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Rombo stava usando anche gli iperscopi del ponte 1 per monitorare il cucciolo in emersione, ma fino a quel momento il piccolo non aveva trasmesso una sola parola, a meno che non avesse usato una banda lontana da quella dei 21 centimetri.

Lianne Karendaughter scuoteva la testa. «Non compie nessun movimento autonomo» disse. «Deve essere morto.»

Keith serrò i denti con forza. Se era morto, tutti gli sforzi che avevano fatto erano andati a vuoto. «Può darsi che un matos isolato non possa muoversi» disse infine, sforzandosi di convincere tanto Lianne quanto se stesso. «Potrebbero avere bisogno di sfruttare le reciproche forze gravitazionali e repulsive, e il cucciolo potrebbe essere ancora troppo lontano per riuscirci.»

«Avanti» disse Occhio di Gatto. «Avanti… vieni… tu… avanti…»

Keith non era a conoscenza di nessun passaggio così lento attraverso una scorciatoia, in precedenza. Anche se nessuno ne parlava mai, c’era sempre un senso di urgenza quando si passava: attardarsi significava stuzzicare il destino, consentire alla magia di ritrarsi.

Alla fine il cucciolo completò il passaggio e la scorciatoia collassò, anche se dopo qualche istante si riaprì per far passare, una dopo l’altra, varie boe antigravitazionali.

Il piccolo matos si allontanava dall’uscita, ma spinto soltanto dall’inerzia. Non aveva ancora…

«Dove… dove…»

Un’altra voce con accento francese si fece udire. Phantom, con un raro impulso di creatività, aveva scelto per tradurla un’inflessione infantile.

«Casa… torno…»

Thor diede via libera a un fragoroso applauso. «È vivo!»

A Keith si inumidirono gli occhi. Lianne piangeva apertamente.

«È vivo!» gridò ancora Thor.

Il cucciolo matos cominciò finalmente a muoversi e si diresse subito verso Occhio di Gatto e gli altri.

Gli altoparlanti tornarono a trasmettere la voce che Phantom aveva assegnato a Occhio di Gatto. «Da Occhio di Gatto alla Starplex» disse.

Keith premette il pulsante del microfono. «La Starplex risponde» replicò.

La risposta di Occhio di Gatto tardò più di quanto fosse richiesto dal tempo di viaggio del segnale, come se il matos stesse cercando un modo per esprimere ciò che voleva dire con il vocabolario limitato di cui disponeva. Alla fine disse semplicemente: «Siamo amici.»

Sul volto di Keith si allargò un sorriso. «Sì» rispose. «Siamo amici.»

«La vista del piccolo è danneggiata» disse Occhio di Gatto. «Diventerà… uguale a uno, in futuro, ma occorrerà del tempo. Tempo e assenza di luce. La stella verde è brillante; non qui, quando il piccolo è andato.»

Keith annuì. «Potremmo costruire un altro scudo, per proteggere il piccolo dalla luce della stella verde.»

«Altro» disse Occhio di Gatto. «Tu.»

Per un attimo Keith rimase perplesso. «Ah, sì, certo. Lianne, spegni tutte le luci esterne e, dopo avere avvisato l’equipaggio, abbassa tutte le luci nelle stanze che danno sullo spazio. Se vogliono alzarle a un livello normale, di’ loro che prima tirino le tende.»

Sul bel viso di Lianne campeggiava un ampio sorriso. «Provvedo subito.»

La Starplex piombò nel buio e la comunità dei matos avanzò verso la grande nave e verso il bimbo appena ritrovato.

La Rum Runner sbucò dalla scorciatoia, seguita dopo qualche secondo dalla PDQ. Le comunicazioni radio rassicurarono ben presto i loro equipaggi che sulla Starplex tutto andava per il meglio, e le navette fecero manovra per dirigersi ai moli d’attracco. Subito dopo l’atterraggio della Rum Runner, Jag si precipitò sul ponte.

Keith stava ancora parlando con Occhio di Gatto, quando Jag arrivò sul ponte. Il direttore si girò verso il waldahud. «Grazie, Jag. Grazie di cuore.»

Jag fece un cenno di assenso, accettando il ringraziamento.

La voce di Occhio di Gatto risuonò dagli altoparlanti. «Noi a te uno sbaglio» disse.

Un errore, pensò Keith. Ci dicono che abbiamo fatto un errore.

