Выбрать главу

«Diamine, certo che sì.» Howard fissò la donna. «Le dirò una cosa: nel caso Bruno Frye decidesse di denunciarla per calunnia, le assicuro che testimonierò in suo favore.» Quindi si girò e si allontanò, dirigendosi verso la porta dello studio.

Il tenente Clemenza non accennò a muoversi e, ovviamente, aveva qualcosa da aggiungere, ma Hilary non sopportava che quell’altro se ne andasse senza prima aver risposto ad alcune domande. «Aspetti un attimo,» gridò.

Howard si bloccò e si girò a guardarla. «Sì?»

«E adesso? Che cos’ha intenzione di fare della mia denuncia?» chiese.

«Parla seriamente?»

«Sì.»

«Andrò fino alla macchina, annullerò l’identikit di Bruno Frye e poi la mia giornata sarà conclusa. Tornerò a casa e mi berrò un paio di birre gelate.»

«Vuol dire che ha intenzione di lasciarmi qui da sola? E se dovesse tornare?»

«Oh, Cristo!» sbottò Howard. «La smetta di recitare questa commedia!»

Lei gli si avvicinò di qualche passo. «Non mi importa quello che pensa, non mi importa quello che sostiene lo sceriffo di Napa County: io non sto recitando una commedia. Le spiacerebbe lasciare qui un agente per almeno un’ora in modo che possa chiamare un fabbro e farmi cambiare le serrature?»

Howard scosse la testa. «No. Che mi venga un accidente se spreco ancora il tempo prezioso della polizia e il denaro dei contribuenti per fornirle una protezione di cui non ha certo bisogno. La smetta. Ormai è finita. Ha perso. Se ne deve rendere conto, Miss Thomas.» E uscì dalla stanza.

Hilary andò verso la poltrona marrone e si sedette. Era esausta, confusa e spaventata.

Clemenza mormorò: «Farò in modo che gli agenti Whitlock e Farmer rimangano con lei fino a quando avrà cambiato le serrature.»

Hilary alzò lo sguardo verso di lui. «Grazie.»

Clemenza si strinse nelle spalle. Era decisamente a disagio. «Mi dispiace non poter far altro per lei.»

«Non mi sono inventata tutta questa storia,» ripetè.

«Le credo.»

«Frye è stato qui questa sera,» proseguì.

«Non dubito che ci fosse qualcuno ma…»

«Non qualcuno. Frye.»

«Se provasse a riconsiderare la sua deposizione, potremmo continuare a occuparci del caso e…»

«Era Frye,» ripetè senza più rabbia nella voce ma con molta stanchezza. «Era lui e nessun altro.»

Per un lungo istante, Clemenza la osservò con interesse e i suoi occhi color nocciola erano pieni di comprensione. Era un bell’uomo, ma non era l’aspetto che lo rendeva particolarmente attraente: dai suoi lineamenti italiani si sprigionavano un indescrivibile calore e una grande gentilezza. Sul viso aveva dipinto un interessamento autentico e quasi tangibile e Hilary ebbe la certezza che aveva davvero a cuore la sua situazione.

Clemenza la tranquillizzò: «Ha vissuto una brutta esperienza. Ed è scossa. È perfettamente comprensibile. A volte, in casi come questo, succede che la percezione sia distorta. Forse quando riuscirà a calmarsi, ricorderà le cose in modo leggermente… diverso. Passerò da lei domani. Forse avrà qualcosa di nuovo da aggiungere.»

«Sono sicura di no,» disse Hilary senza esitare. «Ma grazie per… essere stato così gentile.»

Le parve che fosse riluttante ad andarsene. Poi uscì e lei rimase sola nello studio.

Per un paio di minuti, non riuscì a trovare la forza di alzarsi dalla poltrona. Era come se fosse sprofondata nelle sabbie mobili e avesse esaurito tutte le forze nell’estenuante e inutile tentativo di fuggire.

