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Keith ridacchiò, emettendo un sibilo simile a quello di una valvola di sicurezza. Anche l’altro Keith rise, con il suo caratteristico scampanellio. Alla fine risero entrambi, divertiti dal suono emesso dall’altro.

«Temo che per te sia giunto il momento di tornare a casa» disse Vetro.

Keith annuì.

Vetro rimase silenzioso per un po’, poi disse: «Mi sono trattenuto dal darti consigli, Keith. Non è compito mio e, comunque, ci sono dieci miliardi di anni tra noi. Siamo due persone diverse, in parecchi sensi. Ciò che è giusto per me adesso, in questo stadio della vita, potrebbe non essere giusto per te. Ma sono in debito con te per quello che mi hai dato, enormemente in debito, e vorrei ripagarti con un piccolo suggerimento.»

Keith inclinò la testa, in attesa.

Vetro allargò le braccia trasparenti. «Ho visto, nel trascorrere degli eoni, la morale sessuale umana declinare e risorgere. Ho visto concedere sesso con la stessa facilità di un sorriso e ho visto tenere il sesso in serbo come se fosse più prezioso della pace. Ho conosciuto persone che avevano praticato l’astinenza per un miliardo di anni, e altre persone che hanno avuto più di un milione di amanti. Ho visto fare sesso tra membri di specie diverse dello stesso mondo e fra creature evolutesi su mondi diversi. Ci sono persone a me note che si sono fatte rimuovere i genitali per non avere più niente a che fare col sesso. Altre sono diventate autentici ermafroditi, capaci di fare l’amore con se stessi e procreare. Altri ancora hanno cambiato sesso… ho un amico che cambia da maschio a femmina ogni mille anni, regolare come un orologio. Ci sono stati tempi in cui l’umanità ha manifestato una netta preferenza per l’omosessualità, per l’eterosessualità, per l’incesto, per l’harem, per la prostituzione, per la bestialità, per il sadomasochismo, e ci sono stati tempi in cui ciascuna di queste pratiche è stata messa al bando. Ho visto contratti matrimoniali con la data di scadenza e ho visto matrimoni durati cinque miliardi di anni. E anche tu, amico mio, vivrai abbastanza a lungo da vedere tutte queste cose. Ma in questa serie continua di cambiamenti esiste una costante, per la gente di coscienza, per la gente come me e te: se fai del male a qualcuno che ti sta a cuore, allora hai peccato.»

Vetro scosse il capo. «Non mi ricordo di Clarissa. Non ricordo nulla di lei. Non ho idea di ciò che le è accaduto. Se anche lei è diventata immortale allora forse è ancora viva e potrei rintracciarla. Ho amato un migliaio di altri esseri umani, nel corso degli anni, un numero insignificante secondo gli standard di molta gente, ma sufficiente per me. Non c’è dubbio, però, che Rissa deve essere stata molto, molto speciale per noi: traspare con chiarezza dal modo in cui parli di lei.»

Vetro fece una pausa e Keith ebbe la sconvolgente sensazione che gli occhi di lui, invisibili nella trasparente testa a uovo, scrutassero i suoi scavando la verità che essi celavano. «Posso leggerti dentro, Keith. Quando prima mi hai detto di lasciare perdere, di cambiare discorso, era ovvio che cosa volevi nascondere, che cosa occupava le tue riflessioni.» Un istante di silenzio. Anche il simulacro di foresta intorno a loro rispettò quella pace. «Non farle male, Keith. Faresti solo del male a te stesso.»

«È questo il suggerimento?» domandò Keith.

Vetro si strinse leggermente nelle spalle. «È questo.»

Keith rimase zitto per un po’. Poi: «Come farò a ricordarmelo? Hai detto che spazzerai via tutti i miei ricordi di questo incontro.»

«Questo pensiero lo lascerò intatto. Ma ugualmente non ti ricorderai di me: crederai che venga da te stesso… il che, in un certo senso, è la pura verità.»

Keith rifletté a lungo per trovare una risposta appropriata. Infine disse: «Grazie.»

