e lucentezza con un periodo di qualche secondo.

«Niente» disse Jag.

Lunga Bottiglia tornò a impennarsi e si tuffò sulla scorciatoia.

Un punto in espansione.

Un anello color porpora.

Costellazioni che non coincidevano.

Un altro settore di spazio.

Un settore dominato dall’ennesima stella verde, che si allontanava dalla scorciatoia. Lunga Bottiglia si precipitò a manovrare per evitarla.

La scansione richiese più tempo, perché la vicinanza della stella saturava lo scanner iperspaziale. Alla fine, tuttavia, Jag riuscì a escludere che il cucciolo matos si trovasse lì.

Lunga Bottiglia ruotò nel serbatoio e la Rum Runner si avvitò penetrando nella scorciatoia. Questa volta sbucarono dalla Prima, in prossimità del nucleo galattico: si trattava della scorciatoia iniziale, quella che si presumeva fosse stata attivata dagli stessi fabbricanti di scorciatoie. Dal cielo proveniva l’abbacinante luce di innumerevoli soli rossi fittamente ammassati. Lunga Bottiglia colpì con il muso un comando e gli scudi della nave si attivarono al livello massimo. Erano abbastanza vicini al cuore della galassia da distinguere il corrusco bordo violetto del disco di accrescimento intorno al buco nero centrale.

«Non qui» disse Jag.

Lunga Bottiglia manovrò per ritornare alla scorciatoia lungo una semplice linea retta. Non erano abbastanza vicini per essere catturati dalla gravità, ma era meglio non correre rischi.

Successivamente uscirono in un’altra regione di spazio apparentemente vuota, ma gli scanner iperspaziali indicarono a Jag la presenza di una ragguardevole massa nascosta.

«Qui niente anche?» domandò Lunga Bottiglia.

Jag scrollò le quattro spalle. «Fare un controllo non ci costa niente» commentò, cercando con la radio di bordo intorno alla banda dei 21 centimetri.

«Novantatré frequenze in uso» disse Jag. «È un’altra comunità di matos.»

Si trovavano a decine di migliaia di anni luce dai primi matos che avevano incontrato, ma, dopo tutto, la razza matos aveva un’età di miliardi di anni. Forse parlavano tutti la stessa lingua. Jag esaminò la cacofonia di segnali, scelse il gruppo di frequenze più usato e, poiché non c’erano bande vuote, si limitò a sovrapporsi. «Cerchiamo l’individuo chiamato Junior.» Il computer della nave provvide a sostituire il vero nome del piccolo.

Il silenzio che ne seguì si prolungò molto oltre il puro tempo di andata e ritorno del messaggio, ma alla fine una risposta arrivò.

«Non ce nessuno qui con quel nome. Chi siete?»

«Adesso non abbiamo tempo per parlare, ma torneremo» disse Jag, e Lunga Bottiglia fece fare dietro front alla nave.

«Scommetto sorpresi che li ha questo» disse il delfino mentre attraversavano il portale.

Questa volta emersero accanto a un pianeta delle dimensioni di Marte e altrettanto privo d’acqua, però, giallo anziché rosso. Il suo sole, una stella bianco-azzurra, era visibile all’orizzonte: appariva grande circa il doppio del Sole visto dalla Terra. «Qui niente» affermò Jag.

Lunga Bottiglia si concesse il lusso di spostare la Rum Runner in modo tale che il disco del pianeta giallo eclissasse la stella con la massima precisione. La corona solare, un misto di porpora, bianco e blu marina, era un vero spettacolo e si estendeva nel cielo molto più di quanto il delfino si fosse aspettato. Per qualche istante lui e Jag si bearono di quella visione, poi tornarono a tuffarsi nella scorciatoia.

Anche quel punto di uscita aveva visto di recente emergere una stella, ma non una stella verde. Come a Tau Ceti, si era trattato invece di una nana rossa, piccola e fredda.

Jag consultò gli scanner. «Niente.»

Per l’ennesima volta si tuffarono, e la scorciatoia si spalancò per accoglierli come una bocca dalle labbra di porpora.