Si inginocchiò sul letto, accanto a lei, e osservò i seni e il cespuglio del pube che traspariva dalle mutandine giallognole; l’erezione diventò talmente forte da provocare dolore. Consapevole della parte diabolica che si stava risvegliando, sentì la bestia che stava per affiorare tra i meandri della sua mente.
Si aggrappò ai collant di Sally (di Katherine) e glieli tirò con violenza lungo le gambe affusolate. Poi le afferrò le cosce e gliele spalancò, muovendosi grossolanamente sul materasso per prendere posizione in mezzo alle sue gambe.
Sally si scrollò una seconda volta dallo stato di trance. Iniziò a scalciare e cercò di rialzarsi, ma ormai non aveva più forza. Accorgendosi dell’inutilità dei suoi gesti disperati, aprì le mani e lo colpì sul volto, rigandogli le guance con le unghie e mirando anche agli occhi.
Bruno arretrò di scatto e alzò un braccio per proteggersi, mentre lei gli feriva il dorso della mano. Poi si lasciò cadere sul suo corpo, schiantandola con tutto il suo peso. Le appoggiò un braccio contro la gola e premette con forza, soffocandola.
Joshua Rhinehart lavò i tre bicchieri da whisky nel lavandino del bar. Rivolgendosi a Tony e Hilary disse: «Voi due avete da perdere più di me in questa faccenda, quindi perché non mi accompagnate domani da Rita Yancy a Hollister?»
«Speravo tanto che ce lo chiedesse,» esclamò Hilary.
«Qui ormai non possiamo fare molto,» aggiunse Tony.
Joshua si asciugò le mani nello strofinaccio. «Bene, allora siamo intesi. Avete già trovato una sistemazione in albergo per trascorrere la notte?»
«Non ancora,» rispose Tony.
«Allora sarete i benvenuti in casa mia,» li invitò Joshua.
Hilary sorrise gentilmente. «E molto carino da parte sua, ma non vogliamo imporre la nostra presenza.»
«Non imponete un bel niente.»
«Ma lei non ci stava aspettando e poi…»
«Ragazza mia,» la interruppe con impazienza Joshua, «sa da quanto tempo non ho ospiti in casa? Più di tre anni. E sa perché non ho avuto ospiti per più di tre anni? Perché non ho invitato nessuno, ecco perché. Non sono un tipo molto socievole. Non distribuisco con facilità i miei inviti. Se pensassi che voi due foste un peso o, peggio ancora, una noia, non vi avrei mai invitato. E adesso non sprechiamo altro tempo in convenevoli. Voi avete bisogno di una stanza. Io ne ho una. Avete intenzione di restare qui da me o no?»
Tony scoppiò a ridere e Hilary, sempre sorridendo, rispose: «Grazie per l’invito. Saremo felici di fermarci.»
«Bene,» commentò Joshua.
«Mi piace il suo modo di fare,» gli disse.
«Molti pensano che io sia scontroso.»
«Uno scontroso carino.»
Anche Joshua riuscì ad abbozzare un sorriso. «Grazie. Farò scolpire questa frase sulla mia tomba: ‘Qui giace Joshua Rhinehart, uno scontroso carino.’»
Stavano per uscire dall’ufficio quando il telefono prese a squillare e Joshua dovette tornare alla sua scrivania. Era il dottor Nicholas Rudge che chiamava da San Francisco.
Bruno era ancora sdraiato sulla donna e la stava conficcando nel materasso, premendole il braccio contro la gola.
Lei annaspava, alla ricerca di un po’ d’aria. Aveva il viso arrossato, incupito, contorto dal dolore.
Lo stava eccitando.
«Non lottare contro di me, Madre. Non reagire in questo modo. Lo sai che è tutto inutile. Lo sai che vinco sempre io, in fondo.»
Lei si dimenava sotto il suo peso e la sua forza. Tentò di arcuare la schiena e rotolare su un fianco, ma invano. A quel punto il suo corpo venne scosso da spasmi muscolari involontari, mentre cercava di reagire alla mancanza di ossigeno e di sangue al cervello. Infine si rese conto che non sarebbe mai riuscita a liberarsi di lui, che non aveva più via di scampo, e si arrese alla sconfitta.
Ormai convinto che la donna avesse abbandonato ogni resistenza sia spirituale sia fisica, Frye sollevò il braccio dalla sua gola. Si rimise in ginocchio, liberandola dal suo peso.
Lei si portò le mani al collo. Annaspava e tossiva freneticamente.
Ormai eccitatissimo, con il cuore che batteva forte, il sangue che pulsava nelle orecchie e il dolore della voglia, Frye si alzò, si sfilò velocemente i vestiti e li gettò sulla cassettiera in modo che non dessero fastidio.
Abbassò lo sguardo sulla propria erezione. Quella vista lo stimolò. Era d’acciaio. Gigantesco. Rosso.
Tornò sul letto.
Ormai si era calmata. Aveva lo sguardo vacuo.
Le strappò di dosso le mutandine e tornò a sistemarsi in mezzo alle gambe spalancate. Perdeva saliva e le bagnò il seno.
La penetrò con forza. Le conficcò il tronco demoniaco sino in fondo. Ululava come una bestia. La pugnalò con il suo pene satanico. Continuò a colpire finché il seme schizzò dentro di lei.
Cercò di immaginarsi il liquido lattiginoso che la inondava all’interno.
Gli venne da pensare al sangue che zampilla dalle ferite, come tanti petali rossi che spuntano tutt’intorno alla lama di un coltello.
A quell’idea, si eccitò ancora di più: lo sperma e il sangue.
Nessuna dolcezza.
Sudando, gemendo, sbavando, continuò a fendere i suoi colpi. Dentro, sempre più dentro. Profondi.
Poi avrebbe usato anche il coltello.
Joshua Rhinehart sfiorò il pulsante accanto al telefono e si fece passare la telefonata attraverso l’altoparlante, in modo che anche Tony e Hilary potessero ascoltare la conversazione con il dottor Nicholas Rudge.
«Ho provato a chiamarla a casa,» esordì Rudge. «Non pensavo di trovarla ancora in ufficio.»
«Sono un drogato del lavoro, dottore.»
«Dovrebbe cercare di curarsi,» rispose Rudge con un tono che sembrava di genuina preoccupazione. «Non è così che si deve vivere. Ho curato molti uomini esageratamente ambiziosi il cui lavoro era diventato l’interesse primario della loro esistenza. Un atteggiamento ossessivo nei confronti del lavoro può distruggere una persona.»
«Dottor Rudge, in che cosa è specializzato?»
«In psichiatria.»