Cercò di tenere la voce bassa per evitare che gli altri commensali si accorgessero della scenetta che stava mettendo in piedi. Sapeva di poterne affrontare due, ma non voleva che gli si rivoltasse contro un esercito. Con l’occhio offuscato sbirciò il più muscoloso dei due, gli lanciò un sorriso subito smorzato dal ringhio che emise per parlare. «Tieni quella sedia del cazzo al suo posto, imbecille.»
Il ragazzo lo stava guardando sorridente, in attesa che si scusasse. Dopo l’insulto strinse gli occhi e il sorriso gli si congelò sulle labbra.
Prima che potesse alzarsi, Frye si voltò di scatto verso l’altro ragazzo: «Perché non siete usciti con qualche strafiga come quella bionda laggiù? Che cosa pensate di poter fare con due passere raggrinzite come queste?»
E si diresse immediatamente verso l’uscita, per evitare che la rissa iniziasse nel ristorante. Ridacchiando, spinse la porta, uscì vacillante nella nebbia della notte e si affrettò verso il posteggio dall’altra parte della strada.
Era quasi arrivato al furgoncino, quando uno dei due ragazzi che si era lasciato alle spalle gli gridò con un forte accento spagnolo: «Ehi! Aspetta un attimo, amico!»
Frye si voltò, continuando a fingere di essere ubriaco; vacillava e oscillava come se la terra gli stesse scivolando sotto i piedi. «Che cosa c’è?» domandò con aria stupida.
I due ragazzi si fermarono l’uno di fianco all’altro: due apparizioni nella nebbia. Il più muscoloso cominciò a parlare: «Ehi, che cosa diavolo credi di poter fare, amico?»
«State cercando guai?» ribattè Frye, biascicando le parole.
«Cerdo!» esclamò sempre lo stesso.
«Mugriento cerdo!» fece eco il più magro.
«Perdio, smettete di parlare quella cazzo di lingua da scimmie con me. Se dovete dirmi qualcosa, parlate in inglese.»
«Miguel ti ha dato del porco,» tradusse il magro. «E io ho aggiunto che sei uno sporco maiale.»
Frye sorrise e fece un gesto osceno.
Miguel cominciò a caricare e Frye restò immobile, come se non l’avesse nemmeno notato. Miguel si stava avvicinando a capo chino, con i pugni stretti e le braccia lungo i fianchi. Appioppò due colpi secchi e veloci al torace di ferro di Frye. Le mani di granito del ragazzo emisero un rumore sordo, ma Frye accusò i colpi senza battere ciglio. Teneva ancora in mano la bottiglia che mandò in frantumi sulla testa di Miguel. Il vetro esplose e i cocci caddero sull’asfalto del parcheggio con suoni dissonanti. La schiuma della birra si riversò su entrambi. Miguel si accasciò sulle ginocchia, gemendo come se fosse stato colpito da una scure. «Pablo,» chiamò. Afferrando la testa del ragazzo con entrambe le mani, Frye tenne ben salda la presa e conficcò una ginocchiata nel mento della sua vittima. I denti di Miguel si chiusero con un suono secco. Frye lo lasciò andare e il ragazzo cadde di lato, ormai privo di conoscenza, con il fiato che cercava di uscire dalle narici insanguinate.