Vetro annuì. Poi, con tono rattristato, disse: «È tempo che tu parta.»

Ci fu un momento di disagio nel quale i due rimasero a fissarsi, ritti l’uno di fronte all’altro. Keith fece per porgere la mano, poi la lasciò ricadere. Infine, dopo un attimo di esitazione, fece un passo avanti e abbracciò Vetro, scoprendo con sorpresa che il corpo dell’uomo trasparente era cedevole e caldo. L’abbraccio durò solo qualche secondo.

«Forse un giorno ci incontreremo ancora» disse Keith, facendo un passo indietro. «Se ti verrà voglia di venire a trovarmi nel Ventunesimo secolo…»

«Forse lo farò. Qui stiamo per dare avvio a qualcosa di molto, molto grande. All’inizio ti ho detto che era in gioco il destino dell’universo, e in questo gioco io svolgo un ruolo chiave… il che significa che lo svolgi anche tu, è ovvio. Da alcune ere geologiche ho rinunciato a essere un sociologo. Come avrai già capito, ho avuto migliaia di carriere nel corso dei millenni e adesso sono un… secondo i tuoi concetti si potrebbe dire che sono un fisico. Prima o poi il mio nuovo lavoro mi obbligherà a un viaggio nel passato.»

«Allora cerca almeno di ricordare il nostro nome per intero» disse Keith. «Io sono registrato negli elenchi del Commonwealth, ma non mi troverai mai se te lo dimentichi.»

«No» disse Vetro. «Questa volta prometto che non mi dimenticherò di te, né delle parti del nostro passato che hai condiviso con me.» Fece una pausa. «Arrivederci, amico mio.»

La simulazione della foresta, il sole immobile, la luna di giorno e il prato di quadrifogli si fusero tutti insieme rivelando l’interno cubico di un molo d’attracco. Keith si avviò verso la sua scialuppa.

Vetro rimase immobile sul molo quando questo si aprì allo spazio. L’ennesima magia: non aveva bisogno della tuta spaziale. Keith premette un tasto e la scialuppa avanzò nel buio. La nebulosa rosa a sei dita che un tempo era stata il Sole colorava il cielo alla sua sinistra e il drago color uovo di pettirosso indietreggiava alle sue spalle. Diresse la scialuppa verso l’invisibile punto della scorciatoia. Mentre la toccava sentì un vago prurito nella testa. Dunque… Stava pensando a… a qualcosa che…

Il pensiero, qualunque fosse, se n’era andato.

Non aveva importanza. L’anello di radiazione Soderstrom passò oltre la scialuppa, da prua a poppa, e agli occhi di Keith si presentò il cielo di Tau Ceti. La stazione Grand Central era appena visibile alla sua destra e aveva uno strano aspetto, immersa com’era nella debole luce rossa della nuova arrivata, la stella nana.

Come faceva sempre quando arrivava lì, Keith passò qualche secondo a cercare Bootes e poi il Sole. Fece cenno di sì e sorrise. Era sempre un piacere scoprire che il suo vecchio amico non si era trasformato in una nova…

23

Keith aveva sempre pensato che la stazione Grand Central ricordasse quattro piatti disposti sui vertici di un quadrato. Oggi invece, chissà perché, gli sembrava un quadrifoglio che fluttuava su uno sfondo stellato. Ciascuna foglia (o piatto) aveva un diametro di un chilometro e uno spessore di ottanta metri, il che rendeva la stazione la più gigantesca struttura artificiale nello spazio del Commonwealth.

Come il disco centrale della Starplex, dimensioni a parte, il bordo esterno dei piatti era affollato dai boccaporti dei moli d’attracco, la maggior parte dei quali aveva il marchio di società mercantili terrestri. Il computer della scialuppa di Keith ricevette le istruzioni per l’atterraggio dai controllori del traffico di Grand Central, e lo portò a un anello d’attracco adiacente a un grande portale ondulato sul quale spiccava il simbolo giallo della Hudson’s Bay Company, giunta ormai al quinto secolo di attività.