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«Quanti anni hai?»

«Ho 46 anni.»

«Ho capito bene? Solo 46?» La creatura aveva un tono strano, a metà tra l’incredulo e l’incuriosito.

«Be’, sì. Anni della Terra, è chiaro.»

«Sei molto giovane» disse Vetro.

Keith inarcò le sopracciglia, pensando alla sua avanzata calvizie.

«Parlami della tua compagna» lo sollecitò Vetro.

Gli occhi di Keith si strinsero. «Perché dovrebbe interessarti?»

Lo scampanellio di una risata. «A me interessa tutto.»

«Chiedermi della mia compagna, però, è… di sicuro ci sono argomenti più importanti da discutere, prima.»

«Per te ci sono argomenti più importanti?»

Keith rifletté per qualche istante, prima di rispondere. «Be’… no, in realtà non ce ne sono.»

«Allora parlami di lei… è di sesso femminile, giusto?»

«Sì.»

«Parlami di lei.»

Keith scrollò le spalle. «Si chiama Rissa, che sta per Clarissa. Clarissa Maria Cervantes.» Sorrise. «Il suo cognome mi fa sempre pensare a Don Chisciotte.»

«A chi?»

«Don Chisciotte della Mancia. È l’eroe di un romanzo di uno scrittore che si chiama Cervantes.» Si interruppe. «Ti piacerebbe, Cervantes… una volta ha scritto un libro a proposito di un uomo di vetro. Comunque Don Chisciotte era un cavaliere errante, intrappolato in una vicenda fatta di nobili gesta e di obiettivi irraggiungibili. Anche se…»

«Anche se, cosa?»

«Be’, la cosa buffa è che Rissa diceva che ero io a essere donchisciottesco.»

Vetro inclinò la testa, perplesso, e Keith capì che non era riuscito a intuire la relazione tra le parole “Don Chisciotte” e “donchisciottesco”. «Essere donchisciottesco significa avere un comportamento simile a quello di Don Chisciotte» spiegò. «Cioè visionario, romantico, poco realistico… essere un idealista votato a raddrizzare i torti.» Scoppiò a ridere. «Sia chiaro, non mi sono accontentato di amare da lontano una Rissa pura e casta, ma credo di avere effettivamente la tendenza a impegnarmi in battaglie che altre persone evitano, o di cui non sono nemmeno consapevoli. E in fondo…»

La trasparente testa ovoidale s’inclinò leggermente. «Sì?»

«In fondo» proseguì Keith allargando le braccia, come a indicare non soltanto la foresta simulata ma qualunque cosa esistesse al di là «le irraggiungibili stelle le abbiamo raggiunte, giusto?» A quel punto si azzittì, un po’ imbarazzato. «Comunque tu volevi sapere di Rissa. Ormai siamo sposati, con legame permanente, da quasi vent’anni. Lei è una biologa, anzi un’esobiologa, per essere precisi: è specializzata nello studio della vita non originaria della Terra.»

«E tu la ami?»

«Moltissimo.»

«Avete bambini.» Keith la interpretò come una domanda, anche se la voce di Vetro non aveva avuto un’intonazione interrogativa.

«Uno. Si chiama Saul.»

«Sole? Come la vostra stella?»

«No, Saul. S-A-U-L. In ricordo dell’uomo che prima di morire è stato il mio migliore amico, Saul Ben-Abraham.»

«Allora il nome completo di tuo figlio è Saul Lansing-Cervantes, giusto?»

Keith era sorpreso che Vetro conoscesse le convenzioni umane sui nomi. «Sì, è giusto.»

«Saul Lansing-Cervantes» ripeté Vetro, con lo sguardo perso nel vuoto come se fosse assorto in chissà quali riflessioni. Tornò a guardare Keith. «Scusami. Direi che è un nome… molto musicale.»

«Questo sì che è buffo. Se conoscessi il ragazzo lo capiresti anche tu» disse Keith. «Voglio bene a mio figlio, ma non ho mai conosciuto nessuno che abbia meno talento musicale di lui. Adesso ha 19 anni e va all’università. Studia fisica, una materia per la quale è invece molto portato, e ritengo che un giorno si farà un nome per conto suo in questo campo.»

«Saul Lansing-Cervantes… tuo figlio» disse Vetro. «Affascinante. Però continuiamo ad allontanarci dall’argomento Rissa.»

