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Per il momento non avevano altro da dirsi, e Bob tornò fra gli altri studenti. Siccome era l’ora di ricreazione giocò a ping-pong con un compagno di classe, e perse vergognosamente perché invece di concentrarsi sul gioco continuava a pensare al modo di raggiungere subito l’isola. La sua sconfitta provocò una pioggia di commenti, perché Bob non aveva mai perso una partita a ping-pong. Quando tornò in camera, c’era già il suo compagno di stanza, quindi niente conversazione con il Cacciatore. Il giorno seguente era un lunedì, e ci furono lezioni tutta la mattinata. Solo dopo pranzo Bob, preso con sé qualche libro, andò in cerca di una classe vuota dove stare tranquillo. Gli era venuta in mente una cosa e doveva dirla assolutamente al Cacciatore. Seduto a un banco, tenendo la voce molto bassa per non attirare l’attenzione di chi passava per il corridoio, il ragazzo cominciò a parlare, ma prima dell’argomento ritorno, ne affrontò un altro.

«Bisogna trovare il modo di comunicare tra noi in qualsiasi momento» disse. «Tu puoi farlo, ma io no. Se c’è vicino qualcuno che mi sente, mi prenderebbe per matto. Questa notte mi è venuta un’idea e non sapevo come fare per dirtela!»

Il problema della conversazione continua non è insolubile, rispose il Cacciatore. Puoi parlare anche tenendo la bocca chiusa, in maniera che non ne esca alcun suono. Io posso ugualmente sentire quello che dici dalle contrazioni delle tue corde vocali e dai movimenti della lingua. Avrei potuto dirtelo subito, ma non mi è venuto in mente che bisognasse tenere segreta la nostra associazione. Comunque che cosa volevi dirmi?

«Non trovo nessun altro mezzo per tornare sull’isola se non fingere una malattia, così che mi spediscano a casa per la convalescenza. Ma non mi sarebbe possibile fingermi malato in modo da ingannare un medico, tu però potresti suscitare dei sintomi tali da convincerli. Che ne dici?»

La cosa è possibile, disse il Cacciatore, esitando, ma da parte mia ci sono alcune obiezioni. Certo, tu non puoi renderti conto di quanto sia radicata in noi la ripugnanza a fare qualcosa che danneggi il nostro ospite. In caso di emergenza, e con una creatura della quale conoscessi perfettamente la costituzione, potrei adottare il tuo piano. Però nel tuo caso non ho la certezza che un mio intervento per provocare in te un’alterazione non generi un danno permanente. Mi capisci?

«Sono cinque mesi ormai che vivi nel mio corpo. Dovresti conoscermi bene, mi pare!» disse Bob.

Conosco benissimo la tua struttura fisica, ma non il tuo potere di tolleranza a particolari interventi. Non devi dimenticare che la tua razza è del tutto nuova per me, e che di voi io conosco soltanto i dati ricavati da te. Non so, ad esempio, per quanto tempo certe cellule possono resistere senza nutrimento e senza ossigeno. Ignoro il tasso di anidride carbonica sopportabile dal tuo sangue. Non conosco il genere e la forza di interferenza che il tuo sistema nervoso può tollerare senza danni. Forse alcuni miei deboli interventi potrebbero ugualmente dare gli effetti richiesti, ma mi ripugna ricorrere a questo sistema. E poi sei sicuro che se ti ammali ti rimandano a casa? Potrebbero farti curare in un ospedale del posto, no?

L’ultima obiezione del Cacciatore fece riflettere Bob. La faccenda dell’ospedale non gli era venuta in mente.

«Non lo so» rispose alla fine. «Forse dovremo escogitare qualcosa che richieda come cura un periodo di riposo.» Fece una smorfia perché la cosa non gli andava a genio. «Io sono ancora del parere che tu possa intervenire senza per questo rovinarmi.»

Il Cacciatore non si compromise e disse che ci avrebbe pensato, raccomandò al ragazzo di fare lo stesso, e di trovare possibilmente qualche altra soluzione.