Alla fine si alzò, andò alla scrivania e alzò il ricevitore. Pensò di chiamare la tenuta di Napa County ma si rese conto che non avrebbe ottenuto nulla. Conosceva solo il numero dell’ufficio. Non aveva il numero di telefono della casa di Frye. Anche ammesso di riuscire a ottenere il numero tramite il centralino, non avrebbe certo potuto risolvere quell’enigma. Se avesse potuto chiamarlo a casa, le possibilità erano solo due. Uno: Frye non rispondeva e questo non avrebbe dimostrato né che aveva ragione lei né che lo sceriffo Laurenski aveva detto la verità. Due: Frye rispondeva, lasciandola di stucco. E a quel punto? Avrebbe dovuto riesaminare gli avvenimenti di quella sera, accettando il fatto che l’uomo con cui aveva lottato era qualcuno che assomigliava solo a Bruno Frye. O forse non assomigliava per niente a Frye. Forse i suoi sensi erano talmente scossi da farle notare una somiglianzà che non esisteva affatto. Come si fa a capire quando si inizia a perdere il contatto con la realtà? Come inizia la follia? Si insinua lentamente nel corpo o ti assale all’improvviso, senza avvisarti? Doveva considerare la possibilità di essere sul punto di impazzire perché, dopotutto, c’erano già stati casi di follia nella sua famiglia. Per molti anni aveva temuto di morire com’era morto suo padre: con gli occhi spiritati, in preda al delirio, agitando una pistola e cercando di sbarazzarsi di mostri inesistenti. Tale padre, tale figlia?

«L’ho visto,» ripetè a voce alta. «Bruno Frye. In casa mia. Qui. Questa sera. Non l’ho immaginato e non soffro di allucinazioni. L’ho visto, dannazione.»

Aprì le Pagine Gialle e chiamò un fabbro aperto ventiquattr’ore su ventiquattro.

Dopo aver lasciato l’abitazione di Hilary Thomas, Bruno Frye guidò il furgoncino Dodge color grigio fumo fuori di Westwood. Si diresse verso sudovest, a Marina Del Rey, un piccolo porticciolo ai confini della città; un luogo di lussuosi appartamenti, condomini, negozi e ristoranti riccamente addobbati, anche se niente di eccezionale, la maggior parte dei quali godeva di ampia vista sul mare e sulle migliaia di barche attraccate lungo i canali artificiali.

Lungo la costa stava avanzando la nebbia, come una vampata glaciale che si sprigionava dall’oceano. In alcuni punti era fitta, in altri più rada, ma procedeva inesorabilmente.

Parcheggiò il furgoncino in un posteggio nei pressi del molo e rimase seduto al volante per un minuto a contempiare la sua disfatta. Sicuramente la polizia avrebbe iniziato a cercarlo, ma solo fino a quando avesse scoperto che era rimasto nella casa di Napa County per tutta la sera. E anche se avessero iniziato le ricerche nell’area di Los Angeles, non avrebbe corso alcun rischio, dal momento che non sapevano quale macchina stesse guidando. Era sicuro che Hilary Thomas non avesse visto il furgone quando se n’era andato, perché l’aveva posteggiato a tre isolati di distanza.

Hilary Thomas.

Ovviamente non era il suo vero nome.

Katherine. Ecco chi era veramente. Katherine.

«Troia puzzolente,» esclamò ad alta voce.

Lo terrorizzava. Negli ultimi cinque anni, l’aveva ammazzata almeno una ventina di volte, ma lei si era sempre rifiutata di morire. Continuava a tornare in vita con un corpo nuovo, con un nome nuovo, con un’identità nuova e un passato ben costruito. Ma lui era sempre riuscito a riconoscere la Katherine che si nascondeva dietro tutte quelle personalità. L’aveva incontrata molte volte, l’aveva ammazzata molte volte, ma lei non voleva morire. Sapeva come fare per resuscitare dalla tomba e questo lo terrorizzava ancora più di quanto non avesse mai dato a vedere. Aveva paura di lei, ma non poteva permettersi di farglielo capire, perché se avesse cominciato a sospettare di esercitare un tale potere su di lui, l’avrebbe sopraffatto e distrutto.

Ma c’è un modo per ucciderla, pensò Frye. Io l’ho già fatto. L’ho uccisa più volte e più volte ho seppellito il suo cadavere in fosse segrete. La ucciderò di nuovo. E forse questa volta non riuscirà a tornare indietro.

Appena fosse stato abbastanza sicuro di poter ripresentarsi nella casa di Westwood senza correre pericoli, l’avrebbe ammazzata di nuovo. E questa volta sarebbe ricorso a una serie di riti che si augurava potessero cancellare il suo potere soprannaturale di rigenerazione. Aveva letto diversi libri sui morti viventi, sui vampiri e su altre creature. Anche se lei non era niente di tutto questo, anche se era spaventosamente unica, era convinto che i metodi per sterminare i vampiri avrebbero potuto risultare efficaci anche contro di lei. Le avrebbe strappato il cuore ancora pulsante. L’avrebbe trafitto con un paletto di legno. Le avrebbe tagliato la testa. Le avrebbe riempito la bocca di aglio. Avrebbe funzionato. Oh, Dio, doveva funzionare.