All’interno ricordava molto il Paradise, anche se l’arredamento puntava decisamente più sulle luci colorate, sull’acciaio e sugli specchi rispetto al bar di Santa Monica. I clienti avevano un’aria più elegante, più au courant, e, in generale, si presentavano decisamente meglio della folla che gremiva il Paradise. Ma Tony ebbe la stessa impressione avvertita a Santa Monica. Immagini di desiderio, bramosia e solitudine. Immagini di disperazione.
Il barista non era in grado di aiutarli e l’unica cliente che fornì qualche informazione utile fu una brunetta alta con gli occhi viola. Era sicura che avrebbero trovato Bobby alla Janus, una discoteca di Westwood. L’aveva incrociato nelle ultime due sere.
Nel posteggio investito dai fasci di luce intermittente rossa e azzurra, Frank borbottò: «Da cosa nasce cosa.»
«Come al solito.»
«Si sta facendo tardi.»
«Già.»
«Vuoi andare subito al Janus o preferisci rimandare tutto a domani?»
«È meglio adesso,» rispose Tony.
«Bene.»
Fecero dietrofront e proseguirono lungo il Sunset, uscendo dalla zona che mostrava segni di tumore urbano, per immettersi sul luccicante Strip e poi di nuovo in mezzo alla ricchezza e ai giardini ben curati, oltre il Beverly Hills Hotel, oltre le ville e le interminabili file di palme gigantesche.
Come faceva spesso quando temeva che Tony intavolasse una conversazione, Frank sintonizzò la radio sulla frequenza della polizia e rimase in ascolto delle comunicazioni diramate alle autopattuglie che controllavano la zona di Westwood. Su quella banda di frequenza non c’era niente di interessante. Una lite in famiglia. Una zuffa all’angolo del Westwood Boulevard e Wilshire. Un individuo sospetto all’interno di una macchina posteggiata nella zona residenziale di Hilgarde aveva attirato l’attenzione ed era quindi meglio controllare.
Nella maggior parte degli altri sedici distretti di polizia della città, le notti non erano altrettanto tranquille, ma Westwood era una zona decisamente privilegiata. Nei distretti Settantasette, Newton e Sudovest, che includevano i quartieri della comunità di colore a sud dell’autostrada di Santa Monica, i poliziotti in servizio non avevano certo il tempo di annoiarsi: nelle loro zone la notte era sempre movimentata. Nella parte orientale della città, nei quartieri abitati da messicani e americani, le bande continuavano a scorrazzare terrorizzando la maggior parte dei cittadini fedeli alla legge. Nel corso della notte si verifìcavano sempre incidenti fra bande rivali nella zona orientale, scontri violenti fra punk e sparatorie fra i macho che ogni notte cercavano di dimostrare la propria virilità con quelle stupide, assurde e sanguinose cerimonie senza tempo che si ripetevano da generazioni, secondo un rituale ormai consolidato. Nella zona nordovest, sull’altro lato delle colline, i ragazzi provenienti dalle campagne bevevano decisamente troppo whisky, fumavano troppa marijuana e sniffavano troppa cocaina: era quindi logico che andassero a cozzare in macchina e in motocicletta, l’uno contro l’altro, a velocità inaudita e con sorprendente regolarità.
Mentre Frank passava davanti all’ingresso di Bel Air e si arrampicava sulla collina che conduceva al campus della UCLA, la scena di Westwood si animò improvvisamente. La radio segnalò la chiamata di una donna in difficoltà. Le informazioni erano sommarie. Apparentemente, si trattava di un tentativo di stupro e di aggressione a mano armata. Non si sapeva se l’assalitore era ancora nei paraggi. Erano stati sparati colpi di arma da fuoco, ma non era stato possibile accertare se la pistola apparteneva alla vittima o all’assalitore. Non si sapeva neppure se c’erano stati dei feriti.
«Forse dovremmo intervenire,» suggerì Tony.
«Quell’indirizzo è a un paio di isolati da qui,» proseguì Frank.
«Potremmo arrivarci nel giro di un minuto.»
«Probabilmente molto prima di una pattuglia.»
«Vuoi andarci?»
«Certo.»
«Li chiamerò per informarli.»
Tony sollevò il microfono mentre Frank svoltava rapidamente a sinistra al primo incrocio. Al secondo isolato svoltarono nuovamente a sinistra e Frank premette il piede sull’acceleratore, per quanto gli fu possibile, lungo una strada stretta e fiancheggiata dagli alberi.
Il cuore di Tony si mise a battere all’impazzata. Avvertiva l’eccitazione di un tempo e una paura gelida gli attanagliava lo stomaco.
Gli venne in mente Parker Hitchison, un collega particolarmente funereo, cupo e pessimista che aveva dovuto sopportare per un po’ durante il secondo anno passato alla polizia, molto tempo prima che diventasse investigatore. Ogni volta che rispondevano a una chiamata, ogni dannatissima volta, sia che si trattasse di un’emergenza con Codice Tre, o di un gatto spaventato finito in cima a un albero, Parker Hitchison sospirava con aria desolata e bofonchiava: «Questa volta è fatta.» Era fastidioso e decisamente di cattivo auspicio e ogni volta, durante ogni turno, giorno dopo giorno, con lo stesso pessimismo sincero e snervante, ripeteva: «Questa volta è fatta.» A Tony pareva di impazzire.
La voce funerea di Hitchison e quelle quattro parole gli risuonavano ancora nella mente in momenti come quello.
Questa volta è fatta.
Frank svoltò nuovamente, andando quasi a sbattere contro una BMW nera posteggiata troppo vicino all’incrocio. Le gomme fischiarono, la macchina slittò e Frank disse: «La casa dovrebbe essere da queste parti.»
Tony cercò di mettere a fuoco gli edifici immersi nell’oscurità, solo parzialmente illuminati dai lampioni. «Credo sia quella,» esclamò.
Era una grande casa in stile neoispanico, con un vasto giardino e leggermente rientrata rispetto alla strada. Tetto in tegole rosse. Stucco color panna. Finestre con le inferriate. Due grandi lampioni in ferro battuto ai lati della porta d’ingresso.
Frank posteggiò sul vialetto circolare.
Scesero dalla berlina.
Tony infilò una mano sotto la giacca ed estrasse dalla fondina la pistola di ordinanza.
Quando Hilary ebbe finito di piangere seduta alla scrivania dello studio, decise di andare al piano di sopra e di rendersi presentabile prima dell’arrivo della polizia. Aveva i capelli completamente scarmigliati, il vestito strappato e le mutandine a brandelli che le penzolavano fra le gambe in modo ridicolo. Non sapeva quanto tempo avrebbe impiegato la polizia ad arrivare dal momento della diffusione del messaggio radio, ma sicuramente si sarebbero presentati di lì a poco. Era diventata un personaggio famoso dopo aver scritto due film di successo e aver ricevuto una nomination all’Oscar per Pete, l’ambiguo due anni prima. Aveva sempre cercato di difendere la sua privacy evitando la stampa per quanto possibile, ma sapeva che in un caso del genere avrebbe dovuto necessariamente rilasciare una dichiarazione e rispondere ad alcune domande su quanto era accaduto quella notte. Era il genere di pubblicità che non le piaceva. Era imbarazzante. Era sempre umiliante ammettere di essere la vittima di un caso del genere. Anche se in teoria avrebbe dovuto accattivarsi le simpatie e la comprensione della gente, in realtà avrebbe fatto la figura della sciocca, della fanciulla sola alla mercé del primo venuto.