Bob promise, per quanto poco convinto. Anche il Cacciatore non era ottimista al riguardo. Non conosceva bene la psicologia del ragazzo, ma era propenso a credere che Bob non avrebbe affatto pensato a qualcos’altro se prima non avesse avuto la certezza che il suo piano originario era inattuabile.

Di conseguenza i soli progressi dei giorni successivi furono quelli fatti nel sistema di comunicazione. Come il poliziotto aveva previsto, gli era facile interpretare le contrazioni delle corde vocali del ragazzo, e perché lui potesse rispondere bastava che Bob fissasse una qualunque superficie sgombra. Cominciarono anche a servirsi di alcune abbreviazioni, rendendo più spedito il colloquio. Né l’uno né l’altro però ebbero nuove idee su come tornare sull’isola in piena regola.

Un osservatore estraneo, al corrente della situazione di Bob e in grado di penetrare i segreti d’ufficio della scuola, si sarebbe certamente divertito in quei giorni. Da un lato c’erano il Cacciatore e il suo ospite ossessionati dall’idea di escogitare un sistema per lasciare la scuola. Dall’altro, preside e professori, preoccupati, che cercavano di capire perché il ragazzo fosse cambiato così di colpo, diventando disattento e peggiorando notevolmente negli studi rispetto ai risultati sempre ottenuti. E qualcuno cominciò a pensare seriamente che fosse il caso di rimandare a casa sua il ragazzo, almeno per un certo periodo. La semplice presenza del Cacciatore, o piuttosto il fatto che Bob ne fosse a conoscenza, stava dando proprio i risultati voluti dall’extraterrestre e dal ragazzo.

Venne consultato il medico dell’istituto, il quale riferì che la salute di Robert Kinnaird era ottima, e che la ferita al braccio non era certo responsabile di un suo qualsivoglia squilibrio in quanto non presentava nessun segno d’infezione. I professori non sapevano più cosa pensare poiché era innegabile che il ragazzo fosse cambiato. Da gioviale e allegro si era fatto musone e orso. Dietro loro richiesta, il medico ebbe un colloquio privato con Bob. Non arrivò a stabilire niente di concreto ma ne riportò l’impressione che il ragazzo avesse qualche preoccupazione e desiderasse mantenerla segreta. Essendo un medico trasse una conclusione logica, ma errata, sulla natura di questa preoccupazione, e consigliò di rimandare il ragazzo dai suoi almeno per qualche mese.

Il preside della scuola scrisse al signor Kinnaird spiegando la situazione così come l’aveva prospettata il medico e dicendo che, se da parte dei signori Kinnaird non c’era niente in contrario, avrebbe disposto perché Robert tornasse immediatamente a casa. Il padre di Bob accettò la proposta del signor Raylance, pur non essendo molto convinto sulla teoria del medico. D’altra parte, se Bob non rendeva negli studi era stupido lasciarlo nell’istituto, qualunque fosse il motivo di questo scarso rendimento. Nell’isola poi c’era un ottimo medico e un’altrettanto ottima scuola, nonostante il parere della signora Kinnaird al riguardo, e appena stabilita la natura del malanno, Bob avrebbe frequentato la classe locale per mantenersi al corrente degli studi e non perdere l’anno. Il signor Kinnaird, al quale tra l’altro non dispiaceva affatto di avere presso di sé il figlio un po’ più del solito, mandò un telegramma al signor Raylance autorizzando il ritorno di Robert.

Dire che Robert e il Cacciatore restarono sorpresi quando ricevettero la notizia è usare un fiacco eufemismo. Il ragazzo fissò a bocca aperta il signor Raylance che l’aveva chiamato nel suo ufficio per comunicargli la notizia, mentre il Cacciatore si sforzava inutilmente di leggere alcune carte sparpagliate sulla scrivania del preside.

Finalmente Bob recuperò l’uso della parola. «Ma perché mi rimandate a casa, signore?» chiese. «È successo qualcosa ai miei?»

«No, no, non ti preoccupare figliolo. A casa tua stanno tutti bene. Abbiamo solo pensato che avessi bisogno di qualche mese di atmosfera casalinga. Ultimamente mi pare che i tuoi risultati non siano stati brillanti, vero Robert?»

«Volete dire che sono espulso dalla scuola? Ma… non mi sembrava di andare male…»