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Bob aprì un occhio. Gli ci vollero due o tre secondi per capire, poi saltò in piedi.

«Grazie papà! Non credevo che mi sarei addormentato. Hanno già cominciato?»

«Cominciano adesso» rispose il signor Kinnaird, e non fece commenti sulla faccenda del dormire: conosceva abbastanza bene la psicologia del figlio. «Io dovrò stare ai piedi del serbatoio, ma ci saranno un paio di uomini sul tetto, incaricati di controllarti a vista se per caso ti venisse voglia di cascare come una pera dentro il cemento.»

Senza dire altro, padre e figlio scesero la collina. Bob poté guardare la colata da un ottimo punto d’osservazione.

Non gli accadde niente ma rischiò di far venire il cardiopalma a qualcuno degli operai.

Finito il lavoro, il signor Kinnaird scoprì che il figlio si era addormentato di nuovo. Lo svegliò, ma non mantenne la minaccia di farlo tornare a casa in bicicletta.

14

La domenica mattina i cinque amici si trovarono per la progettata esplorazione in barca, e ognuno si era portato la colazione. Tutti si misero subito in costume da bagno, tranne Bob che per ovvi motivi non gradiva una seconda razione di raggi solari. Con lui e Malmstrom ai remi, la barca puntò verso nordovest. Fecero un brevissimo scalo all’isoletta di Norman: l’acqua della pozza adesso aveva la giusta dose di salinità. Poi proseguirono. Raggiunta una posizione favorevole si misero a raccogliere conchiglie, pezzi di corallo e campioni di flora subacquea. Norman fu particolarmente fortunato nelle sue ricerche, e il suo recipiente si riempì presto di novità per l’acquario. Niente di strano, perciò, che fosse favorevole a tornare all’isoletta per deporre in acqua i suoi tesori. Gli altri invece volevano continuare le ricerche. Mentre discutevano fecero colazione su una delle poche rocce abbastanza grandi da ospitarli. Comunque non portarono i campioni di Norman all’isoletta e non proseguirono l’esplorazione.

La soluzione al problema fu opera di Rice, per quanto non intenzionalmente. Risaliti tutti in barca, il ragazzo coi capelli rossi si alzò in piedi per indicare ai compagni un punto della scogliera che secondo lui era interessante. A nessuno di loro era venuto in mente che di solito, quando un’asse del fondo di una barca è ridotta in tale stato da sfondarsi sotto il peso di un ragazzo di quattordici anni, anche le altre non sono in condizioni brillanti. Ci pensarono quando videro il piede di Rice sprofondare nell’asse accanto a quella nuova. Kenny Rice evitò di cadere fuori bordo afferrandosi saldamente al parapetto, ma se anche si fosse lasciato andare le cose non sarebbero cambiate molto, perché due o tre secondi più tardi la barca era piena d’acqua e i ragazzi stavano praticamente seduti nella baia.

Per un attimo furono tutti troppo sbalorditi per qualsiasi reazione. Poi Colby cominciò a ridere e gli altri lo imitarono. «Spero di non sentire più dire che qualcuno è passato attraverso il fondo di una barca!» esclamò Colby tra una risata e l’altra. «Io per lo meno ho avuto il buonsenso di farlo vicino a casa.»

Nuotando spinsero l’imbarcazione fino alla spiaggia dopo aver racimolato tutti i loro averi, tranne i campioni di Norman che erano tornati da dove venivano. Dopo di che, sorse il problema di cosa fare della barca. Le soluzioni erano solo due, dal momento che nessuno intendeva abbandonare il legno: o trasportarla attraverso la giungla, oppure fare tutto il giro dell’isola. Ce n’era una terza, volendo. Potevano procurarsi il legname necessario a cambiare tutto il fondo, gli arnesi da carpentiere e tornare lì ad aggiustare la barca, perché ormai avevano capito che era l’unica cosa da fare per non ritrovarsi a bagno ogni due giorni. Però il giorno seguente era lunedì, e dovevano andare a scuola, e…

Fu ancora Rice a decidere, ma questa volta in piena coscienza.

