— È assoluta? — chiese Thorn. Aveva imparato a chiedere, ed Elanhen pareva compiaciuto. — No — rispose. — Ma in questo caso possiamo considerarla tale…
Erano tornati alla fisica. Almeno due giorni su cinque.
C’era la storia. — …Nel 645, Elhoen calcolò che il mondo era rotondo. Questa fu la sua prova…
— … nel 1439 gli hatani abolirono la corporazione shothoen, e al suo posto istituirono la lega dei mercanti…
— … nel 1492 la ferrovia di Mathog si unì alla linea di Bigon, e delle città sorsero lungo la strada ferrata…
— … nel 1503, Agohit fece il primo volo con un aereo a motore. Intorno al 1530, Tabisit-tanun compì la trasvolata di Mathog… precipitò nel tentativo di volare sul polo. Suo figlio e sua figlia eriditarono la sua quota nella corporazione, e la figlia precipitò nel secondo tentativo, quando il ghiaccio sulle ali la costrinse ad atterrare nella baia di Gltonig. Questo fu il suo ultimo messaggio radio. L’aereo fu ritrovato, ma di lei nessuna traccia. Il figlio riuscì nell’impresa nel 1541.
— … Dsonan divenne capitale…
— … La lega di Dsonan conquistò Mathog. Bigon resistette. Gli hatani si rifiutarono di farsi coinvolgere senza un appello da parte di Bigon, e ci fu spargimento di sangue finché le due parti chiesero una mediazione. Fu la prima volta in cui si usarono aeroplani per…
— … vennero sviluppate per la prima volta le bombe-razzo…
Provò un grande disagio. Si voltò, in cerca di aiuto… non da Cloen. Nella stanza, gli altri erano seduti alle loro scrivanie. Prese in grembo la tastiera e batté il nome di Betan.
“S-Ì?” apparve in lettere bianche, sulla parte bassa dello schermo.
Thorn esitò. Batté: “I-n c-h-e a-n-n-o s-i-a-m-o?” Era rosso in faccia. Attese una risposta, con il cuore che gli batteva velocemente. Sullo schermo non apparve nulla. Alzò gli occhi e vide Betan alzarsi e venire da lui con un’espressione perplessa sul volto.
— Non ho bisogno di aiuto — disse Thorn. — Era solo una domanda.
Betan guardò lo schermo, e poi lui. Le orecchie di Betan andarono su e giù, e le sue labbra delicate si strinsero. Standogli così vicino, aveva un odore caldo, di fiori. Thorn avrebbe voluto essere a Sheon, avrebbe voluto che il mondo fosse semplice come lo era stato fra quelle montagne, con gli odori della terra e della polvere, e le risposte che conosceva. — È il 1759 — disse lei. Degli abissi gli si aprirono intorno. Senza dubbio Betan lo giudicava uno sciocco. Tutti loro erano cresciuti nel mondo, mentre lui aveva avuto solo Sheon. Betan si mise a ridere. — Perché?
— Non mi ero mai posto la domanda, ecco tutto. — Chiamò sullo schermo un’altra pagina. Finiva con il 1600. — Ho bisogno di una nuova cassetta.
Betan si sedette sul bordo della scrivania, gli appoggiò una mano sul ginocchio. Il tocco di quella mano lo infiammava. Si guardò disperatamente in giro, cercando con la coda dell’occhio dove fossero gli altri, ma erano tutti seduti alle scrivanie.
— Scusami — disse Betan. — Non avrei dovuto ridere. — L’odore di lei era diverso e caldo, e il cuore di Thorn batteva forte. Betan gli premeva sul petto e sul ginocchio, e gli stringeva la gamba. Lui sperava che tirasse via la mano prima che succedesse qualcos’altro. — Sheon non è proprio la capitale del mondo, vero? Senti, se hai bisogno di aiuto, posso restare con te.
— Duun mi vuole in palestra per mezzogiorno.
— Ah. — Gli diede una pacca sulla gamba e si alzò. — Ma è il 1759. Il 19 di ptosin. Fuori è estate.
Thorn sentì improvvisamente l’oppressione delle pareti bianche della scuola; la falsità delle finestre dietro le quali (talvolta) si sentiva il rumore di macchine. Il mondo gli si chiuse intorno, come una mano che gli stringesse il cuore.
