Erano come Duun. Come lui, con il pelo più grigio e più chiaro. Con orecchie, faccia e occhi come quelli di Duun… con tutto quello che era di Duun.
— Aiiii! - urlò uno. Anche l’altro gridò. Si abbracciarono e gridarono di nuovo… per spaventarlo, pensò Thorn. Lui rimase fermo, tremando, mentre apparivano altri della razza di Duun.
I bambini erano come Duun. I bambini non nascevano senza peli; lui non era un bambino cresciuto male, in maniera sbagliata…
…Era…
(Duun!)
Si ritrasse. Un uomo era corso fuori dalla casa. — Entrate! Dentro! — Thorn pensò che dicesse a lui, ed esitò. — Ili! Ili! Prendi il fucile!
(O dei! Fucili! Duun!)
Girò sui tacchi e si mise a correre. Sentì delle porte sbattere, gente che correva verso il recinto e delle voci alle sue spalle. — Dei, è lui! — gridò una, e altre la imitarono. — È quella cosa… quella cosa!
Era una trappola. L’aveva preparata Duun. Duun aveva messo trappole su tutti i sentieri, in tutto il mondo; non c’era via di scampo che Duun non avesse già previsto, e sulla quale non avesse messo una trappola.
(Ti ho preso, pesciolino, ti ho preso ancora una volta…)
Thorn lasciò la strada e s’infilò nel sottobosco sentendo alle sue spalle ululati di animali e urla… — La cosa sulla montagna! È lui, è venuto!
(O dei, Duun… dei…) Respirare gli procurava delle fitte al fianco. I rami lo graffiavano. Correva. Qualcosa dentro di lui si era spezzato e dolorosamente gli si gonfiava in gola…
Gli davano la caccia. Tutti. E non poteva invocare aiuto.
Nessuna clemenza.
Diverse foglie s’incendiarono vicino a lui. Un’arma a raggi. Sentì il gemito dei proiettili.
Alcune schegge gli scoppiarono in faccia. Alzò le mani, e andò a sbattere in un albero o in qualcosa del genere; il colpo gli paralizzò un braccio e lo fece girare su se stesso. Il terreno si alzò verso di lui. Sentì i rami trafiggergli la mano, e terra e foglie graffiargli il polso. Cercò di rimettersi in piedi. Aveva gli occhi che lacrimavano e il braccio paralizzato che gli penzolava a fianco. Sentì altri proiettili sibilare intorno a lui.
— Eccolo!
Si ributtò a terra, si trascinò e si rimise sulle ginocchia consapevole dello shock. Una volta, quando era caduto dalle rocce, era rimasto così: intorpidito dalla testa ai piedi, spaventato e senza fiato. Si era allora alzato, aveva ricominciato a camminare e a correre, e solo dopo si era reso conto di dove fosse. Poi all’improvviso, aveva visto Duun che lo guardava, dall’alto delle rocce.
Abbandonando il gioco, Duun era sceso da lui; gli aveva preso la faccia nella mano mutilata e gli aveva stretto la mascella fra il pollice e l’indice.
— Mi senti pesciolino? Mi senti?
Duun!
Thorn cadde su un ginocchio, si rialzò. Appoggiò la schiena a un tronco. C’erano luci, ululati di animali e forme dietro le luci: gente che indirizzava i fasci di luce da una parte e dall’altra, fra i cespugli, sopra di lui.
— Prendetelo! Di là!
Thorn mise il tronco tra sé e gli inseguitori e si rimise a correre, con il braccio sinistro che dondolava come una cosa morta al suo fianco. (Mi hanno colpito. È stato un colpo che mi ha fatto cadere. Mi hanno sparato. Posso usare il mio coltello?) Corse e corse, scivolando lungo le scarpate, graffiandosi fra i rovi. (È vero? O è un gioco? Duun… Sei stato tu a organizzare questa partita? Devo uccidere? Duun, ho paura!)
Scivolò fino in fondo a una scarpata e si mise a correre lungo il torrente.
Un’ombra si alzò davanti a lui. Si gettò di fianco per evitarla. Ma era lì, odorava di shonun, e gli bloccava il braccio destro che aveva alzato per colpire. Una voce disse: — Thorn! — prima che una morsa con due dita lo prendesse per la gola e lo facesse cadere in una stretta soffocante. Thorn afferrò con una mano il braccio e cercò di atterrare il suo avversario. La nausea lo sconvolse dalla testa ai piedi. Incespicando fra le foglie fu tirato indietro da una stretta che gli torse il braccio ferito. — Scappa! — gli sibilò Duun in un’orecchia. — Thorn, Thorn… sono io! Scappa! Torna a casa!
