«Può darsi, però io non gli affiderei il mio gatto» commentò Rice con un sogghigno.
Bob guardò l’amico. «Un giorno o l’altro, se non la smetti di prenderlo in giro, dovrai ingoiare un rospo» disse. «Comunque, quella storia dell’imbarco clandestino non è stata un’idea tua?»
Rice avrebbe potuto chiedere che cosa c’entrava questo, ma in quel momento il fondo piatto della barca grattò sulla sabbia, e i ragazzi saltarono giù.
11
Solo dopo essere arrivato a casa, Bob si ricordò di non aver chiesto a Norman il libro del dottor Seever, e si ripropose di parlargliene il giorno seguente. Quella sera il ragazzo restò in casa a chiacchierare con i suoi e a leggere, e il Cacciatore si trovò relegato al compito di ascoltare e guardare. Il pomeriggio del giorno dopo andò un po’ meglio, almeno dal punto di vista del Cacciatore.
Bob rimase a casa tutta la mattinata a lavorare nel giardino, visto che gli altri erano a scuola, ma né a lui né all’alieno venne qualche idea buona sul modo di esaminare Charles Teroa. Bob suggerì di lasciare il Cacciatore accanto alla casa del polinesiano verso sera e di andare a riprenderlo il mattino seguente, presto, ma lo straniero bocciò l’idea perché non voleva che il ragazzo lo vedesse. Bob era sicuro che, qualunque fosse l’aspetto del suo ospite, non ne sarebbe rimasto impressionato, ma si lasciò convincere quando l’altro gli fece notare che non avrebbe potuto capire se la massa di gelatina che riprendeva il suo posto dopo l’esperimento era proprio il poliziotto.
Il pomeriggio, comunque, andò meglio. Bob si trovò con i quattro amici, e subito se ne andarono con la barca. Questa volta, non avendo preoccupazioni per l’orario, puntarono decisi verso nordovest costeggiando la riva. Ai remi c’erano Norman Hay e Colby. La tavola nuova si era gonfiata, quindi non imbarcarono più acqua.
L’isolotto dove Norman aveva fatto il suo acquario era effettivamente molto vicino alla riva, e faceva parte del primo tratto di scogliera che dall’estremità della spiaggia dove i ragazzi erano soliti andare a far merenda curvava verso nord per tornare poi indietro. Un braccio d’acqua non più largo di venti metri divideva l’isola dall’isolotto formando un breve canale protetto dalle onde da una corona più lontana di rocce. Osservando il canale, il Cacciatore si trovò d’accordo con Rice: difficilmente il cane avrebbe potuto finire in bocca a un pescecane in quei venti metri d’acqua.
L’isolotto corallino ospitava anche qualche cespuglio verde e misurava una trentina di metri di lunghezza per una larghezza di dieci scarsi. L’acquario di Norman pareva non avere niente in comune con il mare soprattutto se, come aveva detto il ragazzo, i pochi buchi delle pareti erano tappati con cemento. Però, durante l’alta marea qualche onda, passando sopra l’isolotto, provvedeva a mantenere l’acquario pieno d’acqua. Nella pozza galleggiava un pesce farfalla morto, e sul corallo delle pareti non c’erano i soliti minuscoli polipi.
«Forse si tratta di qualche malattia» disse Norman. «Ma io non ho mai sentito parlare di un male che attacchi tutte le forme di vita in questo modo. E voi?»
«No» rispose Bob. «È per questo che ti sei fatto prestare quel libro dal dottor Seever?»
Norman sollevò la testa di scatto. «Sì» disse. «Ma tu, come fai a saperlo?»
«Me l’ha detto il dottore. Volevo controllare una cosa sui virus, e lui mi ha detto di aver prestato a te un libro che riguardava quell’argomento. Ti serve ancora?»
«A dire la verità no. Ma come mai ti interessi dei virus? L’ho letto tutto, quel libro, ma non ci ho capito granché.»
«Ecco… un giorno si parlava, a scuola, e nessuno riusciva a decidere se i virus sono vivi o no. A me è sembrata strana la faccenda. Se mangiano e si riproducono, devono essere vivi!»
«Ricordo di aver letto…»
A questo punto la conversazione venne interrotta, risparmiando a Bob la fatica di inventare altri particolari.
«Per l’amor del cielo, Norman, dagli quel libro appena torni a casa, ma non tenerci una lezione di biologia, adesso!» protestò Malmstrom. «Cerca piuttosto di applicare il cervello su questo mistero del tuo acquario, oppure andiamocene un po’ sulla scogliera esterna.»
