Bob rise. «Te la porterò appena mi sarò cambiato» rispose.
Caricate le valigie, Bob si mise al volante e raggiunse rapidamente la strada asfaltata che penetrava nell’isola per due o trecento metri, per congiungersi con l’arteria principale. Ai lati della breve strada sorgevano baracche costruite in lamiera, magazzini, pensò il Cacciatore. Le baracche continuavano su tutto il braccio più breve dell’isola. Vide anche sporgere la caratteristica sagoma di un serbatoio in cemento e si ripropose di chiedere perché quello fosse sulla terraferma anziché nell’acqua come gli altri.
Poco dopo il punto d’incontro fra le due strade, le case d’abitazione sostituirono le baracche. Per lo più sorgevano sul lato verso la spiaggia. La prima, però, fronteggiata da un grande giardino, era sulla destra, subito dopo la curva. Nel giardino si dava da fare un giovane con la pelle scura. Vedendolo, Bob pigiò sul freno, e appena la jeep si fermò il ragazzo lanciò un fischio acutissimo. Il giovane sollevò la testa e subito corse verso di lui.
«Bob! Non sapevo che saresti arrivato così presto! Che cos’hai combinato?»
Charles Teroa aveva soltanto tre anni più di Robert, ma il fatto di aver già finito gli studi l’autorizzava ad assumere un tono paterno con l’amico più giovane ancora impegnato a studiare.
A Bob la cosa non andava molto a genio, adesso però aveva qualche asso nella manica.
«Sempre meno di quello che hai combinato tu, stando a quel che mi ha detto tuo padre» disse.
«Figuriamoci se papà stava zitto!» ribatté Charles, ridendo. «Però è stato divertente!»
«Ma credi davvero che darebbe un lavoro a un tipo che se ne sta tutto il giorno a dormire?» chiese Bob, fedele alla promessa di non dire niente.
Charles parve offeso. «Cosa vorresti insinuare? Io non dormo mai quando ho qualche lavoro da fare.» Si voltò a guardare il suo giardino con le aiuole ben tenute, all’ombra degli alberi che crescevano attorno alla casa. «Guarda un po’ quello. Dammi qualcosa da fare e io lo faccio! In ogni caso non ho intenzione di continuare a studiare.»
«E che cosa farai allora?»
«Ho parlato delle mie intenzioni con il signor Denis. E se questo viaggio non gli ha dimostrato abbastanza, ritenterò.»
«Non ti scoraggi facilmente, eh?» disse Bob. «Quando rifarai il tentativo?»
«Non so ancora. Ti avvertirò quando sarò pronto. Vuoi venire anche tu?»
«Non ci penso nemmeno! Vedremo per quanto ti durerà l’idea. Ti saluto, bisogna che scarichi le valigie a casa e poi devo riportare la jeep a mio padre, e arrivare alla scuola per l’ora d’uscita.»
Charles scese dal predellino della macchina. «Peccato che tu non sia una di quelle cose di cui ci parlano a scuola e che possono dividersi in due! Ciao.»
Certe volte Bob aveva riflessi prontissimi. Senza accusare il colpo ricevuto dalle parole dell’amico, salutò, mise in moto, e subito dopo la curva accelerò. Percorsero circa ottocento metri fra case e giardini, poi il ragazzo portò la jeep su un lato della strada e fermò di nuovo.
«Cacciatore, non ci avevo pensato, ma Charlie me l’ha fatto venire in mente» disse agitato. «Hai detto che voi siete come le amebe. Siete come loro in tutto? Voglio dire, non sarà il caso che dovremo cercare più di un individuo della tua specie?»
