«Benissimo, Cacciatore» disse Bob, reso particolarmente di buon umore dall’idea di rivedere presto la sua isola e i suoi amici. «Ti disegnerò una carta più utile di qualsiasi spiegazione verbale. In cabina devo avere dei fogli abbastanza grandi.» Il ragazzo voltò le spalle al mare, e per la prima volta in tanti viaggi, non si interessò alle pulsazioni che salivano dal cuore dello scafo, dove il grosso Diesel era entrato in funzione.
La cabina era uno stretto locale ricavato a poppa, con una branda per unico arredamento. Decisamente il mercantile non era stato progettato per trasportare passeggeri.
Frugando nei bagagli, Bob trovò un foglio di carta e una matita, e sedutosi sulla cuccetta tracciò per il Cacciatore uno schizzo dell’isola a forma di elle maiuscola, fornendo a mano a mano le varie informazioni riguardo al porto, le zone abitate dagli indigeni e quelle dove sorgevano le case dei bianchi, le strade, la barriera di corallo che di tanto in tanto andava smantellata per non compromettere l’entrata in porto delle navi con maggior pescaggio, le zone dove la vegetazione più folta era ancora allo stato di giungla primitiva, il sistema di scarico dei rifiuti, la produzione locale di petrolio e olio lubrificante integrata dall’utilizzazione di certi particolari insetti che depositano detriti appunto sotto forma di olio anziché di gas mefitici come altri di una specie simile, eccetera eccetera.
Quando risalirono sul ponte, alle loro spalle si vedeva soltanto il picco centrale di Tahiti.
Appena vide il ragazzo, l’uomo di guardia allungò la mano verso il telefono, con l’intenzione di chiedere rinforzi, poi rinunciò, ridendo. Bob girellò qua e là, chiacchierando con gli uomini, e si comportò abbastanza bene. Durante la giornata riuscì solo a bruciacchiarsi una mano andando a mettersi troppo vicino a una caldaia in sala macchine, e a far venire i capelli grigi al macchinista. Infine scese la notte. Il mattino seguente ci fu mare grosso, e il Cacciatore cercò invano un rimedio contro la nausea, in favore del suo ospite. Comunque, con grande sollievo di Bob, il vento calò dopo poche ore e le onde tornarono a dimensioni ragionevoli.
Poco dopo mezzogiorno comparve l’isola.
Secondo la terminologia locale l’isola era alta ma in realtà il suo punto più elevato s’innalzava sul livello del mare di soli ventisette metri, ragione per cui il cargo era già vicinissimo all’isola nel momento in cui Bob poté indicarla al Cacciatore.
A quanto pare saremo a riva tra un paio d’ore, commentò lo straniero. Se non hai niente in contrario vorrei vedere ancora quella carta che hai disegnato.
Nonostante l’assoluta impossibilità di esprimere scrivendo un qualsiasi stato d’animo, il ragazzo credette di indovinare un’eccezionale serietà nelle parole del suo ospite, e non fece obiezioni. Scese in cabina e aprì il foglio con lo schizzo.
Mi hai chiesto come avremmo fatto a scoprire dove si nasconde l’individuo che inseguo, disse subito il Cacciatore. Ma io non ti ho risposto.
«Mi sono infatti chiesto perché» disse il ragazzo. «Ma la tua razza mi sembra così… strana, che ho pensato che tu fossi in grado di sentirlo all’odore o qualcosa del genere. Vederlo, comunque, no, se è come te. O forse possiedi qualche strumento capace di rivelarne la presenza?»
Non possiedo nessuno strumento. Senti Bob, questo è il tuo mondo. Se tu fossi al mio posto, cosa faresti?
Il ragazzo ci pensò qualche minuto. «Quando tu entri in un corpo ti accorgi se lì c’è già qualcuno come te, no?» disse poi. Il Cacciatore fece un breve segno di conferma. «Nel tempo che ci impiegano due persone a stringersi la mano, tu riesci a penetrare sufficientemente in un corpo?»