Rice appoggiò caldamente le parole dell’amico. Colby, secondo il suo solito, rimase a fare da sfondo silenzioso.
«Va bene» disse Hay, tornando ad occuparsi della pozza d’acqua. «Comunque, non vedo cosa potrei pensare di buono adesso, dato che nei tre mesi scorsi non mi è venuta nessuna idea! Forse Bob ha qualche trovata brillante.»
«Non ne so molto di biologia, oltre quello che ci insegnano a scuola» rispose Robert. «Hai provato a entrare nell’acqua per vedere se scoprivi qualcosa? Hai staccato qualche pezzetto di corallo per cercare di capire che cos’è successo ai polipi?»
«No, non sono mai sceso a nuotare qui dentro, prima per non disturbare i pesci che avevo raccolto nell’acquario, e poi perché ho pensato che se i pesci e il resto morivano per via di qualche malattia, poteva essere pericoloso anche per me.»
«Potrebbe anche essere così, però avrai toccato l’acqua chissà quante volte, e a quanto pare non ti è successo niente. Se vuoi entro io.» La proposta mise a dura prova la pazienza del Cacciatore. «Cosa preferisci che ti porti su?»
Norman guardò l’amico. «Se pensi davvero che non ci sia pericolo, vengo con te.»
Questo frenò l’entusiasmo di Bob. Il ragazzo si era automaticamente considerato al sicuro da qualsiasi minaccia dovuta a germi, ma Norman non aveva la protezione di un simbionte!
Questo pensiero gliene fece venire un altro, opposto. E se invece Norman avesse ospitato anche lui un extraterrestre? Non era un’idea da trascurare, per il momento però il problema era un altro: doveva mantenere buona l’offerta di entrare nell’acqua misteriosa e accettare che l’amico lo seguisse?
Decise di sì. Dopo tutto sull’isola c’era un medico.
«Va bene» disse, cominciando a spogliarsi.
«Ehi, aspettate un momento! Siete diventati matti?» Malmstrom e Rice gridarono quasi contemporaneamente. «Quest’acqua ha ucciso i pesci! Siete pazzi a entrare.»
«Noi non siamo pesci» ribatté Bob. Sapeva anche lui di aver fornito una ragione fiacca, ma lì per lì non gli era venuto in mente nient’altro. Kenny Rice e Kenneth Malmstrom discutevano ancora quando lui scivolò cautamente nell’acqua seguito da Norman. Colby, il quale non aveva dato alcun contributo alla discussione, andò alla barca, prese un remo, e tornò accanto alla pozza, mettendosi a guardare. Il mistero di quell’acqua venne risolto abbastanza in fretta. Bob arrivò sino al centro dell’acquario e poi fece una capriola, manovra che avrebbe dovuto farlo scendere con facilità fino in fondo, due metri e mezzo più giù. Invece non andò così. Lo slancio lo fece arrivare con i piedi appena sotto il pelo dell’acqua. Il ragazzo allora si aiutò con un paio di movimenti delle gambe, toccò il fondo, strappò un ciuffo d’alghe e tornò su velocemente. Com’era sua abitudine mandò fuori il fiato prima di emergere, cosa che gli fece entrare un po’ d’acqua in bocca. Fu sufficiente.
«Norman! Assaggia l’acqua!» gridò. «Per forza i pesci muoiono!»
L’altro ragazzo, per quanto a malincuore, fece come gli veniva detto, e commentò con una smorfia: «E da dove arriva tutto questo sale?»
Bob arrivò al bordo della pozza, ne uscì e cominciò a vestirsi prima di rispondere.
«Avremmo dovuto pensarci subito» disse infine. «Le onde portano acqua qui dentro, ma quest’acqua se ne va solo per effetto dell’evaporazione. Il sale rimane depositato sul fondo. Non avresti dovuto tappare tutti i buchi. Bisognerà aprirne uno e poi proteggerlo con una rete metallica per non lasciar uscire i pesci, se vuoi fare ancora fotografie.»
«Maledizione, che stupido!» esclamò Norman. «E sì che solo l’anno scorso ho fatto un esame proprio sul Gran Lago Salato!» Si rivestì anche lui senza preoccuparsi, come Bob del resto, di essere ancora bagnato. «Adesso cosa facciamo? Andiamo a prendere un piccone, o giriamo un po’ per la scogliera, già che siamo qui?»