«Tu nel punto che non è un punto non dovevi muovere con alta velocità.»

«Be’, non è andata poi così male» disse Keith, ma in lui parlava il diplomatico. «Grazie a quell’errore abbiamo visto il nostro gruppo di centinaia di milioni di stelle.»

«Noi chiamiamo questo gruppo…» Phantom tradusse il nuovo segnale… “galassia”.

«Avete una parola per definire la galassia?» domandò Keith, sorpreso.

«Esatto. Molte stelle, isolate.»

«Giusto» confermò Keith. «Ebbene, la scorciatoia ci ha portati a sei miliardi di anni luce da qui. Il che significa che abbiamo visto la nostra galassia com’era sei miliardi di anni fa.»

«Comprendiamo il guardare indietro.»

«Ah sì?»

«Sì.»

Keith era impressionato. «Be’, è stato affascinante. Sei miliardi di anni fa, la Via Lattea non aveva la forma che ha adesso. Mmm, immagino che voi non lo sappiate, ma attualmente la galassia ha la forma di una spirale.» Una luce lampeggiò sulla consolle di Keith: Phantom lo informava che aveva usato una parola per la quale non esisteva alcun equivalente matos nel database di traduzione. Keith fece un cenno verso le telecamere di Phantom per indicare che aveva capito. «Una spirale» disse nel microfono «è… è…» Cercò una metafora che avesse un qualche significato: parole come “girandola” non sarebbero state di alcuna utilità con i matos. «Una spirale è…»

Phantom fornì una definizione che comparve su uno dei monitor di Keith. La lesse parlando nel microfono: «Una spirale è il percorso seguito da un oggetto che ruota intorno a un punto centrale allontanandosi da esso a velocità costante.»

«Comprendiamo spirale.»

«Bene. La Via Lattea è una spirale con quattro… voleva dire “bracci”, ma non avrebbe avuto senso per i matos… con quattro parti.»

«Sappiamo questo.»

«Lo sapete?»

«Fatto.»

Keith guardò Jag, che per tutta risposta mosse su e giù le spalle inferiori. Che cosa intendeva dire il matos? Che lui era stato fatto per imparare questo concetto, nell’equivalente della scuola elementare per gli esseri di materia oscura?

«Fatto?» ripeté Keith.

«Un tempo semplice, adesso… adesso… niente parole» disse il matos.

Intervenne Lianne. «Adesso “elegante”» esclamò. «Scommetto che è questa la parola che sta cercando.»

«A guardarla, uno più uno è più grande di due?» domandò Keith, parlando nel microfono.

«Sì, più grande. Più della somma delle parti. La spirale è…»

«È “elegante”» disse Keith. «Più della somma delle parti, dal punto di vista di chi la osserva.»

«Sì» confermò Occhio di Gatto. «Elegante. Spirale è elegante.»

Keith annuì. Non c’era dubbio che le galassie a spirale fossero più interessanti da vedere che non le galassie ellittiche. A Keith faceva piacere che umani e matos avessero concetti estetici simili, ma non era poi troppo sorprendente, dal momento che la maggior parte dei principi dell’arte si basano sulla matematica.

«Sì» disse Keith. «Le spirali sono molto eleganti.»

«È per questo che le facciamo» disse la voce sintetizzata dall’altoparlante.

Keith sentì un tuffo al cuore e vide Jag allargare pensosamente le sedici dita delle sue mani, l’equivalente waldahud di un’improvvisa comprensione.

«Le fate voi?» chiese conferma Keith.

«Affermativo. Spostiamo le stelle… con piccoli rimorchiatori, che impiegano molto tempo. Spostiamo le stelle in nuovi schemi e ci sforziamo di tenerle lì.»

«Avete trasformato la nostra galassia in una spirale?»

«Chi altri avrebbe potuto farlo?»

Già, chi altri…

«È incredibile» mormorò Keith.

Jag si stava alzando dalla sedia. «No, è perfettamente credibile» disse il waldahud. «Per tutti gli dèi, spiega ogni cosa! Ho detto che non esisteva alcuna teoria sensata per spiegare come facessero la galassie ad acquistare, o a mantenere, la forma a spirale. Il fatto che a questo provvedano creature intelligenti fatte di materia oscura è… qualcosa che scuote l’intelletto, ma che è perfettamente credibile.»