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«Il giorno in cui è arrivato il Cacciatore abbiamo dormito tutti sulla spiaggia, ma Kenneth non c’era. Però non significa niente, perché il Cacciatore dice che dal punto in cui è caduto il fuggitivo ci sarebbe voluto troppo tempo per arrivare dov’eravamo noi. Perciò l’altro dev’essere arrivato a riva molto più tardi.» Bob si concentrò per qualche secondo, poi riprese: «Ricordo solo un altro particolare che riguardi Kenneth Malmstrom. Oggi è andato via assieme a Charles, ma siccome sono sempre stati molto amici non ci trovo niente di strano.»

«Proviamo allora a parlare di Rice, quel tipo coi capelli rossi.»

«I suoi movimenti sono stati più o meno quelli degli altri, e siccome non mi è mai capitato di assistere a un suo incidente per cui avrebbe dovuto perdere sangue… Un momento! C’è stata quella storia del corallo. Però indossava le scarpe pesanti che usiamo sempre per andare alla scogliera, quindi non si deve nemmeno essere tagliato.»

«Non sapevo che fosse successo qualcosa a Rice. Vuoi parlarmene?»

«È stato quel giorno che abbiamo trovato il pezzo di astronave» rispose Bob, e proseguì raccontando al medico tutta la storia. «In giro non abbiamo detto niente perché non lo venissero a sapere i suoi, ma quel giorno Kenny ha corso davvero il rischio di annegare» concluse il ragazzo.

«Mi sembra un particolare interessante. Cacciatore, non credete che il vostro fuggitivo abbia potuto insinuarsi nel corpo di Rice approfittando dell’incidente? Tra la paura che il ragazzo deve aver provato, l’agitazione, e il dolore provocato dal peso del masso di corallo, qualsiasi sensazione data dall’arrivo del vostro amico sarebbe passata inosservata.»

Possibilissimo, ammise il Cacciatore. Inoltre il mio simile può benissimo essere rimasto nascosto nel relitto della sua astronave fino a quel giorno, se era riuscito a procurarsi del cibo.

«Però se il fuggitivo è entrato solo quel giorno nel corpo di Rice» intervenne personalmente Bob, «non può aver provocato l’incidente successo poco dopo al dock, perché gli ci sarebbero voluti almeno alcuni giorni, come al Cacciatore, per organizzarsi nel corpo dell’ospite, e soprattutto perché non poteva sospettare in nessun modo che l’ospite del suo inseguitore fossi io.»

«Dal tuo punto di vista hai ragione, Bob» disse il medico. «Ma l’incidente del dock può essere stato davvero un incidente. Io ti conosco da quando sei nato, e se qualcuno mi chiedesse se trovo qualcosa di strano in tutta la serie di incidenti che sembrano perseguitarti, ti assicuro che risponderei di trovarli del tutto naturali. La stessa cosa vale per tutti gli altri ragazzi dell’isola. Tutti i giorni c’è qualcuno che cade o si taglia o si sloga un piede o corre il rischio di annegare.»

Bob dovette ammettere che l’osservazione del dottor Seever era giusta. «Non ricordo altro riguardo a Rice, se non che è stato lui a rompere di nuovo la barca» aggiunse poi. «Ma non vedo come questo c’entri con tutta la faccenda.»

«E nemmeno io» rispose il medico. «Comunque, per il momento Rice è abbastanza sospettabile. Passiamo a un altro. Norman Hay, per esempio, il quale si è interessato ai virus ancora prima di te. Cos’hai da dirmi su di lui?»

«Le stesse cose che valgono anche per gli altri. Per di più c’è il fatto che non ha esitato molto a seguirmi nell’acqua dell’isoletta quando pensavamo che fosse pericolosa.»

«Questo è un particolare interessante e non dobbiamo trascurarlo, soprattutto se lo sommiamo alla storia dell’improvviso interesse di Norman per la biologia, E anche Norman era presente all’incidente del dock, come mi hai detto. Questo è un altro punto a suo sfavore, ammettendo che la tua caduta di quel giorno fosse voluta da qualcuno. Ci resta Hugh Colby, restringendo il campo alla vostra compagnia, per il momento. Non lo conosco molto bene, avrò scambiato sì e no dieci parole con lui. Professionalmente non mi ha mai consultato.»