No. Occorrono diversi minuti per farlo in modo che la persona non si accorga di niente. E poi, se tu lasci andare la mano dell’altro mentre io sono contemporaneamente in due corpi, la cosa sarebbe molto imbarazzante a tutti gli effetti. Potrei controllare tutti gli abitanti dell’isola lavorando di notte mentre dormono, ma dovrei essere in grado di spostarmi molto più rapidamente per non impiegare troppo tempo. Inoltre, così facendo, mi troverei in posizione di notevole svantaggio nel momento in cui localizzassi il mio «amico». Naturalmente il controllo finale dovrò farlo con questo sistema, ma dovrei essere ragionevolmente sicuro prima di tentare. Credo che mi sarebbe utile sentire la tua idea in proposito.
«Non conosco i vostri sistemi normali» disse Bob. «Al momento non mi viene in mente qualche persona particolare, ma si potrebbe ricostruire quello che il tuo amico ha fatto dal momento del naufragio, e poi fare una selezione delle persone che lui può aver scelto come ospiti. Cosa ne pensi?»
La cosa è possibile, però con una precisazione: noi possiamo ricostruire quello che forse il mio amico ha fatto. Può darsi che non esistano prove, o ne esistano pochissime, ma ritengo di poter stabilire con una certa precisione i suoi movimenti. Per far questo ho bisogno di sapere il più possibile sulla situazione. Tu puoi dirmi molto, e molto posso vedere io, personalmente.
«Ho capito» rispose Bob. «Allora bisogna cominciare dal momento in cui ha raggiunto l’isola… se l’ha raggiunta. Tu hai qualche idea?»
Dovremo cominciare da prima. Per decidere dove ha toccato terra bisogna prima sapere con precisione in che punto è naufragato. Vuoi indicarmi sulla carta il luogo in cui ti ho trovato?
Bob segnò un punto sulla cartina. All’estremità nordovest dell’isola, alla fine dell’asta più lunga della elle, la terra si assottigliava per finire come una specie di torta senza una fetta. Da lì la scogliera si allungava a nord per poi curvare a est e tornare in direzione sud verso la baia. Bob segnò il lato ovest della torta.
«Questo è l’unico punto della spiaggia non protetto dalla scogliera» spiegò il ragazzo. «È il posto che io e i miei amici preferiamo. È qui che siamo andati a nuotare quel giorno. Ricordo benissimo lo squalo.»
Questo, allora, è assodato, disse il Cacciatore. Sino a poco prima di penetrare nell’atmosfera terrestre la mia astronave, guidata dal pilota automatico, seguiva quella del fuggitivo. Appena mi resi conto di essere troppo vicino al pianeta ripresi personalmente il controllo dell’apparecchio cercando di imprimergli una traiettoria curva, ma non ci riuscii. Anche ammettendo che l’attrito con la vostra atmosfera avesse provocato una deviazione dalla nostra linea di volo, non credo che i nostri rispettivi punti d’impatto con l’acqua abbiano avuto tra loro una distanza superiore a due o tre chilometri. Io personalmente sono sprofondato alquanto vicino alla riva. Tu sai con che rapidità s’abbassa il fondale attorno all’isola?
«Solo approssimativamente. Comunque, oltre la barriera, l’acqua è subito molto profonda, infatti anche le navi molto grosse possono arrivare quasi fino a ridosso della scogliera.»
Proprio quello che pensavo. Io sono finito su un bassofondo. Lui dev’essere sprofondato in un raggio di due o tre chilometri attorno a quel punto. Una buona parte della zona compresa in questo raggio la possiamo eliminare. È escluso che sia caduto sulla terraferma, per esempio, perché i miei strumenti hanno chiaramente indicato che affondava in un elemento liquido. Sono altrettanto sicuro che non è arrivato nella baia, dato che lì l’acqua è profonda, come mi hai spiegato, e a quella velocità lui avrebbe immediatamente raggiunto il fondo e io l’avrei subito perso di vista mentre invece i miei strumenti hanno continuato a segnalarlo per qualche secondo. Quindi bisogna partire dal presupposto che è finito entro un semicerchio a ovest dell’isola, avente come centro la tua spiaggia. La certezza che sia andata effettivamente così non è assoluta, ma almeno ci fornisce un punto d’inizio. Ti è venuta qualche idea?