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Trillò un campanello e la voce di Phantom disse: “Jag Kandaro em-Pelsh è alla porta.”

Keith sospirò. «Fallo entrare.»

Jag entrò e prese una multisedia. I suoi occhi di sinistra erano puntati su Keith, ma quelli di destra esaminavano la stanza nell’istintivo schema combattimento-o-fuga. «Immagino che in questa congiuntura» disse «io debba riempire alcuni di quei moduli che stanno tanto a cuore a voi umani.»

«Quali moduli?» domandò Keith.

«Quelli per dimettermi dall’incarico che ricopro sulla Starplex. Non posso più lavorare qui.»

Keith si alzò in piedi per sgranchirsi un po’.

Da qualche parte doveva pur cominciare… la maturità, lo stadio successivo alla crisi della mezza età, la pace. Da qualche parte doveva pur cominciare.

«I bambini giocano con i soldatini» disse Keith, ora guardando Jag negli occhi. «Le razze bambine giocano con i soldati veri. Forse è tempo che noi tutti cresciamo un po’.»

Il waldahud rimase silenzioso a lungo. «Forse.»

«Noi tutti abbiamo obblighi e legami che sono incisi nei nostri geni» continuò Keith. «Non per questo ti spingerò a dare le dimissioni.»

«La tua osservazione sottintende che io sia colpevole di qualcosa. Questo lo rifiuto. Ma anche se fosse vero, tu ancora non capisci. Forse il tuo popolo non arriverà mai a capire il mio.» Jag fece una pausa. «No, per me è tempo di ritornare a Rehbollo.»

«Qui è rimasto moltissimo lavoro da fare» fece notare Keith.

«Senza dubbio. Ma il lavoro che avevo pianificato per me stesso è stato portato a termine.»

«Ah» disse Keith, con il primo barlume di comprensione. «Intendi dire che hai accumulato gloria a sufficienza per vincere Pelsh.»

«Esattamente. Il mio contributo alle scoperte sulla materia oscura e sui matos farà di me il più stimato scienziato di Rehbollo.» Fece una pausa. «Pelsh prenderà la sua decisione entro breve. Non posso trattenermi qui ancora per molto.»

Keith rifletté sulle parole di Jag. «Nessuna femmina waldahud ha mai lavorato a bordo della Starplex. Quando scadrà il mio incarico, sarà un ib a ricoprire il ruolo di direttore, e ho la sensazione che toccherà a Bicchiere da Vino. Nel turno successivo, però, l’incarico spetterà a un waldahud… e so che i waldahudin reclameranno un capo femmina. Tu e Pelsh potreste venire sulla Starplex insieme, che ne dici? Da ciò che ho sentito, lei mi sembra la scelta ideale per il ruolo di direttore.»

La pelliccia di Jag si arricciò per la sorpresa. «Non sarebbe possibile: siamo entrambi parte di un gruppo più grande. Lei manterrà il proprio entourage per tutta la vita.»

Keith sgranò gli occhi. «Vuoi dire che i maschi che non hanno avuto successo con lei non avranno la possibilità di tentare la sorte altrove?»

«Certo che no. Rimarremo una famiglia. Noi tutti siamo impegnati con Pelsh fin dall’infanzia.»

«Forse sulla Starplex potreste venirci tutti e sei.»

Jag mosse le spalle inferiori. «La Starplex è per i migliori e per i più brillanti. Non parlerei mai con disprezzo degli altri membri dell’entourage della mia signora di fronte a un waldahud, ma a te dirò la verità: non c’è mai stata competizione tra me e altri quattro. Mai. La competizione era con un solo individuo. Questo è stato chiaro fin dall’inizio. Gli altri… mancano di distinzione.»

«Ma io pensavo che Pelsh fosse legata alla famiglia reale. Perdonami, ma perché una come lei si è ritrovata con pretendenti scarsamente qualificati?»

«L’entourage deve continuare a funzionare anche dopo la scelta del maschio. Un entourage selezionato con intelligenza conterrà molti membri che si accontenteranno di una condizione di inferiorità. Invece un entourage composto interamente da quelli che voi umani definite “maschi alfa” sarebbe condannato fin dall’inizio.»

Keith assorbì l’informazione. «Be’, se l’unico modo in cui possiamo averti è quello di prendere con noi tutta la tua famiglia, provvederò che così si faccia.»

«Io… non credo che andrai fino in fondo in questa idea.»

