Il Cacciatore cominciò il viaggio di ritorno dopo aver staccato il foglio del blocco. Mentre attraversava la stanza ebbe un’idea migliore, e finì per lasciare il messaggio in una scarpa del ragazzo. Poi tornò felicemente nel corpo di Bob, dove si sistemò in attesa che facesse giorno. Quando si trovava nel corpo di un ospite, il Cacciatore non aveva bisogno di dormire perché il sistema circolatorio dell’altra creatura provvedeva ampiamente a eliminare i rifiuti del metabolismo del compagno. Quella notte il Cacciatore rimpianse per la prima volta di non poter dormire. Il sonno sarebbe stato un ottimo sistema per far passare le ore in attesa che Bob leggesse il messaggio.
Quando nel corridoio del dormitorio squillò il campanello della sveglia (il fatto che fosse domenica non era una giustificazione per poltrire a letto) Bob aprì lentamente gli occhi e si tirò su a sedere. Per qualche secondo si stirò pigramente, poi, ricordandosi che quel giorno toccava a lui, saltò dal letto e a piedi nudi corse a spalancare la finestra, poi tornò accanto al letto e cominciò a vestirsi con gesti più vivaci. Il suo compagno di stanza, al quale era toccato quel mattino il privilegio di restare sotto le lenzuola finché la finestra non era stata aperta, si alzò a sua volta e prese ad annaspare alla ricerca degli indumenti.
Non guardava Robert, quindi non si accorse della sua espressione di sorpresa nel vedere il foglio infilato in una scarpa.
Bob prese il foglietto, lo lesse in fretta e lo infilò in tasca. Il primo pensiero fu che qualcuno, probabilmente il suo compagno di camera, avesse voluto fargli uno scherzo. Per carattere Robert Kinnaird agiva sempre in modo da deludere l’autore di uno scherzo non dimostrando alcuna reazione. Per metà mattinata la sua indifferenza portò il Cacciatore sulle soglie di una crisi isterica. Ma era un’indifferenza soltanto apparente: Bob intendeva aspettare un momento in cui fosse solo e con la certezza di restare indisturbato per un po’. Infatti, tornato nella sua stanza mentre gli altri studenti erano fuori per i fatti loro, il ragazzo tolse di tasca il biglietto e lo rilesse attentamente. Sulle prime la sua opinione non cambiò, poi pensò che difficilmente qualcuno poteva sapere quello che gli era successo la sera prima. Ne aveva parlato, è vero, con l’infermiera, ma gli parve molto improbabile che lei o il medico fossero tipi da fare scherzi del genere, o da raccontare tutto a qualcun altro. Probabilmente c’era una spiegazione, ma il modo più facile per controllare se il biglietto era un trucco, gli parve quello di fare quello che gli veniva chiesto. Comunque, non volendo cadere vittima di un piano organizzato, Bob guardò sotto il letto, dentro l’armadio e fuori della porta. Poi sedette sul letto, fissò lo sguardo sulla parete bianca che fronteggiava la finestra, e disse a voce alta: «Va bene, vediamo dunque i tuoi segni scuri.»
Il Cacciatore non si fece pregare.
Si prova un particolare piacere a produrre effetti fantastici con minimo sforzo. Il Cacciatore provò quel piacere. La sua unica fatica fu di irrigidire sottilissime zone della sua sostanza corporea e trasparente che già si trovava negli occhi del ragazzo, in modo da impedire l’arrivo della luce secondo forme ben precise. Era allenato ottimamente per manovre del genere, e ci riusciva senza fatica, ma i risultati erano sbalorditivi. Bob scattò in piedi sgranando gli occhi. Sbatté ripetutamente le palpebre, si passò le dita sugli occhi, li riaprì, li richiuse e li riaprì, ma la visione rimase: sulla parete di fronte, a quanto pareva, era scritta la parola grazie. Non tutte le lettere erano ugualmente limpide, a fuoco, e quando lui mosse gli occhi per vedere meglio, anche la parola si mosse.
