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Frye si trovava a circa quattro metri, dall’altra parte del letto.

«Ti faccio saltare quel maledetto cervello!»

Lui agitò il coltello verso di lei, disegnò rapidi cerchi in aria con la punta, quasi un rito magico volto a cacciare gli spiriti maligni che si frapponevano fra lui e Hilary.

Avanzò di un altro passo.

Hilary prese la mira puntando allo stomaco di Frye, così anche se il rinculo le avesse fatto tremare le mani o la pistola avesse spostato la traiettoria a destra o a sinistra, avrebbe sicuramente colpito un organo vitale. Premette il grilletto.

Non accadde nulla.

Mio Dio, ti prego!

Frye fece due passi in avanti.

Hilary fissò la pistola, sbalordita. Si era dimenticata di togliere la sicura.

L’uomo era a circa due metri e mezzo dal letto. Forse anche meno.

Imprecando contro se stessa, spostò le levette a lato della pistola e un paio di puntini rossi apparvero sul metallo lucido. Prese la mira e premette il grilletto per la seconda volta.

Niente.

Cristo! Che cosa stava succedendo? Non poteva essersi inceppata!

Frye era talmente dissociato dalla realtà, talmente assorbito dalla propria pazzia, da non accorgersi subito che la donna aveva qualche problema con la pistola. Quando finalmente capì che cosa stava succedendo, si mosse velocemente, cercando di sfruttare il vantaggio. Raggiunse il letto, si mise carponi, si alzò in piedi, cominciò ad avanzare sul materasso come un uomo che cammina su un ponte di barili, ondeggiando sulla superficie molleggiata.

Hilary si era dimenticata di spingere il proiettile nel caricatore. Eseguì quell’operazione indietreggiando di due passi, fino a ritrovarsi con le spalle al muro. Sparò senza prendere la mira, mentre l’uomo stava per gettarsi su di lei come un demonio che salta fuori da una falla dell’inferno.

La detonazione riecheggiò nella stanza. Fece tremare le pareti e vibrare le finestre.

Hilary vide il coltello andare in frantumi e i frammenti schizzare dalla mano destra di Frye. La lama d’acciaio volò in aria, brillando per un attimo nel raggio di luce che saliva dall’abat-jour.

Frye urlò mentre il coltello gli schizzava dalla mano. Cadde all’indietro e rotolò verso il lato più lontano del letto. Ma si rialzò immediatamente appena mise i piedi per terra, stringendosi la mano destra con la sinistra.

Hilary non pensava di averlo colpito. Non c’erano tracce di sangue. Il proiettile doveva aver colpito il coltello, frantumandolo e strappandoglielo di mano. Il colpo doveva essere stato più doloroso per le dita della sferzata di una frusta.

Frye gemeva per il dolore e urlava per la rabbia. Era un suono animalesco, un ululato da sciacallo, ma non era decisamente il verso di un animale spaventato che fugge con la coda fra le gambe. Non intendeva mollare la preda.

Hilary sparò ancora e Frye cadde di nuovo. Questa volta rimase a terra.

Con un sospiro di sollievo, Hilary si accasciò esausta contro la parete, senza staccare gli occhi dal punto in cui Frye era caduto e in cui giaceva, fuori vista, dietro il letto. Nessun rumore. Nessun movimento.

Provava un senso di inquietudine perché non riusciva a vederlo. In guardia, con le orecchie tese, si diresse con circospezione verso i piedi del letto, al centro della stanza, poi si spostò verso sinistra e finalmente lo vide.

L’uomo era sdraiato a pancia in giù sul tappeto Edward Fields marrone. Aveva il braccio destro piegato sotto il corpo. Quello sinistro era allungato in avanti, la mano era leggermente contratta, mentre le dita immobili erano rivolte verso la testa. Non riusciva a scorgere il viso. Il tappeto era così folto e scuro e aveva una trama così fitta che non riuscì a vedere se fosse imbrattato di sangue. Era abbastanza evidente, comunque, che non c’era quell’enorme pozza di sangue appiccicoso che si sarebbe aspettata di trovare. Se l’aveva colpito al petto, forse il sangue era nascosto dal corpo. Il proiettile poteva anche averlo colpito in piena fronte, causando una morte istantanea e un immediato arresto cardiaco; in tal caso, avrebbe perso solo poche gocce di sangue.

Hilary rimase a fissarlo per un paio di minuti. Non notò il benché minimo movimento, neppure il lieve alzarsi e abbassarsi del torace.

Era morto?

Lentamente, timidamente, si avvicinò all’uomo.

«Mr Frye?»

Non intendeva avvicinarsi troppo. Non voleva correre alcun rischio, ma doveva vederci più chiaro. Tenne la pistola puntata contro di lui, pronta a sparargli un altro colpo al minimo movimento.

