Buio allo stato puro… nemmeno una stella in vista.
«Una nube di polvere» commentò Jag, con la pelliccia che fremeva per lo stupore. «Interessante… non c’era niente del genere l’ultima volta che qualcuno ha usato questa uscita. Principalmente grani di carbonio, ma ci sono anche molecole complesse come la formaldeide, perfino alcuni amminoacidi e… sono sicuro che Cervantes vorrà tornare qui: ho raccolto anche campioni di DNA.»
«Nella nube?» domandò Lunga Bottiglia, incredulo.
«Nella nube» confermò Jag. «Molecole autoreplicanti che fluttuano libere nello spazio.»
«Ma matos niente, giusto?»
«Giusto» confermò Jag.
«Meraviglia una per momento un altro» commentò Lunga Bottiglia. Mise in rotazione la nave, accese i retrorazzi e si buttò a capofitto nella scorciatoia.
Un nuovo settore di spazio, un altro nel quale era recentemente sbucata una stella. Questa volta l’intrusa era una azzurra di tipo O, piena di macchie solari color porpora più di quanto un’umana dai capelli rossi fosse piena di lentiggini d’estate. La Rum Runner era emersa proprio sull’orlo di uno dei bracci a spirale della Via Lattea: da una parte il cielo era densamente popolato di luminosissime giovani stelle, dall’altra era semivuoto. In alto era visibile un ammasso globulare: un milione di antichi soli rossi riuniti tutti insieme in una palla. E poi…
«Tombola» esclamò Jag. O, almeno, latrò qualcosa che in terrestre poteva essere tradotto così. «Eccolo là!»
«Lo vedo io anche» confermò Lunga Bottiglia. «Però…»
«Terra riarsa!» imprecò Jag. «È intrappolato.»
«Vero… preso è nella rete.»
Ed era proprio così. Il cucciolo matos era ovviamente sbucato dalla scorciatoia soltanto qualche giorno prima dell’arrivo della stella azzurra, e la stella era stata espulsa dall’uscita più o meno nella stessa direzione del matos. I matos, come tutti loro avevano scoperto con sorpresa e terrore, sono in grado di muoversi con un’agilità incredibile per corpi di dimensione planetaria che fluttuano nel vuoto, ma una stella ha una forza di gravità enorme. Il cucciolo si trovava ad appena 40 milioni di chilometri dalla sua superficie, meno della distanza di Mercurio dal Sole.
«È impossibile che riesca a raggiungere la velocità di fuga» disse Jag. «Non sono nemmeno sicuro che sia riuscito a inserirsi in orbita: è più probabile che stia scendendo a spirale. In un caso o nell’altro, comunque, quel matos non andrà più da nessuna parte.»
«Segnale mando» annunciò Lunga Bottiglia, e impostò la trasmittente della nave per inviare su tutte le frequenza usate dalla comunità dei matos il messaggio preregistrato.
Si trovavano a circa 300 milioni di chilometri dalla stella: i segnali avrebbero impiegato più di 15 minuti per raggiungere il matos, e anche una risposta immediata avrebbe richiesto un altro quarto d’ora per essere captata. Attesero, Jag muovendosi irrequieto, Lunga Bottiglia divertendosi a dipingere una caricatura sonar dei movimenti di Jag. Ma non arrivò alcuna risposta.
«Be’, quella stella emette un rumore radio così intenso che forse non siamo riusciti a captare la trasmissione del matos» disse Jag. «O forse è lui che non ci può sentire.»
«Oppure morto è» disse Lunga Bottiglia.
Jag fece vibrare il muso ed emise un rumore simile allo scoppiettio delle bolle dei fogli di cellofan usati come protezione. Quella era l’unica possibilità che non voleva prendere in considerazione. Così vicino alla stella, però, il calore doveva essere incredibile. La parte rivolta all’interno poteva essere già arrivata a una temperatura di 350 gradi, abbastanza per fondere il piombo. Né Jag né Delacorte avevano ancora compreso in ogni dettaglio la pseudo-chimica della materia quark-lucente, ma a una temperatura simile quasi tutte le molecole complesse si rompono nella materia normale.
Jag fece un’altra riflessione. Chissà quali consuetudini funerarie, se pure ne avevano, erano state sviluppate dai matos? Il cadavere, grande quanto un mondo, doveva essere riportato a casa? Lanciò un’occhiata a Lunga Bottiglia. I delfini si limitano ad aspettare che il corpo venga portato via dalla corrente. Jag sperò che i matos avessero una sensibilità dello stesso genere.
«Torniamo indietro» disse. «Da soli non possiamo fare niente.»