«Ve lo dirò io cosa conviene fare» disse Kenny Rice. «Uno o due di noi vanno su al nuovo serbatoio a vedere se si può trovare là quello che ci serve, come ha suggerito Bob. Gli altri intanto riportano la barca al canale facendo il giro dell’isola. Se la spingiamo a nuoto non facciamo molta fatica. Domani poi, finita la scuola, andiamo a farci dare il materiale e ci mettiamo subito al lavoro.»

«A me pare che funzioni. Però di legname ce ne serve un bel po’… Sarà prudente chiedere tutta quella roba in una sola volta?» obiettò Norman.

«Possiamo sceglierlo e farne tante pile. Poi chiediamo ogni pila a un uomo diverso. In questo modo non sembrerà troppo» suggerì Bob.

Norman e Bob vennero destinati all’opera di ricerca al cantiere, e dopo aver aiutato gli amici a portare il relitto fin dove l’acqua era abbastanza fonda da sostenerlo, i due emissari si avviarono seguiti dalla voce di Rice che aveva intonato I Battellieri del Volga.

«Io consiglio di andare a prendere le biciclette» disse Norman.

«Mi pare una buona idea. Perderemo un po’ di tempo ad attraversare la giungla, ma poi la bici ce lo farà riguadagnare. Ti aspetto davanti a casa mia?»

«Sì, se arrivi prima di me» rispose Norman. «La tua casa è più vicina, ma per arrivare alla mia c’è meno giungla.»

«Comunque, restiamo d’accordo così.»

I due ragazzi si separarono. Norman proseguì ancora per un pezzo lungo la spiaggia, mentre Bob tagliò subito attraverso la fitta vegetazione che ricopriva il fianco della collina. Conoscere bene l’isola era un conto, ma non si poteva conoscere bene quella giungla. Gli alberi più grossi sarebbero stati ottimi punti di riferimento, potendo però andare dall’uno all’altro in linea retta, cosa impossibile per il groviglio della vegetazione più bassa. L’unico indizio sulla direzione da tenere era dato dall’inclinazione del terreno. Conoscendo la sua posizione iniziale rispetto alla propria abitazione Bob si sentiva sicuro di uscire dall’altra parte della giungla in un punto abbastanza vicino a casa, soprattutto se era tanto fortunato da incontrare il sentiero che alcuni giorni prima aveva seguito salendo dalla parte opposta. Si cacciò nel sottobosco senza esitazioni.

Il Cacciatore taceva, ma quando vide contemporaneamente al ragazzo un autentico muro di cespugli, pensò a cos’avrebbe potuto dire di veramente caustico. Senza scoraggiarsi, Bob si mise carponi e cominciò a cercare un passaggio sotto i rami. Il Cacciatore rinunciò alle sue velleità linguistiche quando colse qualcosa di biancastro al limite del suo campo visivo.

Alla loro destra c’era un gruppo d’alberi abbastanza distanziati fra loro, col tronco perfettamente diritto e foglie sottili, dure e spinose, che cominciavano a circa trenta centimetri dal suolo. La cosa che aveva attirato l’attenzione del Cacciatore si trovava accanto all’ultimo di questi alberi.

Bob, che cos’è quello?

Il ragazzo girò la testa nella direzione indicata, e subito anche l’extraterrestre riconobbe il mucchietto di oggetti bianchi.

«Ecco che cos’è successo a Tip!» mormorò il ragazzo, dopo essersi avvicinato allo scheletro del cane. «Hai idea di cosa l’abbia ucciso?»

Non mi pare che sia stato vittima di qualche animale, per lo meno non di un animale grosso come lui, rispose il Cacciatore.

«Già. Infatti non esistono sull’isola carnivori di quel genere. Le formiche possono averlo divorato dopo morto. Ma non riesco a capire che cosa l’abbia ucciso. Pensi anche tu quello che ho in mente io?»

Non sono un indovino, disse l’altro, però credo di sapere a che cosa pensi, e riconosco che il nostro amico può aver ucciso la bestia dopo averla forzata a venire fin qui, e che poi l’abbia mangiata. Però non vedo il motivo di scegliere questo posto, anche perché mi pare il meno adatto a trovare un nuovo ospite! Inoltre il corpo del cane aveva carne sufficiente per alcune settimane. Perché il fuggitivo avrebbe dovuto stare qui tutto il tempo necessario a divorarlo?