A Sheon le foglie erano verdi e i baccelli di hiyi si aprivano; i piccoli di foen uscivano trotterellando e soffiavano ai…
… bambini curiosi dei contadini. Mon, era il nome di uno. Adesso possedevano loro la casa. Vivevano nelle sue stanze. Sedevano vicino al fuoco, sulla sabbia calda, tutti insieme.
Mon. Mon. Mon. Lo odiava.
La città gli si chiuse intorno, imprigionandolo. Ma era colpa sua. Tutta colpa sua. La sua differenza ne era la causa.
— Haras?
— Non posso.
Betan si alzò e tornò alla sua scrivania, sedendo con le gambe incrociate, rivolgendogli la schiena. Thorn riprese in mano la tastiera e guardò lo schermo.
Arrivò un messaggio. “BETAN: Domani, allora. Posso rispondere a delle domande, cose che ti angustiano.”
Lo osservò svolgersi tre volte. Il suo cuore batteva sempre più forte. “S-ì.”
Thorn si rimise in piedi e si pulì dalla sabbia. — Sì. Ho capito.
— Ancora — disse Duun. Non capitava spesso che Duun si mettesse solo il piccolo kilt per gli esercizi. Quel giorno l’aveva fatto, e le sue cicatrici erano in evidenza, come lampi che attraversavano la pelliccia grigia e nera del torso e del braccio, uguali alle cicatrici della faccia. Avevano una terribile simmetria che aveva sempre impressionato Thorn, anche prima di sapere che erano cicatrici. Nessuno al mondo era segnato come Duun, e aveva solo mezza mano destra. Nessuno sorrideva in quella maniera insistente che, Thorn lo sapeva, era sufficiente a intimidire qualsiasi avversario. In quel momento intimidiva lui. (Vuole farmi sudare oggi. Ha qualcosa in mente.) Si ricordò di colpo, che era molto, molto tempo che Duun lo lasciava in pace. (Per non interrompere i miei studi… senza dubbio era questa la ragione. Oppure sono migliorato, e non prova a…)
Questo pensiero svanì in un tentativo fallito, negli interminabili istanti di una caduta, quando Duun gli tolse la terra da sotto i piedi.
Duun spesso sorrideva in momenti del genere. Questa volta rimase fermo, con una faccia scura e non accennò ad alcun attacco. Con le mani appoggiate ai fianchi, guardò invece Thorn che si riprendeva dal capitombolo.
— Ancora.
— Duun-hatani, fammi vedere un’altra volta quella mossa di fianco.
Pazientemente Duun gliela fece vedere. Thorn si chinò e provò un trucco, per scherzo.
Le mani di Duun gli si chiusero intorno, e lo buttarono a terra. (Se ne è accorto.) Duun avrebbe potuto ridere, ma la sua faccia non mutò espressione. Thorn esitò un attimo, sul pavimento, dove era al sicuro, guardandolo. (Dei. Ha qualcosa in mente. C’è qualcosa che non va.) Thorn si scosse dalla testa l’intontimento, i pensieri, la giornata, e si rimise in piedi, concentrandosi il più possibile, senza pensare a nulla: nella sua mente solo il ritmo della danza, la luce e la polvere. Non era in città. Era a Sheon, in mezzo al cortile, a mezzogiorno, e Duun lo affrontava nella più assoluta semplicità.
Si mosse, schivò, colpì, si ritrasse, girò.
— Meglio — disse Duun, e quella sola parola gli scivolò lungo i nervi come dita sulle corde del dkin. — Meglio. Ora attacca.
Senza esitazioni, Thorn colpì. Duun rotolò sulla sabbia e si rimise in piedi in una sola mossa.
Risposta e attacco.
Ancora.
Ancora. Thorn evitò un calcio all’inguine e colpì.
Le sue mani incontrarono la carne, e lui girò su se stesso appena in tempo per vedere Duun che si alzava dalla sabbia. Per un soffio evitò un calcio.
Tempo chiamò Thorn, sollevando una mano. Respirava in grandi ansiti. Duun si raddrizzò, ma non del tutto, respirando alla stessa maniera, e si mise una mano sul fianco. (Dei, l’ho preso, gli ho fatto male. O dei, le sue costole…)
— Sei stato bravo — disse Duun. — Hai passato la mia guardia.
(Non si sarebbe fermato. Se non avessi chiesto l’alt…)
(… mi sarebbe venuto addosso. Mi avrebbe preso.) Non appena Thorn se ne rese conto, le ginocchia cominciarono a tremargli.