La Rum Runner sfrecciò verso la scorciatoia seguendo l’ampia curva che era il marchio di fabbrica di Lunga Bottiglia e colpì la scorciatoia con l’esatta angolazione richiesta per uscire dal punto in cui avevano iniziato quella serie di balzi. La Starplex era lì, a fluttuare nella notte, tinta di verde dalla luce di una stella di quarta generazione. Alle sue spalle c’erano le creature di materia oscura, tra le quali si estendevano tentacoli di gas. La domanda giusta, adesso, era: che fare? Per un attimo Jag provò comprensione per Lansing. Non avrebbe certo voluto essere lui a dover nuotare nelle acque agitate del fiume che l’umano aveva di fronte.
Keith si trovava nel suo appartamento e si stava preparando alla partenza per l’imminente incontro con il Primo ministro Kenyatta alla stazione Grand Central.
Risuonò un bip elettrico. “Rombo gradirebbe vederti” annunciò Phantom. “Chiede sette minuti del tuo tempo.”
Rombo? Lì? In realtà in quel momento Keith avrebbe preferito restare solo con se stesso. Stava riordinando i propri pensieri, cercando di decidere che cosa avrebbe detto durante l’incontro. Eppure, che un ib lo disturbasse a casa sua era così insolito da stuzzicare la sua curiosità. «Tempo concesso» disse Keith, usando la risposta suggerita dal galateo ibese.
Ancora la voce di Phantom: “Dal momento che avrai un ospite ib, posso abbassare le luci?”
Keith annuì. I pannelli sul soffitto attenuarono la loro luminosità e l’abbacinante ghiacciaio bianco nell’ologramma murale del lago Louise assunse toni di un anonimo grigio. La porta rientrò nella parete e Rombo rotolò all’interno. Sulla rete lampeggiarono alcune luci. «Salve, Keith.»
«Salve, Rombo. Che cosa posso fare per te?»
«Perdonami per l’intrusione» disse la gradevole voce britannica «ma oggi sul ponte sembravi piuttosto arrabbiato.»
Keith inarcò le sopracciglia. «Se sono stato brusco, me ne scuso» disse Keith. «Ero infuriato con Jag… ma non avrei dovuto permettere che la cosa si riflettesse su qualcun altro.»
«Oh, no, la tua rabbia era perfettamente a fuoco. Dubito che tu abbia offeso qualcuno.»
Keith corrugò la fronte. «E allora qual è il problema?»
Rombo rimase in silenzio per un po’, poi disse: «Ti sei mai fatto domande sull’apparente contraddizione che la mia razza rappresenta? Siamo ossessionati dal tempo, come dite voi umani. Detestiamo sprecarlo. Ciò nonostante spendiamo tempo per atti di cortesia e, come molti umani hanno notato, ci diamo un gran da fare per non urtare i sentimenti di nessuno.»
Keith annuì. «Sì, ci ho pensato. Effettivamente l’impressione è che il tempo sprecato nelle minuzie del galateo venga sottratto ad altri obiettivi più importanti.»
«Proprio così» disse Rombo. «Questo è esattamente il modo in cui si esprimerebbe un umano. Noi però la vediamo in modo diverso. Secondo noi l’andare d’accordo procede di pari passo — noi diremmo “mozzo nella ruota” — con la filosofia del risparmio di tempo. L’incontro breve ma spiacevole finisce per sperperare più tempo che non quello più lungo ma gradevole.»
«Perché?»
«Perché dopo un incontro spiacevole si passa molto tempo a riviverne mentalmente gli eventi, ripercorrendolo più volte, spesso sezionando una per una le cose che sono state dette o fatte.» Fece una pausa. «Hai visto, con Carro Merci, che la giurisprudenza ibese punisce gli sprechi diretti di tempo. Se un ib sprecasse dieci minuti del mio tempo, un tribunale potrebbe ordinare una equivalente riduzione della sua vita. Forse però non sai che se un ib mi sconvolge con un comportamento maleducato, ingrato o semplicemente cattivo, il tribunale può imporre una pena pari a 16 volte l’ammontare del tempo che si ritiene sia stato sprecato da quel suo comportamento. Moltiplichiamo per 16 perché, come i waldahudin, usiamo il 16 come base del nostro sistema di numerazione. In realtà non c’è modo di calcolare il tempo realmente sprecato rimuginando su un’esperienza sgradevole. Anche dopo anni, i ricordi dolorosi possono… non so come dite voi. Io direi: possono rotolarti al fianco. Voi probabilmente direste che possono rizzare la testa. È sempre meglio lasciare una situazione in serenità, senza rancori.»