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Tenni lo sguardo puntato sulle sue mani mentre mi abbassavo e rialzavo nella passione. Sapevo che se avessi guardato il suo viso si sarebbe impresso per l’eternità nella mia mente come un fotogramma fermo, klieg o non klieg, e avevo paura che guardarla potesse significare scoprire che lei mi guardava con dolcezza o, peggio ancora, non mi guardava affatto. Perché stava guardando, attraverso me, oltre me, due persone che ballavano su un pavimento striato di stelle.

— Tom! — disse quando venne, e io la guardai. I suoi capelli erano sciolti sul cuscino, illuminati da dietro e bellissimi, e il suo viso era attento come lo era stato quella sera al party, mentre guardava Fred e Ginger sullo schermo, rapito e meraviglioso e triste. E, finalmente, puntato su me.

CLICHÉ CINEMATOGRAFICO N. 1: Il lieto fine. Non richiede spiegazioni.

VEDERE: Ufficiale e gentiluomo, Un amore splendido, Insonnia d’amore, Il miracolo del villaggio, Voglio danzar con te, Grandi speranze.

Sono passati tre anni, e nel frattempo in Cina ci sono state quattro sollevazioni nelle province e sei rivolte studentesche, e Mayer è passato attraverso tre assorbimenti e otto boss, il penultimo dei quali lo ha promosso vicepresidente.

Mayer non si rese conto del fatto che stavo rimettendo l’alcol nei film da quasi tre mesi, e a quel punto io avevo completato tutta la serie dell’Uomo Ombra, Il mistero del falco e tutti i western, e Arthurton era sulla rampa di lancio.

Hedda, ancora nella parte di Joan Blondell, convinse Mayer a non uccidermi e a tenere un toccante discorso sul tema “La Censura e il Profondo Amore per i Film”, dopo di che Mayer venne licenziato in modo spettacolare giusto in tempo per essere riassunto dal suo nuovo boss come “l’unica persona dotata di morale in questa intera città corrotta.”

Hedda venne promossa direttore dei set e poi (dal penultimo boss) assistente produttore addetto ai Nuovi Progetti, e mi assunse immediatamente per dirigere un remake. Lieto fine per tutti.

Nel frattempo, io programmai i lieto fine per Felici E Contenti e mi laureai e continuai a cercare Alis. La trovai in Pennies from Heaven e Into the Woods, l’ultimo musical che sia mai stato girato, e in La provinciale. Credevo di avere trovato tutto. Fino a stasera.

Ho riguardato la scena di Indy, scrutando le scarpette argentee e le parrucche biondo platino e pensando al musical. Indiana Jones e il tempio maledetto non è un musical. Anything Goes è l’unico numero di ballo che contenga, e c’è solo perché una delle scene si svolge in un nightclub, e lo spettacolo nel night è quello.

E forse è questo il modo giusto di procedere. Nemmeno il remake che sto preparando è un musical, è uno strappalacrime su due innamorati perseguitati dal fato, ma potrei cambiare la scena nella sala da pranzo dell’hotel e ambientarla in un night-club. E poi, appena arriverà il nuovo boss, fare un remake che si svolga tutto in un nightclub, e metterci dentro Fred (che a quel punto non sarà più conteso in tribunale), in un solo numero. In Carioca interpretava appunto un solo numero. Era sui trent’anni, sulla via della calvizie, sapeva appena ballicchiare, e guardate com’è andata a finire.

E prima che qualcuno se ne possa rendere conto, Mayer racconterà a tutti che il musical sta tornando, e mi daranno da fare il remake di Quarantaduesima strada e scoprirò dove diavolo sia Alis e ci metteremo a lavorare sullo scivolo e allestiremo uno spettacolo. Tutto è possibile.

Persino il viaggio nel tempo.

