Выбрать главу

Sbigottita, ma non paralizzata dalla paura, Hilary si allontanò dalle scale e si mise a correre appena lo vide sul pianerottolo. Si rese conto troppo tardi che avrebbe dovuto precipitarsi all’esterno, verso la funivia; si catapultò invece in direzione della cucina, da cui non sarebbe potuta fuggire. Spalancò la porta della cucina nel momento stesso in cui Frye saltò gli ultimi gradini e atterrò alle sue spalle.

Hilary pensò di cercare un coltello nei cassetti della cucina.

Non poteva. Non c’era tempo.

Corse alla porta che conduceva sul retro, l’aprì e si lanciò fuori mentre Frye faceva il suo ingresso.

Poteva contare solo sulla torcia che aveva in mano, ma non era certo un’arma degna di quell’avversario.

Attraversò il portico e scese i gradini. Fu investita dalla pioggia e dal vento.

Lui non era molto lontano e continuava a ripetere: «Puttana! Puttana! Puttana!»

Non ce l’avrebbe mai fatta a compiere il giro della casa per raggiungere la funivia prima che lui l’afferrasse. Era troppo vicino e stava guadagnando terreno.

L’erba bagnata era scivolosa.

Aveva paura di cadere.

Di morire.

Tony?

Si precipitò verso l’unico posto che sembrava poterle offrire un riparo: le porte nella terra.

Un lampo squarciò il cielo seguito dal boato di un tuono.

Frye non urlava più. Hilary udì il grugnito profondo di un animale in calore.

Molto vicino.

Ora era lei a gridare.

Raggiunse le porte sul fianco della collina e vide che erano chiuse in due punti. Tolse il catenaccio superiore, poi si piegò e fece lo stesso con quello inferiore, aspettandosi da un momento all’altro di sentire una lama in mezzo alla schiena, ma non accadde nulla. Spalancò le porte oltre le quali si aprirono le tenebre.

Si voltò.

La pioggia le rigò il viso.

Frye si era fermato. Era a circa sei metri di distanza.

Hilary rimase immobile, voltando le spalle a quella voragine scura, e si chiese che cosa potesse esserci oltre quella rampa di scale.

«Puttana,» sibilò Frye.

Ma il suo viso esprimeva più paura che rabbia.

«Metti giù il coltello,» disse, senza sapere se le avrebbe obbedito. Probabilmente non l’avrebbe fatto, ma non aveva nulla da perdere. «Obbedisci alla tua mamma, Bruno. Metti giù il coltello.»

Fece un passo verso di lei.

Hilary non si mosse. Sentiva il cuore che le scoppiava.

Frye si avvicinò.

Tremando, Hilary indietreggiò sul primo gradino, oltre quelle porte.

Mentre Tony raggiungeva faticosamente le scale, appoggiandosi con una mano alla parete, udì un rumore dietro le spalle. Si voltò.

Joshua si era trascinato fuori della stanza. Era coperto di sangue e il viso era pallido come la massa di capelli. Sembrava che gli occhi non riuscissero a mettere a fuoco.

«Come va?» chiese Tony.

Joshua si inumidì le labbra. «Me la caverò,» mormorò in uno strano soffio sibilante. «Hilary. Per l’amor del cielo… Hilary!»

Tony si staccò dalla parete e procedette oscillando giù per le scale. Si diresse immediatamente verso la cucina dopo aver udito Frye che gridava sul retro della casa.

In cucina, Tony aprì un cassetto, poi un altro, alla ricerca di un’arma.

«Coraggio, dannazione! Merda!»

Nel terzo cassetto trovò i coltelli. Scelse il più grande. Era leggermente arrugginito ma ancora sufficientemente affilato.

Il dolore al braccio sinistro era insopportabile. Avrebbe voluto sorreggerlo con l’altra mano, ma ne aveva bisogno per lottare contro Frye.

Strinse i denti per scacciare la fitta al braccio, si armò di coraggio e si lanciò all’esterno, barcollando come un ubriaco. Vide immediatamente Frye. L’uomo era in piedi davanti alle due porte spalancate. Due porte nella terra.

Hilary era scomparsa.

Hilary indietreggiò sul sesto gradino. Era l’ultimo.

