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Keith approfittò dello scafo trasparente della scialuppa per guardarsi intorno. Nel cielo fluttuavano navi morte. I rimorchiatori in arrivo ai moli d’attracco trainavano relitti. Uno dei quattro piatti della stazione era completamente buio, come se avesse subito gravi danni nella battaglia.

Non appena la scialuppa ebbe attraccato, Keith uscì nella stazione. A differenza della Starplex, che era un’unità del Commonwealth, Grand Central apparteneva completamente ai popoli della Terra e nei suoi ambienti comuni vigevano le condizioni terrestri medie.

Ad attendere Keith c’era un funzionario governativo. Aveva un braccio al collo. Probabilmente aveva avuto un incidente durante la battaglia con i waldahudin, perché la rete saldaossa che indossava doveva essere portata soltanto per 72 ore dopo la frattura. Il funzionario lo condusse all’elegante ufficio di Petra Kenyatta, Primo ministro del governo umano della provincia di Tau Ceti.

Kenyatta, una donna africana di circa cinquant’anni, si alzò in piedi per salutare Keith. «Buongiorno, dottor Lansing» disse porgendogli la mano destra.

Keith gliela strinse. La stretta di lei fu energica, quasi dolorosa. «Signora.»

«Prego, si sieda.»

«Grazie.» Keith si era appena seduto sulla sedia (una sedia normale, umana, non plasmabile) che la porta tornò ad aprirsi per fare entrare un’altra donna, dall’aspetto nordico e un po’ più giovane di Kenyatta.

«Conosce il commissario Amundsen?» domandò il Primo ministro. «È al comando delle forze di polizia delle Nazioni Unite, qui a Tau Ceti.»

Keith si alzò a metà dalla sedia. «Commissario.»

«È chiaro» disse la Amundsen prendendo una sedia per sé «che “forze di polizia” è un eufemismo. È la definizione che usiamo per orecchie aliene.»

Keith sentì un vuoto allo stomaco.

«I rinforzi sono già in viaggio, sia dal sistema solare sia da Epsilon Indi» lo informò la Amundsen. «Saremo pronti a muovere su Rehbollo non appena arriveranno.»

«Muovere su Rehbollo?» ripeté Keith, attonito.

«Esatto» confermò il commissario. «Spediremo quei maiali a calci fino ad Andromeda.»

Keith scosse la testa. «Ma il pericolo è sicuramente passato. Un attacco di sorpresa come quello funziona una volta soltanto. Non torneranno più.»

«In questo modo ne saremo ancora più sicuri» commentò Kenyatta.

«Le Nazioni Unite non possono avere dato la loro approvazione» disse Keith.

«Le Nazioni Unite no, è ovvio» confermò Amundsen. «I delfini non hanno abbastanza spina dorsale per un’azione del genere. Ma siamo sicuri che il GovUm voterà a favore.»

Keith si rivolse al premier Kenyatta. «Sarebbe un errore dare inizio a un’escalation di violenza, signor Primo ministro. I waldahudin hanno scoperto come distruggere le scorciatoie.»

Gli occhi di zaffiro del commissario Amundsen si spalancarono: «Ho capito bene?»

«Possono tagliarci fuori dal resto della galassia, e per farlo devono solo fare arrivare una nave da questa parte della scorciatoia di Tau Ceti.»

«Qual è la tecnica?»

«Non ne ho idea. Ma mi hanno assicurato che funziona.»

«Una ragione di più per distruggerli» affermò Kenyatta.

«E come hanno fatto a prendere di sorpresa voi?» domandò il commissario Amundsen. «Qui a Tau Ceti hanno fatto sbucare dalla scorciatoia un grande vascello di appoggio, che ha cominciato a vomitare caccia non appena è arrivato. Da ciò che ha detto la dottoressa Cervantes quando è stata qui, ho capito che contro la Starplex hanno mandato invece navette isolate. Come mai non siete stati messi sull’avviso dall’arrivo della prima?»

«La stella appena emersa si trovava tra noi e la scorciatoia.»

«Chi ha ordinato alla nave di portarsi in quella posizione?» domandò Amundsen.