Il Cacciatore dovette pensarci un momento prima di afferrare il significato della domanda. In sostanza mi hai chiesto se il nostro amico può essersi scisso in due come possono fare le vostre amebe, disse alla fine. Vedi, noi siamo assai più complessi delle amebe. L’individuo che stiamo cercando potrebbe benissimo aver generalo da sé un pezzo della sua carne, ma il nuovo nato raggiungerebbe il pieno sviluppo soltanto in uno dei vostri anni. Come ho detto, avrebbe potuto farlo, ma non credo, e per un motivo validissimo. Se l’avesse fatto quando si trovava nel corpo del suo ospite, il nuovo nato, mancando di qualunque cognizione sull’essere che lo ospitava, avrebbe rischiato di ucciderlo e nella sua cieca ricerca di nutrimento e nell’assoluta ignoranza del posto in cui viveva. La nostra razza possiede molte più cognizioni biologiche della vostra, ma i nostri neonati ignorano tutto, come i vostri, e vivere dentro un ospite forma la materia principale del nostro periodo di insegnamento. D’altra parte il nostro ricercato potrebbe aver effettivamente pensato a riprodursi, e per uno scopo del tutto egoistico: creare cioè un essere che con molta probabilità, data appunto la sua inesperienza, sarebbe stato facilmente rintracciato e distrutto dandomi l’impressione di aver distrutto lui stesso. Confesso di non aver preso in considerazione questa possibilità ma anche adesso la ritengo improbabile, non per la natura del fuggitivo, che non avrebbe esitato a fare una cosa simile, ma per il più semplice fatto che una volta trovato un ospite conveniente, il suo stesso egoismo gli avrà suggerito di non compromettere la propria sicurezza abbandonando il proprio rifugio per dare vita a un altro se stesso.
«Meno male!» esclamò Bob. «Avevo temuto che nei cinque mesi di tregua fosse nata un’intera tribù alla quale dare la caccia!»
Il ragazzo rimise in moto e arrivò fino a casa senza più fermarsi.
La casa di Kinnaird sorgeva alquanto arretrata rispetto alla strada, alla fine di un viale tenuto completamente in ombra dai rami degli alberi che le facevano da tetto. Era un edificio a due piani, praticamente in mezzo alla giungla, che lasciava libero solo uno spiazzo di pochi metri sul davanti della costruzione. Un portico con fiori fronteggiava l’ingresso. Sull’isola la temperatura non raggiungeva valori altissimi, data la presenza del mare, ma a volte il sole aveva un calore insopportabile e un po’ d’ombra era il sogno di tutti.
La signora Kinnaird stava aspettando sotto il portico. L’incontro tra madre e figlio fu molto affettuoso, e l’aspetto di Bob rassicurò subito la signora Kinnaird sulla salute del ragazzo. Bob non restò in casa a lungo dopo aver scaricato la jeep, ma la vivacità con cui la mise al corrente del viaggio finì di convincerla che Bob stava benissimo, perciò non se la prese molto quando lui, cambiato vestito e caricata la sua bicicletta sulla macchina, ripartì veloce verso i dock.
Essendo una donna di molto buon senso, la signora Kinnaird non si aspettava certo che il figlio provasse molto entusiasmo a starsene seduto in cucina a chiacchierare con lei anziché andare con gli amici. Anzi, si sarebbe preoccupata moltissimo se Bob l’avesse fatto, perché sarebbe stato nettamente in contrasto con il suo carattere. Appena ripartito il ragazzo, la signora Kinnaird riprese le sue faccende con cuore più leggero. Non aveva proprio motivo di preoccuparsi per il figlio.
Bob arrivò ai dock senza incontrare nessuno. Parcheggiò la jeep nel solito posto e scaricò la bicicletta. A questo punto si verificò un lieve ritardo perché il ragazzo non aveva controllato le gomme e quindi dovette gonfiarle. Era eccitato e ansioso, non solo per il prossimo incontro con gli amici, ma perché stava per avere inizio un nuovo interessante gioco.
Lui era pronto per l’apertura della caccia. Conosceva alla perfezione il luogo in cui sarebbe avvenuta la battuta, perché era la sua isola.
E aveva come compagno di gioco il Cacciatore che non ignorava niente sulle abitudini e le capacità dell’assassino ricercato.
Restava da scovare, tra i possibili ospiti, quello giusto. Bob era un ragazzo sveglio e intelligente, e non gli ci era voluto molto per rendersi conto che fra tutti gli abitanti dell’isola i soli che potevano aver offerto rifugio al ricercato, cioè quelli che trascorrevano molto tempo sulla spiaggia, vicino all’acqua, erano i suoi migliori amici.
9
Bob aveva calcolato bene il tempo. Quando arrivò davanti all’edificio della scuola le lezioni erano finite sì e no da un minuto. Immediatamente fu circondato da una turba rumorosa di ragazzi. Un gran stringere di mani, scambi di saluti, domande e risposte, e infine il gruppo si sciolse e Bob restò con gli amici più intimi.