Bruno Frye era rimasto in cima alle scale e guardava in basso, timoroso di avventurarsi laggiù. La chiamava puttana ma subito dopo piagnucolava come un bambino. Era chiaramente combattuto fra due bisogni: il desiderio di ucciderla e quello di fuggire da quell’orrendo posto.

Sussurri.

Improvvisamente Hilary udì quei sussurri e si sentì gelare il sangue nelle vene. Era un sibilo indistinto, un mormorio appena accennato che si faceva sempre più forte.

Poi avvertì qualcosa che le strisciava sulla gamba.

Lanciò un grido e salì un gradino, avvicinandosi a Frye. Si abbassò, si strofinò la gamba e allontanò qualcosa.

Rabbrividendo, accese la torcia, si voltò e diresse il fascio di luce nel locale sottostante.

Scarafaggi. Centinaia, migliaia di enormi scarafaggi avevano invaso la stanza: ce n’erano per terra, sulle pareti e sul soffitto. Non erano scarafaggi normali, ma bestie gigantesche, lunghe più di cinque centimetri, con le zampette in agitazione e le lunghe antenne in fermento. Il corpo verdastro e lucido sembrava umido e appiccicoso, come gocce di muco scuro.

I sussurri erano il rumore prodotto dall’incessante movimento di quelle zampette e di quelle antenne che si sfregavano le une contro le altre: migliaia di zampe e di antenne che strisciavano, si agitavano e si strofinavano.

Hilary si mise a urlare. Avrebbe voluto risalire quei gradini e fuggire da quella stanza, ma Bruno era di sopra, e la stava aspettando.

Gli scarafaggi si allontanavano dalla luce della torcia. Evidentemente erano insetti abituati al buio. Hilary pregò che le pile della torcia non si esaurissero.

I sussurri crebbero d’intensità.

La stanza fu invasa da un’altra ondata di scarafaggi, provenienti da una crepa nel pavimento. Uscivano a decine, a centinaia. Nel locale relativamente angusto, c’erano già almeno duemila bestiacce disgustose. Erano una sopra l’altra, concentrate nella zona dove non arrivava il fascio di luce, ma si facevano sempre più audaci con il passare dei minuti.

Sapeva che probabilmente un entomologo non li avrebbe chiamati scarafaggi. Erano scarabei, scarabei che vivevano nelle viscere della terra. Uno scienziato li avrebbe definiti con un bel nome latino, altisonante e dignitoso. Ma per lei erano solo scarafaggi.

Alzò lo sguardò verso Bruno.

«Puttana,» ringhiò.

Leo Frye aveva fatto costruire una cantina per conservare i cibi, cosa abbastanza comune nel 1918. Ma inavvertitamente l’aveva scavata proprio su una spaccatura della terra. Hilary capì che doveva aver cercato più volte di riparare il pavimento, ma questo continuava ad aprirsi, ogni volta che la terra tremava. E in una zona sismica la terra tremava spesso.

Gli scarafaggi salivano dall’inferno.

Continuavano a fuoriuscire da quel buco: una massa brulicante, agitata e viscida.

Non facevano che ammucchiarsi uno sull’altro, coprendo le pareti e il soffitto e muovendosi ininterrottamente, come un esercito impazzito. Il gelido sussurro si era trasformato in un debole ruggito.

Katherine era solita chiudere Bruno in quella stanza per punirlo. Al buio. Per ore e ore di seguito.

Improvvisamente, gli scarafaggi si avvicinarono a Hilary. La pressione di quella massa brulicante aveva spinto quegli esseri disgustosi verso di lei, come un’immensa onda verdastra che si frangeva contro la riva. Nonostante la luce della torcia, avanzavano compatti verso di lei, sibilando.

Hilary lanciò un grido e prese a salire i gradini, preferendo il coltello di Bruno a quell’orda di insetti nauseanti.

Con una smorfia, Bruno grugnì: «Visto com’è bello, puttana?» e sbattè la porta.

Il prato non era più lungo di una ventina di metri, ma a Tony pareva che non avesse mai fine. Scivolò e cadde nell’erba bagnata picchiando la spalla ferita. Per un attimo ebbe la vista annebbiata, poi vide tutto nero e dovette stringere i denti per resistere alla tentazione di rimanere sdraiato.