L’altro giorno ho chiamato Vincent per farmi prestare il suo programma di editing, e lui mi ha detto che il viaggio nel tempo è fottuto. — Eravamo vicini “così”, — Il suo pollice e l’indice quasi si toccavano. — In teoria, l’effetto Casimir dovrebbe funzionare per il tempo come per lo spazio, ma hanno mandato immagini su immagini in una regione di antimateria, e niente. Nessuna sovrapposizione. Mi viene da pensare che forse certe cose non sono possibili.

Si sbaglia. La sera prima di partire, Alis mi ha detto: “Dopo quello che mi hai detto l’altra sera, ho pensato che magari per le elevazioni potrei usare un’imbracatura e una cintura dati” e io mi ero chiesto cosa le avessi detto, e quando le avevo fatto vedere il disco coi suoi numeri lei aveva commentato: “Sette spose per sette fratelli? Sei sicuro?”.

“Non è sul disco” le avevo detto. “C’è in ballo una causa legale.” Il film era rimasto inaccessibile fino al giorno dopo. E controllando avevo scoperto che lo era stato per tutte le settimane in cui io avevo cercato Alis.

E prima di allora, per altri otto mesi, chiuso in una camera blindata comperata dalla Società per la Salvaguardia dei Film. La sera in cui lo avevo visto, Sette spose era tornato disponibile esattamente da due ore. E un’ora dopo era di nuovo conteso in tribunale.

Alis aveva lavorato a È Nata Una Stella per soli sei mesi. Sette spose era rimasto bloccato per tutto quel periodo. Fino a dopo che io avevo ritrovato Alis. Fino a dopo che le avevo detto di averla vista in quel film. E quando l’avevo informata, lei aveva chiesto: “Sette spose per sette fratelli? Sei sicuro?”. E io avevo pensato che fosse sorpresa perché i salti e i balzi in aria erano così difficili, sopresa perché non aveva mai cercato di sovrimporre la sua immagine a quella della ballerina sullo schermo.

Sette spose era tornato disponibile solo il giorno dopo.

E una settimana e mezzo più tardi Alis era venuta da me. Era arrivata diritta dallo scivolo, dalle sue prove con l’imbracatura e la cintura dati che pensava potessero funzionare, dopo quello che le avevo detto io sere prima. E avevano funzionato. “Più o meno” aveva detto Alis. “Insomma…”.

Era venuta nella mia stanza diritta dalle sue prove, col vestito rosa di Virginia Gibson, coi pantaloni di Virginia Gibson, col costume per la scena della costruzione del fienile che aveva appena provato. La scena nella quale io l’avevo vista ballare sei settimane prima che lei la provasse. E quindi, a conti fatti la mia teoria del suo viaggio all’indietro nel tempo era giusta, anche se si trattava solo della sua immagine, solo di pixel su uno schermo. Alis non aveva cercato nemmeno di scoprire il viaggio nel tempo. Aveva cercato solo di imparare dei numeri di ballo, ma lo schermo davanti al quale provava non era uno schermo. Era una regione d’antimateria, piena di elettroni randomizzati e potenziali sovrapposizioni. Piena di possibilità.

Niente è impossibile, Vincent, penso guardando Alis che sgambetta nel suo costume coi lustrini. Non quando sai quello che vuoi.

Hedda mi ha chiamato. — Mi sbagliavo. Il trimotore Ford è all’inizio del secondo Indy. Indiana Jones e il tempio maledetto. Dal fotogramma…

— L’ho trovato — le rispondo, fissando accigliato lo schermo sul quale Alis, in parrucca biondo platino, sta eseguendo un passo.

— Cosa c’è? — chiede Hedda. — Non va bene?

— Non sono sicuro. Quand’è che verrà decisa la causa su Fred Astaire?

— Tra un mese — risponde immediatamente lei. — Ma si ricomincerà subito. La Sofracima-Rizzoli intenterà causa per violazione di copyright.

— E cosa diavolo sarebbe la Sofracima-Rizzoli?

— Lo studio che possiede i diritti su un film di Fred Astaire degli anni Settanta. Un taxi color malva. Prima o poi si metteranno d’accordo. Facciamo tre mesi. Perché? — chiede, sospettosa.