La mano di Duun lo lasciò e gli diede una spinta brutale in mezzo alla schiena. Thorn corse. Corse e scivolò sulle foglie. Si rimise a correre.
Il fianco gli faceva male, era in fiamme. E anche il braccio gli doleva: ogni passo era una fitta.
(Torna a casa!)
(Devo crederti, Duun… devo fare quello che mi dici? È una trappola, Duun?)
Un colpo di fucile. Altri. Sentì l’eco rimbalzare sulle colline. Grida, voci, ululati di animali.
(Ma Duun è laggiù.) Thorn si arrestò barcollando. Andò a sbattere in un albero e ci si appoggiò con la schiena. Aveva la vista annebbiata. Il dolore adesso era come un grande battito, al di là del dolore; forse gli era arrivato al cuore. Sbatté le palpebre schiarendo la notte quanto poteva. C’erano delle luci. Altre voci si levarono… grida e ululati e ancora colpi di fucile.
(Duun!)
Thorn cominciò a correre in giù, tenendo il braccio fermo quanto poteva. I rami gli sbattevano in faccia e lui continuava a scostare la testa correndo alla cieca e usando l’inclinazione del terreno per distinguere il basso dall’alto. Alla fine si fece strada tra i cespugli con la destra, e lasciò che il braccio sinistro strisciasse fra i rovi in un immenso, freddo tremito. Sentì il proprio respiro, il petto che si spezzava. Non c’era più la notte, non c’era più il mondo: si era ristretto alle dimensioni del suo corpo, e gli unici suoni erano quelli del suo respiro e del suo cuore.
(Lo uccideranno come il bestiame! Duun!)
Un ramo si mise in mezzo al suo cammino, gli si avvolse attorno come vivo, lo tenne stretto. — Thorn! Maledizione… Pazzo!
Thorn rimase aggrappato al braccio di Duun. La stretta forte di Duun lo fece girare su se stesso, poi lo afferrò per tutte e due le braccia e lo scosse, gettandogli la testa indietro.
— Pazzo! Dove stavi andando?
Non poté rispondere. Il dolore gli venne addosso a ondate. Duun lo scosse ancora. Era Duun. Odorava di Duun. (Cieco agli odori. Pazzo cieco agli odori.)
— Ho dovuto ferire qualcuno — disse Duun. Era rabbia. Duun lo scosse. — Mi senti, pazzo! Ho dovuto ferire qualcuno per te.
— Penso… penso… — Sopravvenne lo shock: mandibola e mascella si chiusero e cominciarono a battere l’uria contro l’altra. Duun lo appoggiò a terra. (- Quante volte ti hanno preso? Dei, dei. Lo vedo… -) Lo fece stendere sul pendio della foresta e gli tastò il braccio, mentre lui perdeva e riacquistava conoscenza.
— Perché — chiese a Duun. — Perché l’hanno fatto? — Mentre i muscoli delle mascelle si contraevano spasmodicamente e il dolore andava e veniva. — Duun, dovevano farlo?
— Sta’ zitto — disse Duun. E gli fece male, forse di proposito o per caso. Thorn perse di nuovo conoscenza, per qualche secondo; quando rinvenne, Duun gli schiaffeggiava adagio la faccia. — Riesci a muovere le dita? Gli ho messo sopra la pellicola di gelatina. Muovi le dita. Mi senti?
Thorn provò. Gli sembrò che si muovessero. Strinse i denti con forza perché Duun se l’era issato su una spalla e l’aveva rimesso in piedi. Il mondo si rovesciò quando la spalla di Duun gli si appoggiò alla pancia e lo sollevò. Dolore. Il braccio dondolò. Ogni passo di Duun era una fitta di dolore. Il mondo diventò nero e rosso di bagliori luminosi che gli attraversavano le pupille, nel buio. I rami gli graffiavano la schiena. Non osava muoversi; temeva di sbilanciare Duun su per quel pendio. Ma il dolore, il dolore…
Buio. Duun lo mise giù, sulle ginocchia, tenendolo stretto a sé. Thorn sentiva il fiato di Duun sulla faccia.