«Mr Frye?»

Non ci fu risposta.

Era ridicolo chiamarlo ancora «Mr Frye». Dopo quello che era successo quella sera, dopo quello che aveva cercato di farle, Hilary era ancora formale e gentile. Forse perché era morto. Una volta passato a miglior vita, anche il peggior individuo merita rispetto, persino da parte di chi l’aveva sempre considerato un bugiardo o un farabutto. Tutti dobbiamo morire e sminuire un morto equivale un po’ a sminuire se stessi. Oltretutto, se si parla male della morte, in qualche modo ci si fa gioco di quel grande mistero e forse, così facendo, gli dei sono più portati a punirci per il nostro affronto.

Hilary aspettò continuando a fissare l’uomo, mentre trascorreva un altro minuto.

«Sa una cosa, Mr Frye? Penso che non correrò alcun rischio con lei. Credo che le pianterò un altro proiettile in testa. Già. Un bel colpo proprio in mezzo alla nuca.»

Naturalmente non era capace di fare una cosa simile, non era violenta per natura. Una volta aveva sparato al poligono di tiro, subito dopo aver comprato la pistola, ma non aveva mai ucciso una creatura vivente che fosse più grande degli scarafaggi dell’appartamento di Chicago. Aveva trovato il coraggio di sparare a Bruno Frye solo perché quell’uomo la stava minacciando e le aveva provocato un’incredibile scarica di adrenalina. L’isterismo e un primitivo istinto di sopravvivenza l’avevano resa violenta per un attimo. Ma ora che Frye giaceva sul pavimento, assolutamente immobile, non più pericoloso di un mucchio di stracci sporchi, non era semplice riuscire a premere il grilletto. Non sarebbe potuta rimanere lì a osservare il cervello spappolato di un uomo. Il solo pensiero le faceva rivoltare lo stomaco. Ma la minaccia avrebbe indotto l’uomo a scoprirsi. Se stava fingendo, la possibilità che lei gli sparasse a bruciapelo avrebbe dovuto porre fine alla sua sceneggiata.

«Diritto alla testa, lurido bastardo,» esclamò, sparando un colpo in aria.

Frye rimase immobile.

Hilary sospirò e abbassò la pistola.

Morto. Era morto.

Aveva ucciso un uomo.

Già paventando i brutti momenti che polizia e giornalisti le avrebbero fatto passare, scavalcò il corpo disteso e si diresse verso la porta.

Ma improvvisamente Frye non era più morto.

Improvvisamente, era tornato vivo e vegetò come non mai.

Quell’uomo aveva previsto le sue mosse. Aveva capito che quella minaccia di sparargli in testa era un trucco. Aveva intuito l’inganno senza perdere il proprio sangue freddo. Non aveva battuto ciglio!

Ora usava il braccio piegato sotto il corpo per spingersi in avanti, attaccando Hilary come un serpente: con la mano sinistra le afferrò la caviglia e la trascinò a terra. Urlando e agitandosi, rotolarono in un intrico di gambe e braccia; le era di nuovo addosso, con i denti all’altezza della sua gola, e ringhiava come un cane; Hilary era terrorizzata dall’idea che la mordesse, che le azzannasse la giugulare per succhiarle il sangue. Alla fine riuscì a mettere una mano fra di loro: fece scivolare il palmo della mano sotto il mento dell’uomo e allontanò la testa dal suo collo mentre ricominciavano a rotolare, finendo a sbattere contro il muro con un colpo sordo: si fermarono storditi e ansimanti. Frye era sopra di lei, un animale violento, pesante, che la schiacciava e la contemplava con sguardo lascivo. Gli occhi freddi e mostruosi erano socchiusi, vuoti e spaventosi, il fiato puzzava di cipolla e birra; era riuscito a infilarle una mano sotto il vestito, voleva strapparle le calze, cercava di fare scivolare le dita tozze sotto gli slip per afferrarle il sesso, ma non con la presa dell’amante, bensì con quella del lottatore; il pensiero di quello che avrebbe potuto fare ai delicati tessuti del suo corpo la riempì di terrore: sapeva che in quel modo era persino possibile uccidere una donna, entrandole dentro, lacerandola, strappandola. Hilary cercò disperatamente di graffiare quegli occhi color cobalto per accecarlo, ma l’uomo spostò velocemente la testa, allontanandola dalla sua portata; improvvisamente si irrigidirono entrambi, perché si resero conto nello stesso, preciso istante, che Hilary non aveva mollato la pistola quando lui l’aveva scaraventata a terra. L’arma era bloccata fra di loro, il calcio premeva contro i genitali di Frye e sebbene il dito di Hilary non fosse sul grilletto, lei riuscì ugualmente a farlo scivolare e a metterlo nella giusta posizione proprio nell’attimo in cui si rese conto della situazione.