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«Non ci servirebbe quel trucco del siero?»

Ne dubito. Conosco la tecnica per quegli esami, e so che il tuo siero sanguineo potrebbe andar bene, ma c’è un particolare: non sappiamo ancora su chi usarlo, e quando lo sapremo sarà molto più rapida una mia esplorazione personale.

«Forse hai ragione. Però se tu fossi in condizioni di lasciare il mio corpo, potrei fare io stesso l’esperimento.»

Questo è vero. Ricordiamoci quindi che abbiamo questa possibilità. Ma, a proposito, sai qualcosa di Teroa? Quando partirà?

«Il mercantile arriva ogni otto giorni, perciò sarà qui tra una settimana. Penso che Charles partirà con quello. Prima è impossibile. Non credo che ci sia in giro la Beam.»

Che cos’è?

«Una nave di una Compagnia privata. Qualche volta fa servizio tra le isole e il continente. Ho preso quella quando sono partito da qui. Ma lasciami pensare… Dunque, doveva andare in bacino di carenaggio a Seattle, dopo quel viaggio, per far qualcosa al motore. Dev’essere ancora là. Immagino che adesso mi chiederai chi è partito con la Beam quando siamo partiti noi. La risposta è: nessuno è partito.»

Grazie per aver afferrato con tanta prontezza e aver risposto così rapidamente, disse il Cacciatore. Se avesse potuto avrebbe sorriso.

Bob non aveva orologio, ma a occhio e croce giudicò che mancasse poco alla fine delle lezioni, perciò si diresse alla scuola. Era un po’ presto, e il ragazzo aspettò lì davanti. L’attesa non fu lunga.

«Non cominciate a dirmi che sono fortunato perché non ero a scuola come voi!» disse subito, interpretando le espressioni degli amici che gli si affollarono intorno appena usciti. «Propongo di andare ad aggiustare la barca. Lunedì comincerò anch’io le lezioni, e vorrei divertirmi un po’ in questi giorni.»

«Fortuna ne hai portata, comunque» disse Hay. «Per settimane abbiamo cercato un’asse, e non l’abbiamo trovata finché non sei arrivato tu! Ragazzi, andiamo ad aggiustare il fondo finché dura la fortuna.» Un coro di approvazioni salutò la proposta, e tutti andarono a prendere le biciclette. Bob venne portato in canna da Malmstrom, perché era andato a piedi dal dottore. All’altezza di casa sua smontò per andare a prendere alcuni arnesi, poi, insieme all’amico, raggiunse il corso d’acqua e lì si fermarono ad aspettare gli altri che erano andati a loro volta a rifornirsi di attrezzi. Quando furono di nuovo riuniti, depositarono le biciclette, rimboccarono i pantaloni, tolsero le scarpe e imboccarono il sentiero che portava al punto dove c’era la barca. Il sentiero faceva praticamente parte del corso d’acqua, e i ragazzi non si erano mai preoccupati di costruire dei ponti.

Guazzando e saltando tra l’acqua e i cespugli, finalmente arrivarono a posare il loro carico di attrezzi nel punto in cui il piccolo canale finiva nella baia. Lì c’era la barca in secca, e accanto alla barca la grossa tavola di legno.

I ragazzi tirarono un respiro di sollievo. Nessun pericolo che qualcuno si prendesse la barca, soprattutto in quelle condizioni, ma per il legname era un’altra faccenda. Il fondo dell’imbarcazione era veramente conciato male: c’era un bel buco, largo una decina di centimetri e lungo almeno sessanta.

I ragazzi non erano carpentieri, ma, rivoltata la barca, tolsero la striscia di legno rovinata a tempo di primato.

Sostituire l’asse fu più complicato. Il primo tentativo diede vita a una striscia troppo stretta e irregolare, per la loro incapacità di segare diritto dove c’erano i nodi del legno. La seconda striscia risultò troppo larga, ma finalmente, dopo una bella faticata, ottennero le dimensioni volute.

L’opera di sostituzione, con l’aiuto di qualche tassello ricavato dalle schegge, riuscì in modo soddisfacente.