«Chi sei? Dove sei? E come…» La voce del ragazzo morì sopraffatta dalla velocità con cui le domande gli si formavano nel cervello.
Siediti tranquillo e guarda. Cercherò di spiegarti. Le parole corsero sulla parete. Con l’abilità che gli veniva dalla pratica, il Cacciatore si era immediatamente adattato alla velocità di lettura del ragazzo. Come ti ho detto nel mio messaggio, è un po’ difficile spiegare chi sono. Il mio mestiere corrisponde più o meno a quello dei vostri poliziotti. Non ho un nome come si usa da voi, perciò puoi chiamarmi Poliziotto o Cacciatore. Non sono nato sul tuo pianeta, ma sono arrivato qui inseguendo un criminale del mio mondo. Lo sto ancora cercando. Tanto la sua astronave quanto la mia si sono distrutte al momento dell’arrivo, ma alcune circostanze sfavorevoli mi hanno costretto ad abbandonare la zona in cui siamo precipitati, prima ancora di poter organizzare le ricerche. Quel criminale è un pericolo per la tua razza come per la mia. Per questo ti chiedo di aiutarmi a ritrovarlo.
«Ma da dove vieni? Che… che genere di uomo sei, e come fai a formare le parole davanti ai miei occhi?»
Ogni cosa a suo tempo. Le frasi fatte erano state le prime che il Cacciatore aveva imparato in inglese. Siamo venuti dal pianeta di una stella che io posso indicarti ma della quale non conosco il nome nella tua lingua. E non sono fatto come te. Temo che tu ne sappia troppo poco di biologia perché io mi possa spiegare chiaramente, ma forse sai anche tu che differenza c’è fra un protozoo e un virus. Le cellule che formano il tuo corpo si sono sviluppate da una creatura protozoica, invece la mia razza è nata dalla più piccola forma di vita, quella che voi definite appunto virus. Conosco queste parole perché tu una volta le hai lette in un libro. Chissà se te ne ricordi!
«Sì» rispose Bob. «Ma io pensavo che i virus fossero praticamente allo stato liquido.»
Arrivando alle mie dimensioni non è esattamente così. Comunque il mio corpo non ha una forma definita. Se… se tu mi vedessi, avresti l’impressione di vedere una delle vostre amebe. Inoltre sono piccolo in confronto a voi, per quanto il mio corpo contenga un numero di cellule infinitamente superiore a quelle del vostro.
«Perché non ti fai vedere? E si può sapere dove sei?»
Il Cacciatore evitò di rispondere.
Essendo così piccoli e di struttura così fluida, continuò a spiegare, troviamo spesso impossibile e pericoloso viaggiare e lavorare da soli, perciò abbiamo preso l’abitudine di farci trasportare da creature più forti, non con il significato che date voi a questo verbo, ma vivendo proprio dentro i loro corpi. Possiamo farlo senza recare loro alcun danno, perché adattiamo la nostra forma allo spazio a disposizione, e inoltre ci rendiamo utili distruggendo i germi di malattie e altri organismi non bene accetti, così la creatura gode di una salute migliore di quella che in realtà le è destinata.
«È molto interessante! Ma ti è stato possibile fare lo stesso con animali di questo pianeta? Pensavo che avresti trovato troppe diversità dalle creature che conosci. Di che animale ti servi?»
La domanda portò il problema vicinissimo al punto critico. Il Cacciatore cercò di ritardare l’attimo della risposta affrontando prima la domanda precedente. Organicamente le differenze non sono molte da… Non continuò perché nel cervello di Bob c’era stata una folgorazione.
«Aspetta un momento!» disse il ragazzo. «Aspetta… un… momento…» Bob scattò in piedi. «Hai detto prima che con farti trasportare intendi vivere dentro chi ti trasporta! Allora i disturbi che ho avuto ieri sera… Eri tu che tenevi chiuso il taglio del braccio! Perché a un certo punto l’hai lasciato andare?»