Mentre Miguel si accasciava sul marciapiede umido, Pablo si avventò su Frye. Aveva un coltello: un’arma lunga e sottile, con tutta probabilità a serramanico, affilata su entrambi i lati come un rasoio. Il magro non aveva la potenza del suo compagno. Si muoveva con la rapidità e la grazia di un ballerino e lanciava colpi a vuoto con la velocità di un lampo, alla ricerca di un’occasione favorevole, nel tentativo di sfruttare il momento opportuno. Il coltello andava e veniva e se Frye non fosse arretrato di scatto, gli avrebbe squarciato la pancia. Pablo si spinse in avanti, senza smettere di agitare il coltello. Indietreggiando, Frye cercò di studiare il modo con cui Pablo usava l’arma e quando arrivò a toccare il furgoncino, aveva già capito come fare per liberarsi di lui. Diversamente da chi era esperto nel maneggiare i coltelli, Pablo agitava la mano con passate lunghe e complete; questo significava che, dopo che la lama era balenata davanti a Frye, gli restava qualche secondo prima che tornasse indietro. In quegli istanti, il coltello non costituiva una minaccia e Pablo diventava vulnerabile. Mentre Pablo stava per affondare il colpo letale, ormai convinto che la sua preda non potesse più sfuggirgli, Frye calcolò la lunghezza del movimento e reagì al momento giusto. Afferrò il polso del ragazzo, lo strinse e lo ritorse, ripiegandolo all’indietro. Pablo ululò dal dolore e lasciò cadere il coltello. Frye si accostò al ragazzo, l’afferrò per il collo e gli conficcò la testa nella fiancata posteriore del furgoncino. Gli torse con più forza il braccio, facendogli toccare le scapole con la mano: sembrava volesse staccarsi da un momento all’altro. Con la mano libera, Frye afferrò il ragazzo per il sedere e lo sollevò da terra prima di mandarlo a sbattere una seconda volta contro il furgoncino, poi una terza, una quarta, una quinta, una sesta, finché non lo sentì più gridare. Lasciò andare Pablo che cadde per terra come un pesante sacco di patate.
Miguel si era raddrizzato sulle ginocchia, appoggiandosi sulle mani. Sputava sangue e frammenti di denti sul macadam nero.
Frye si diresse verso di lui.
«Stai cercando di rialzarti, amico?»
Ridendo sommessamente, gli schiacciò le mani, affondò il tacco sulla mano del ragazzo e poi si ritrasse.
Miguel emise un ululato e cadde di fianco.
Frye gli diede un calcio nella coscia.
Miguel non perse i sensi, ma chiuse gli occhi, augurandosi che quell’uomo se ne andasse.
Frye si sentì attraversare da una scossa di elettricità di milioni di volt che scorreva da una sinapsi all’altra, calda, crepitante e scintillante. Non era una sensazione dolorosa, ma un’esperienza selvaggia ed esaltante, come se fosse appena stato toccato dallo Spirito Santo in persona e si sentisse colmo di una splendida luce brillante e sacra.
Miguel riaprì gli occhi rigonfi.
«Ti è passata la voglia di fare a botte?» gli domandò Frye.
«Ti prego,» riuscì a proferire Miguel fra i denti spezzati e le labbra rotte.
Al settimo cielo, Frye appoggiò un piede sulla gola di Miguel e lo costrinse a rotolare su un fianco.
«Ti prego.»
Frye tolse il piede dalla gola.
«Ti prego.»
Ebbro della sensazione di potere, Frye si sentì fluttuare nell’aria e inferse un calcio nel costato di Miguel. Il ragazzo quasi soffocò dal dolore.
Ridendo a crepapelle, Frye continuò a scalciare ripetutamente finché udì il rumore secco di un paio di costole che si fratturavano. A quel punto, Miguel fece ciò che, con grande orgoglio, era riuscito a evitare negli ultimi minuti. Cominciò a piangere.
Frye tornò al furgoncino.
Pablo era sempre per terra, vicino alle ruote posteriori, disteso sulla schiena in stato di incoscienza.
Approvando ad alta voce ciò che stava per fare, Frye prese a calci anche Pablo sui polpacci, sulle ginocchia, sulle cosce, sui fianchi e sulle costole.
Dalla strada stava arrivando una macchina, ma l’autista si accorse della scena e decise che era meglio non immischiarsi. Ingranò la retromarcia, fece inversione e se ne andò con uno stridio di gomme.
Frye trascinò Pablo vicino a Miguel e allineò i due ragazzi ordinatamente per far strada al furgoncino. Non intendeva investire nessuno. Non intendeva uccidere nessuno. Erano troppe le persone che l’avevano notato nel ristorante. Le autorità non si sarebbero preoccupate di acciuffare il trionfatore di una normale rissa da strada, soprattutto in considerazione del fatto che erano state le due vittime a lanciarsi contro un solo uomo. Ma la polizia avrebbe sicuramente dato la caccia a un assassino, ed era quindi il caso di fare in modo che i due ragazzi sopravvivessero.