Subito spinsero la barca in acqua, recuperando i remi nascosti fra i cespugli, e saltarono nell’imbarcazione. Pensarono per un attimo di aspettare un po’ perché la nuova tavola si gonfiasse e fosse possibile controllare che non imbarcasse troppa acqua, ma l’impazienza e il sapere di essere tutti eccellenti nuotatori giocò in favore di una partenza immediata. Effettivamente acqua ne entrava, ma in quantità tale da poter essere tolta facilmente con le apposite tazze. Se ne incaricarono i due più giovani, mentre Rice si metteva al timone e Bob e Kenneth Malmstrom remavano.

A un tratto, Bob si rese conto che mancava qualcuno: il cane che di solito li accompagnava, accucciandosi a poppa.

A ripensarci bene, non l’aveva visto affatto dopo il suo ritorno.

«Che fine ha fatto Tip?» chiese a Rice.

«È un mistero» rispose l’amico. «È scomparso parecchio tempo fa, prima di Natale. L’abbiamo cercato dappertutto… Forse ha tentato di raggiungere a nuoto l’isolotto dove Norman ha il suo serbatoio, ricordandosi di essere andato là qualche volta con noi, ed è stato preso da un pescecane. Però non ne sono molto convinto. Non si è mai visto un pescecane così vicino a riva! Comunque, è scomparso.»

«Che strano. L’avete cercato nella giungla?»

«Sì, per quanto non molto bene. Però l’abbiamo chiamato e se fosse stato là, vivo, ci avrebbe sentiti. Ma che cosa potrebbe averlo ucciso nella giungla?»

«Già» approvò Bob. «Serpenti non ce ne sono.» Poi cambiò discorso. «Cos’è la storia del serbatoio? Norman vuol fare concorrenza alla Compagnia dei Petroli?»

«Ho ripulito una pozza su un isolotto della scogliera» rispose Norman Hay, interrompendo per un attimo il suo lavoro. «Poi ho tappato le fessure delle pareti e l’ho riempito con alghe, pesci, eccetera, per farne un acquario. In principio è stato solo per divertimento, ma poi ho scoperto che alcune riviste cercano fotografie a colori di vita marina, e io ne ho mandato qualcuna. Il guaio è che nella pozza pare che non riesca a vivere niente. Muore persino il corallo!»

«Andiamo a darci un’occhiata» disse Bob.

«È tardi, ora» osservò Norman. «Abbiamo perso molto tempo, oggi!»

I ragazzi alzarono le teste a guardare la posizione del sole. Nonostante il parere dei genitori, i cinque amici non rinunciavano alle loro gite alla scogliera, ma nessuno osava arrivare in ritardo per l’ora di cena. Non ci furono obiezioni quando Rice manovrò il timone girando la prua della barca verso l’isola, e i rematori raddoppiarono di lena.

Bob remava pensando che un altro giorno era passato senza portare niente di nuovo e di utile per la soluzione del loro problema, suo e del Cacciatore. L’extraterrestre diceva che bisognava esaminare Charles Teroa, ma non aveva particolari sospetti sul polinesiano. Diceva così solo perché Charles tra poco non sarebbe più stato sull’isola. Pensando all’amico, Bob ricordò il colloquio del mattino e si chiese se Rice fosse già al corrente della novità.

«Qualcuno ha visto Charles Teroa, oggi?» chiese.

«Io no» rispose Malmstrom. «Cosa ne pensate di quella sua idea di avere un imbarco? Ce la farà?»

«Conoscendo Charlie, direi di no» disse Rice. «Se fossi un armatore, preferirei assumere qualcuno che non si addormenta quando lavora.»

«Però ha lavorato bene nel suo giardino» disse Bob.

«Sì, ma con la madre che non gli stacca gli occhi di dosso e le sorelle che gli danno una mano. La sai l’ultima di Charlie? L’ultima volta che sono andati a liberare il passaggio a est, si è addormentato su una barca carica di dinamite.»

«Ma va… Stai scherzando!»

«Nemmeno per sogno. L’hanno mandato da solo a prendere un carico, raccomandandogli di tornare subito. Be’, venti minuti più tardi mio padre l’ha trovato che andava alla deriva a un palmo dalle rocce. Dormiva come un ghiro con i piedi appoggiati sulla cassetta di dinamite. Per fortuna il mare era calmissimo e non è stato sbattuto contro la scogliera.»

«Forse sapeva di non correre pericoli» disse Bob.