«Per quanto riguarda il numero di parole, noi gliene abbiamo sentite dire un po’ più di dieci, ma non molto di più» disse Bob. «Hugh non è un chiacchierone, però ha i riflessi molto pronti. È stato lui a ficcare il secchio in testa a Rice prima che qualcuno di noi riuscisse a capire le sue intenzioni. No… Non mi viene in mente niente riguardo a Colby, se non che quel giorno ai dock c’era anche lui.»

«Con questo, per il momento il campo è ristretto a Charles Teroa, Rice, e Norman Hay. Non so se questa chiacchierata ti è servita, ma un po’ di lavoro l’abbiamo fatto. Adesso vuoi che facciamo una prova con una seconda iniezione?»

Bob accettò subito. Il risultato fu il medesimo del pomeriggio. Comunque il Cacciatore dichiarò che quel vaccino aveva un sapore più gradevole del primo.

17

Il mercoledì mattina Bob uscì presto di casa per passare dal medico prima di andare a scuola, ma non si fermò molto dopo la prova, negativa, della terza iniezione, perché non sapeva a che ora Charles Teroa sarebbe andato dal dottor Seever, e non aveva voglia di incontrarlo. A scuola andò tutto come al solito, ma quando uscirono, invece di scendere a lavorare sulla barca i ragazzi decisero di salire di nuovo al cantiere. Malmstrom però se ne andò per conto suo senza dare spiegazioni, e Bob ebbe la tentazione di seguirlo; poi pensò che c’erano altri due sospetti da tenere d’occhio, e cambiò idea.

Al cantiere, per tipi come loro c’era da divertirsi. Bob e Colby, quest’ultimo fornito di guanti da lavoro, si misero in testa di aiutare gli uomini intenti a segare delle spesse tavole di legno. Norman Hay e Kenny Rice si rifornirono di chiavi inglesi, e convinsero un altro gruppo di operai a lasciarli stringere dei bulloni. Dopo un po’ naturalmente si stancarono e cambiarono occupazione, e Bob ottenne il permesso di guidare un carrello fino al serbatoio per farsi riempire una latta di vernice. Sulla strada del ritorno incontrò Rice intento a trasportare tubi metallici, e gli disse perché avesse cambiato lavoro.

«Ho lasciato cadere un bullone e per un pelo non ho preso in pieno mio padre» rispose Rice più divertito che mortificato, «e lui mi ha detto di andarmene immediatamente di là finché non avevo ancora ucciso nessuno! Mi chiedo cosa direbbe se lasciassi cadere tutti questi tubi lungo il sentiero in discesa.»

«Non ti consiglio di provare» rispose Bob.

«Forse hai ragione.»

I due ragazzi si separarono. Dopo aver aiutato per un po’ suo padre reggendo l’attrezzo per i rilievi, Bob passò a osservare, dall’alto di una scala, le varie forme delle sezioni prefabbricate, cercando di indovinare dove erano destinate: occupazione sufficientemente interessante per divertirlo e abbastanza sicura da non suscitare le ire di suo padre.

Soltanto dopo una mezz’ora il ragazzo si ricordò improvvisamente che sarebbe dovuto andare dal dottor Seever dopo la scuola, ma come capita ai cospiratori non gli venne in mente che non c’era nessun bisogno di rendere conto gli altri dei suoi movimenti, e cominciò a cercare una scusa valida per allontanarsi dal cantiere. Ci stava pensando quando gli arrivò la voce di Colby che lavorava più in alto di lui.

«Sta arrivando Charlie, da solo. Credevo che Kenneth fosse andato da lui!»

Bob guardò verso il sentiero. Era vero, Charles Teroa saliva lentamente verso il cantiere.

Da quella distanza non era possibile distinguere la sua espressione, ma da come camminava, a testa bassa, strascicando i piedi, il ragazzo capì che il polinesiano era già stato dal dottor Seever. Per un attimo Bob pensò di scendere di lì e andare a nascondersi da qualche parte.

Adesso Teroa era abbastanza vicino, e la sua faccia solitamente allegra aveva una espressione indecifrabile, motivo più che sufficiente per far capire agli operai che lo salutavano al passaggio senza ricevere risposta, che qualcosa non andava per il verso giusto. Diplomaticamente nessuno fece commenti. Ma il termine diplomazia non esisteva nel vocabolario di Kenny Rice.