Keith socchiuse gli occhi. «Sono un uomo di parola.»

«La vera competizione per Pelsh era fra me e un altro. L’altro, ovviamente, ha un nome.» I quattro occhi di Jag erano puntati sui due occhi di Keith. «Questo nome è Gawst Dalayo em-Pelsh.»

«Gawst!» esclamò Keith. «Lo stesso che ha guidato l’attacco alla Starplex?»

«Sì. È sfuggito ai matos e adesso si trova di nuovo su Rehbollo.»

Keith rimase immobile per dieci secondi, poi cominciò ad annuire. «E tu eri obbligato ad aiutarlo, vero?»

«Non ammetto niente» disse Jag.

«Se non l’avessi aiutato, tutta la gloria nel portare la Starplex a casa a Rehbollo sarebbe toccata a lui, e sarebbe stato lui a essere scelto da Pelsh. Dandogli assistenza, ti sei assicurato che una parte della gloria spettasse a te.»

«Ci sono 260 waldahudin a bordo della Starplex» disse Jag.

La frase rimase sospesa tra i due per parecchi secondi. Poi Keith annuì: aveva capito. «Se non l’avessi aiutato tu, avrebbe trovato senza difficoltà qualcun altro disposto a farlo» disse Keith.

«Lo ripeto» disse Jag. «Non ammetto nulla.» Rimase silenzioso a lungo. «È chiaro che il governo della regina Trath potrebbe incriminare Gawst di gravi reati. Ben presto potrebbe perdere la libertà, o perfino la vita.»

«La mia offerta rimane valida.»

Jag chinò la testa. «La prenderò… la prenderemo in considerazione.» Poi il waldahud fece qualcosa che Keith non aveva mai visto fare da nessuno della sua razza. Aggiunse una parola: «Grazie.»

Era sera: l’illuminazione del corridoio era attenuata. Come sempre prima di cena, Keith fece un salto sul ponte per scambiare qualche parola con il direttore del turno gamma, un waldahud di nome Stelt. Tutto filava liscio come l’olio, disse Stelt. Non era una sorpresa: Keith sarebbe stato chiamato immediatamente se fosse accaduto qualche guaio. Il direttore augurò a tutti la buona notte e lasciò il ponte, per recarsi allo stelo centrale.

Lì trovò Lianne Karendaughter, seduta su una panca nello slargo del corridoio appena prima degli ascensori. Appariva flessuosa e sexy nell’aderente tuta nera da ginnastica.

Era certamente una coincidenza, si disse Keith. Di sicuro lei non era al corrente delle sue abitudini, non sapeva che lui passava di lì ogni sera a quell’ora. Doveva essere in attesa di qualcun altro.

Lianne aveva i capelli sciolti, Keith non aveva mai notato che le arrivavano a metà schiena. «Ciao, Keith» disse lei, con un sorriso caloroso.

«Ciao, Lianne. Hai passato una buona giornata?»

«Oh, certo. Hai visto com’è andato oggi il turno alfa, no? Una passeggiata. E nel periodo del turno beta ho nuotato e tirato di scherma. E tu?»

«Tutto bene.»

«Mi fa piacere» disse Lianne. Rimase zitta per un attimo, poi abbassò lo sguardo sul pavimento plastificato. Quando rialzò la testa evitò lo sguardo di Keith. «Io, ehm, so che Rissa è via, oggi.»

«È vero. È tornata a Grand Central con una scialuppa da viaggio. Credo che stia cercando di escogitare una scusa per non dover accettare una medaglia o una parata in suo onore.»

Lianne annuì. «Ho pensato» disse dopo un attimo «che forse non avevi compagnia per cena.»

Il cuore di Keith accelerò i battiti. «Io… direi di no» ammise.

Lianne gli sorrise. Aveva denti bianchi e perfetti, una perfetta pelle di alabastro e bellissimi occhi a mandorla, scuri e incantevoli. «Forse ti farebbe piacere farmi compagnia. Nel mio appartamento ho una pentola wok,potrei prepararti quella cena cinese che ti ho promesso.»

Keith fissò quella… quella “ragazzina”, pensò. Di ventisette anni. Due decenni meno di lui. Sentì un brivido all’inguine. Probabilmente era un invito innocente: le dispiaceva per il vecchio, o forse cercava di ingraziarsi il capo. Una semplice cena cinese, magari con un po’ di vino, magari…