Era riuscita a difendersi dall’attacco di Frye, ma gli amanti delle sensazioni forti non ci avrebbero nemmeno fatto caso. Le fredde immagini della televisione e le foto in bianco e nero dei giornali l’avrebbero dipinta come una donna debole. Lo spietato pubblico americano si sarebbe chiesto perché aveva fatto entrare Frye. Avrebbero insinuato che era stata violentata e che aveva finto di averlo cacciato per crearsi una copertura. Alcuni avrebbero affermato che era stata lei a invitarlo a entrare chiedendogli di essere violentata. E la maggior parte della comprensione le sarebbe pervenuta mescolata a una curiosità morbosa. Davanti ai giornalisti avrebbe potuto contare solo sul proprio aspetto. Non poteva permettere che la fotografassero nello stato pietoso nel quale l’aveva lasciata Bruno Frye.
Mentre si lavava il viso, si pettinava i capelli e si infilava un abito in seta stretto in vita da una cintura, non pensava che in quel modo avrebbe danneggiato la propria credibilità presso la polizia. Non si accorse che, rendendosi presentabile, avrebbe dato adito sicuramente a qualche sospetto e a qualche dubbio e forse sarebbe stata accusata di essere una bugiarda.
Sebbene fosse convinta di aver recuperato la padronanza di sé, Hilary ricominciò a tremare mentre finiva di vestirsi. Le gambe sembravano di gelatina e fu costretta ad appoggiarsi contro l’armadio per un paio di minuti.
La mente brulicava di immagini terrificanti, ricordi dolorosi che avrebbe voluto cancellare per sempre. Dapprima vide Frye che si avvicinava con il coltello, con un ghigno spettrale, poi quell’immagine sembrò mutare, fondendosi in un’altra figura, in un’altra identità: era diventato suo padre, Earl Thomas, ed era Earl che le andava incontro, ubriaco e arrabbiato come sempre, e la colpiva violentemente con quelle sue mani enormi. Scosse la testa e respirò profondamente, riuscendo, con un grande sforzo, a cancellare quella visione.
Ma non riusciva a smettere di tremare.
Le pareva di udire strani rumori in un’altra stanza della casa. Una parte di lei sapeva che erano solo frutto della sua immaginazione, ma l’altra parte era sicura che Frye stesse tornando da lei.
Quando si precipitò al telefono e compose il numero della polizia, non fu più in grado di fornire la dichiarazione calma e ragionata che si era imposta. Gli avvenimenti di quell’ultima ora avevano influito su di lei più profondamente di quanto avesse pensato in un primo momento e le ci sarebbero voluti giorni o forse settimane per riprendersi dallo choc.
Quando riappese il ricevitore si sentì decisamente meglio perché sapeva che stavano per correre in suo aiuto. Mentre scendeva le scale esclamò a voce alta: «Stai calma. Cerca di stare calma. Sei Hilary Thomas. Sei dura. Dura come l’acciaio. Non hai paura. Non hai mai paura. Andrà tutto bene.» Era la stessa litania che aveva ripetuto tante volte da bambina nell’appartamento di Chicago. Quando arrivò al pianterreno, sentì di aver riacquistato il dominio di se stessa.
Era in piedi nell’ingresso e stava osservando fuori della finestra, quando una macchina si fermò nel vialetto. Scesero due uomini. Anche se non erano arrivati con le sirene spiegate, capì che erano della polizia e aprì la porta per farli entrare.
Il primo che notò era di corporatura robusta, biondo, occhi azzurri e la classica voce dura e risoluta dei poliziotti. Aveva in mano una pistola. «Polizia. Lei chi è?»
«Thomas,» rispose. «Hilary Thomas. Sono io che vi ho chiamato.»
«Questa è casa sua?»
«Sì. C’era un uomo…»
Dall’oscurità apparve un secondo detective, più alto e più scuro del precedente, che la interruppe prima che potesse finire la frase. «È ancora nei dintorni?»
«Che cosa?»
«L’uomo che l’ha assalita è ancora qui?»
«Oh, no. E fuggito. Se n’è andato.»
«Da che parte?» chiese l’investigatore biondo.
«E uscito da questa porta.»
«Aveva una macchina?»
«Non lo so,»
«Era armato?»
«No. Voglio dire, sì.»
«Sarebbe a dire?»
«Aveva un coltello. Ma ora non più.»
«Da che parte è fuggito quando è uscito dalla casa?»
«Non lo so. Ero di sopra. Io…»
«Da quanto tempo se n’è andato?» domandò l’investigatore più alto.
«Circa quindici, forse venti minuti fa.»
I due si scambiarono un’occhiata che Hilary non riuscì a decifrare ma che le apparve immediatamente come poco promettente per lei.
«Perché ci ha messo così tanto a chiamarci?» chiese il biondo. Era leggermente ostile.
Hilary ebbe la sensazione di perdere parte del vantaggio di cui disponeva.
«All’inizio ero… confusa,» spiegò. «In preda a una crisi isterica. Ho avuto bisogno di qualche minuto per rimettere insieme le idee.»
«Venti minuti?»
«Forse solo quindici.»
Gli uomini riposero le rivoltelle.
«Abbiamo bisogno di una descrizione,» continuò il bruno.
«Posso fare anche di meglio,» proseguì la donna spostandosi di lato per farli entrare, «posso fornirvi un nome.»
«Un nome?»
«Il suo nome. Lo conosco,» disse. «L’uomo che mi ha assalita: io so chi è.»
I due uomini si guardarono con la stessa espressione di prima.
Hilary pensò: Che cosa ho fatto di male?
Hilary Thomas era una delle donne più belle che Tony avesse mai visto. Sembrava che nelle sue vene scorresse qualche goccia di sangue indiano. Aveva i capelli lunghi e folti, più scuri dei suoi, di un nero corvino. Anche gli occhi erano scuri, con le cornee candide come la neve. La pelle perfetta era colore del miele, probabilmente il risultato di un’attenta esposizione al sole californiano. Il viso, forse un po’ troppo lungo, era bilanciato dagli occhi enormi, dalla forma perfetta del naso aristocratico e dalla pienezza sensuale delle labbra. Era un viso erotico, ma allo stesso tempo intelligente e delicato: il viso di una donna dolce e comprensiva. In quegli occhi affascinanti si leggeva anche il dolore: era il dolore che derivava dall’esperienza. Tony era convinto che non si trattasse solo di un dolore momentaneo, dovuto a ciò che la donna aveva appena vissuto, ma che fosse legato a una sofferenza con radici ben più profonde.
Erano nello studio colmo di libri. Hilary e Tony sedevano alle due estremità del divano di velluto. Erano soli.
Frank era in cucina e stava parlando al telefono con un collega della centrale.
Al primo piano, due poliziotti in uniforme, Whitlock e Farmer, stavano estraendo i proiettili dal muro.
Non era stato chiamato l’esperto per rilevare le impronte digitali perché, secondo quanto affermato dalla donna, il suo assalitore indossava i guanti.
«Che sta facendo adesso?» domandò Hilary Thomas.
«Chi?»
«Il tenente Howard.»
«Sta parlando con la centrale in modo che qualcuno chiami l’ufficio dello sceriffo di Napa County, dove vive Frye.»
«Perché?»
«Be’, perché forse lo sceriffo può scoprire come ha fatto Frye ad arrivare a Los Angeles.»
«Che importanza ha sapere come c’è arrivato?» chiese Hilary. «La cosa importante è che si trova qui e che deve essere fermato e arrestato.»