Keith fece una pausa. «Io. Sono io che do tutti gli ordini a bordo della Starplex. Eravamo impegnati in ricerche astronomiche e per svolgerle adeguatamente abbiamo dovuto spostare la nave lontano dalla scorciatoia. Mi prendo io ogni responsabilità.»

«Non si preoccupi» disse Amundsen, con un ghigno che sembrava un rictus. «Gliela faremo pagare, a quei maiali.»

«Non li chiami così» esclamò Keith, sorprendendo se stesso.

«Come?»

«Non usi quella parola per definirli. Si chiamano waldahudin.» Si sforzò di pronunciare la parola come un latrato, con il giusto accento e la giusta percentuale di voce roca.

Il commissario Amundsen rimase a bocca aperta. «Lo sa come ci chiamano loro?» domandò.

Keith fece un vago cenno negativo.

«“Gargtelkin”» disse lei. «“Coloro che copulano fuori stagione”.»

Keith soffocò un sorriso e tornò subito serio. «Non possiamo iniziare una guerra contro di loro.»

«L’hanno iniziata loro.»

Pensò alla sorella più grande e al fratello più piccolo. Pensò a un vecchio film in bianco e nero nel quale erano in lizza due inni, la Marsigliese e Wacht am Rhein. E pensò soprattutto alla giovane Via Lattea raccolta nella sua mano tesa a coppa.

«No» si limitò a dire.

«Che cosa significa “no”?» sbottò Amundsen. «Sono loro che hanno cominciato!»

«Voglio dire che non fa alcuna differenza. Ci sono esseri, là fuori, fatti di materia oscura. Ci sono scorciatoie nello spazio intergalattico. Ci sono stelle che viaggiano dal futuro al passato. E voi vi preoccupate di chi ha cominciato? Non ha importanza. L’importante è che finisca, che finisca qui e subito.»

«È esattamente di questo che stiamo discutendo» disse il premier Kenyatta. «Farla finita una volta per tutte. Dare ai maiali un bel calcione sui loro culi pelosi.»

Keith scosse il capo. Era la crisi della mezza età… per tutti loro, umani e waldahudin. «Fatemi andare a Rehbollo. Fatemi parlare con la regina Trath. In teoria io sono un diplomatico: fatemi andare a parlare di pace, a costruire un ponte.»

«Sono morte molte persone» osservò Amundsen. «Qui a Tau Ceti sono morti degli esseri umani.»

Keith pensò a Saul Ben-Abraham. Non all’orribile immagine che gli veniva in mente di solito, il cranio di Saul aperto davanti ai suoi occhi come un fiore rosso, ma a Saul vivo, con il grande sorriso che si apriva nella barba scura e con in mano un boccale di birra distillata in casa. Saul Ben-Abraham non avrebbe mai voluto la guerra. Si era recato su un’astronave aliena per cercare la pace, l’amicizia.

E che dire di quell’altro Saul? Saul Lansing-Cervantes… stonato come una campana, con la sua barbetta caprina, in corsa tra la seconda e la terza base sui campi di baseball di Harvard, drogato di cioccolato… e bravissimo in fisica, proprio il tipo di persona che avrebbero selezionato come pilota di navetta a iperpropulsione, se fosse scoppiata la guerra.

«Anche in passato sono morti degli esseri umani e non abbiamo cercato vendetta» disse Keith. Rombo aveva ragione. “Lasciate perdere” aveva detto. Lasciamo perdere tutto. Keith sentì che lo stava lasciando: quello sgradevole peso che si era portato dentro per 18 anni lo stava lasciando. Guardò le due donne. «Nel nome di coloro che sono morti… e di coloro che morirebbero se scoppiasse una guerra… dobbiamo spegnere il fuoco prima che sia troppo tardi.»

Keith salì nuovamente a bordo della scialuppa da viaggio, lasciò Grand Central e si diresse alla scorciatoia.

Aveva discusso per ore con il commissario Amundsen e con il Primo ministro Kenyatta, ma non si era arreso. Ecco qual era il mulino a vento che aveva sempre cercato, la battaglia degna di essere combattuta: una battaglia per la pace.

Un sogno impossibile?

Pensò alla vita piena di meraviglie del suo bis-bisnonno: automobili e aeroplani, laser e atterraggi sulla Luna.