Keith lo fissò per un attimo, perplesso. Poi scrollò le spalle. «È una donna meravigliosa. Intelligente. Calda, divertente. Bella.»

«Hai detto che avete un legame permanente.»

«Esatto.»

«Il che significa… monogamia, giusto? Tu non vai con nessun’altra donna.»

«Già.»

«Senza eccezioni?»

«Senza eccezioni, sì.» Fece una pausa. «Finora.»

«Finora? Stai forse contemplando la possibilità di modificare questa relazione?»

Keith distolse lo sguardo. Era pazzesco. Cosa poteva saperne quell’alieno del matrimonio umano? «Passiamo oltre» disse.

«Come?» domandò Vetro.

«Oltre, passiamo oltre. A un altro argomento.»

«Ti senti in colpa, Keith?»

«Chi ti credi di essere, la mia coscienza?»

«Sono semplicemente interessato a te, nient’altro.»

«Interessati a qualcos’altro.»

«Spiacente» ribatté Vetro. «Dove hai conosciuto Rissa?»

«Alla Belle Aurore. I tedeschi erano in grigio, lei in azzurro.»

«Come?»

«Scusa. Era una frase di un altro dei miei eroi cavalieri erranti. L’ho conosciuta a una festa a Nuova Pechino, la colonia terrestre su Tau Ceti IV. Lei lavorava nello stesso laboratorio di un mio ex compagno di studi.»

«È stato… com’è quella frase? Ah sì, è stato amore a prima vista?»

«No. Sì. Non so.»

«E siete sposati da vent’anni?» domandò Vetro.

«Ci manca poco. Il nostro anniversario cade la settimana prossima.»

«Vent’anni» ripeté Vetro. «Un battito di ciglia.»

Keith aggrottò le sopracciglia. «In realtà una simile durata è considerata un risultato notevole.»

«Scusami per il commento» disse Vetro. «E accetta le mie congratulazioni.» Una pausa. «Che cosa ti piace di più di Rissa?»

Keith si strinse nelle spalle. «Non lo so. Diverse cose. Mi piace che si accontenti di essere ciò che è. Io invece tendo a mettere su arie, fino a fingere, a volte, di avere realizzato più di ciò che ho fatto, o di essere più raffinato di quel che sono. In effetti, tra gli esseri umani è frequente per chi raggiunge una posizione di rilievo soffrire della cosiddetta “sindrome dell’impostore”, cioè il timore che gli altri scoprano che la posizione raggiunta è in realtà immeritata. So di soffrirne un po’ anch’io, Rissa invece ne è immune. Non finge mai di essere ciò che non è.»

Vetro annuì.

«E poi mi piace il suo equilibrio, la sua fermezza di carattere. Se qualcosa va male, io tendo a sudare e a irritarmi. Lei sorride e fa ciò che deve fare per rimettere le cose a posto. Oppure, se nulla può essere fatto, accetta la situazione.» Keith si interruppe. «Sotto molti aspetti è una persona migliore di me.»

Per qualche istante Vetro sembrò riflettere su quell’affermazione. «Mi sembra che dovresti tenertela stretta, Keith.»

Keith fissò l’uomo trasparente, perplesso.

3

Mattoncini di un gioco di costruzioni. Ecco la prima immagine che si era presentata alla mente di Keith Lansing due anni prima, quando aveva assistito all’assemblaggio dei componenti della Starplex nei cantieri orbitali di Rehbollo. La gigantesca nave era fatta di soli nove pezzi, otto dei quali sembravano identici.

Il pezzo più grande era la combinazione centrale stelo-disco. Il disco aveva un diametro di 90 metri e uno spessore di 30. Lo stelo, una colonna squadrata, si estendeva dal centro del disco per 90 metri in alto e per altrettanti in basso, portando l’altezza complessiva della Starplex a 210 metri. Le antenne paraboliche di due radiotelescopi iperspaziali emergevano dalle calotte alle estremità della colonna centrale.

Il disco era composto in realtà da tre grandi aree anulari che circondavano lo stelo. La prima, che si estendeva per i primi 95 metri, era l’ampia sezione che sarebbe diventata il ponte oceano, dopo essere stata riempita con 686 mila metri cubi di acqua salata. La seconda, larga 20 metri e spessa dieci ponti, era il toroide ingegneria. L’ultimo anello era riservato alle otto immense stive e ai 20 moli d’attracco. I portali che davano sullo spazio esterno erano disposti a intervalli regolari sul bordo incurvato del disco.