Un violento brivido di repulsione attraversò il corpo di Hilary quando si rese conto di ciò che aveva fatto. Ma non lasciò cadere il coltello e si preparò a colpirlo di nuovo nel caso l’avesse aggredita.
Bruno Frye si guardò la pancia, sbalordito. La lama era penetrata in profondità. Dalla ferita fuoriusciva un sottile fiotto di sangue che gli macchiò rapidamente il golf e i pantaloni.
Hilary non rimase ad aspettare che quell’espressione di stupore si trasformasse in rabbia e agonia. Si voltò e si precipitò nella stanza degli ospiti, sbattè la porta e la chiuse a chiave. Per circa mezzo minuto si fermò ad ascoltare i gemiti, le imprecazioni e i goffi movimenti di Frye, chiedendosi se avrebbe avuto ancora la forza necessaria per sfondare la porta. Le parve di udire il corpo dell’uomo che si trascinava pesantemente giù per le scale, ma non poteva esserne certa. Si precipitò al telefono. Con le mani esangui e paralizzate, sollevò il ricevitore e compose il numero del centralino. Chiese di parlare con la polizia.
Quella puttana! Quella fottuta puttana!
Frye fece scivolare una mano sotto il pullover giallo e strinse la ferita che gli aveva squarciato le budella e che sanguinava copiosamente. Cercò di stringerne i lembi, nel tentativo di impedire che la vita gli sfuggisse. Sentì il sangue tiepido che colava attraverso le cuciture dei guanti, bagnandogli le dita.
Non era un dolore insopportabile. Solo una sensazione di caldo nello stomaco. Un pizzicore elettrico lungo il fianco sinistro. Una fitta che si ripeteva a intervalli ritmici, con la stessa cadenza del battito cardiaco. Nient’altro.
Tuttavia, sapeva di essere ferito gravemente e di peggiorare con il passare del tempo. Era incredibilmente debole. La sua grande forza l’aveva abbandonato improvvisamente e completamente.
Stringendosi la pancia con una mano e afferrando la balaustra con l’altra, scese al pianterreno sui gradini instabili come quelli della casa dei fantasmi al luna park: sembravano inclinarsi, beccheggiare e rollare continuamente. Quando giunse in fondo alle scale, era bagnato fradicio di sudore.
All’esterno, gli occhi rimasero feriti dalla luce del sole. Era una delle giornate più luminose che avesse mai visto e il sole implacabile alto nel cielo lo colpiva senza pietà. Era come se gli si riflettesse negli occhi, lanciando minuscole saette sulla superficie del cervello.
Piegandosi sulle ferite e imprecando sottovoce, si trascinò lungo il marciapiede fino a quando raggiunse il furgoncino grigio fumo. Si sistemò al posto di guida e chiuse la portiera che sembrava pesare una tonnellata.
Guidò con una mano lungo Wilshire Boulevard, svoltò a destra, proseguì verso Sepulveda e girò a sinistra alla ricerca di una cabina del telefono al riparo da sguardi indiscreti. Ogni buca nella strada gli provocava una fitta al plesso solare. Le automobili attorno a lui sembravano allungarsi, flettersi e gonfiarsi come se fossero state costruite con un metallo magico: dovette concentrarsi per ridare loro una forma più familiare.
Per quanto stringesse la ferita, il sangue continuava a sgorgare. La sensazione di caldo nello stomaco si fece più intensa. Il pizzicore ritmico si trasformò in una stretta pungente. Ma non avvertiva ancora il dolore lancinante che sarebbe sopraggiunto inevitabilmente.
Guidò per un tratto interminabile prima di individuare una cabina del telefono adatta alle sue esigenze. Era situata in un angolo del posteggio di un supermercato, a circa cento metri dal negozio.
Posteggiò il furgone in un angolo per evitare gli sguardi dei clienti del negozio e degli automobilisti di passaggio. Non era una vera e propria cabina, ma una semplice semicupola di plastica che avrebbe dovuto garantire un ottimo isolamento acustico ma che in realtà non era in grado di attutire i rumori in sottofondo; a ogni modo sembrava in funzione ed era sufficientemente riparata. Dietro, si ergeva un alto muro di cemento che separava il posteggio dal terreno di una casa. A destra, alcuni arbusti e due piccole palme proteggevano il telefono dalla strada laterale che conduceva sulla Sepulveda. Nessuno avrebbe potuto accorgersi che era ferito ed era proprio ciò che desiderava.
Scivolò sul sedile accanto a quello del guidatore e scese dal furgoncino. Quando vide il sangue appiccicoso che colava sulle dita strette attorno alla ferita, si sentì quasi svenire e dovette distogliere lo sguardo. Doveva fare solo tre passi per raggiungere il telefono, ma sembrava lontano mille miglia.
Non riuscì a ricordare il numero della sua carta di credito telefonica, che gli era sempre stato familiare come la data di nascita, così addebitò la chiamata a Napa County.
L’operatore fece squillare il telefono sei volte.
«Pronto?»
«Ho una chiamata a carico del destinatario da un certo Bruno Frye. La accetta?»
«Proceda pure.»
Si udì un leggero suono metallico.
«Sono gravemente ferito. Sto… sto per morire,» mormorò Frye all’uomo a Napa County.
«Oh, Cristo. No. No!»
«Dovrò… chiamare un’ambulanza,» proseguì Frye, «e allora… tutti conosceranno la verità.»
Parlarono per un minuto, entrambi spaventati e confusi.
Improvvisamente, Frye sentì che qualcosa si stava lasciando andare dentro di lui. Qualcosa simile a una molla. Un sacchetto di acqua che si rovesciava. Urlò dal dolore.
Il suo interlocutore a Napa County gridò in segno di solidarietà, come se avvertisse lo stesso tormento.
«Devo… chiamare l’ambulanza,» mormorò Frye.
Riappese.
Il sangue era colato lungo i pantaloni e le scarpe e stava sgocciolando sul marciapiede. Frye sollevò il ricevitore e lo appoggiò sulla mensola di metallo. Prese una moneta con le dita intorpidite ma gli cadde dalla mano e lui rimase a osservarla con aria stupida mentre rotolava sull’asfalto. Cercò un’altra monetina. Si sforzò di stringerla per quanto gli fu possibile. La sollevò come se fosse stata un pesante disco di piombo delle dimensioni di un pneumatico e finalmente riuscì a inserirla nella fessura. Fece per comporre lo zero. Ma non aveva abbastanza forza neppure per compiere quel gesto banale. Le braccia muscolose, le ampie spalle, il torace possente, la schiena robusta, il ventre sodo e le cosce poderose sembravano ormai scomparsi.
Non riusciva a telefonare e non riusciva nemmeno a stare in piedi. Cadde a terra, rotolò su un fianco e si ritrovò a faccia in giù sull’asfalto.
Non riusciva a muoversi.
Non vedeva più nulla. Era cieco.
Era circondato dall’oscurità più completa.
Aveva paura.
Cercò di convincersi che sarebbe ritornato dal mondo dei morti come aveva fatto Katherine. Ritornerò e la prenderò, pensò. Ritornerò. Ma in realtà non ne era molto convinto.
Mentre si sentiva sempre più leggero, ebbe un attimo di incredibile lucidità e si chiese se non si fosse sbagliato a proposito di Katherine che ritornava dal mondo dei morti. Era stata solo la sua immaginazione? Aveva forse ucciso solo le donne che le somigliavano? Donne innocenti? Era un pazzo?
Una nuova esplosione di dolore cancellò quei pensieri, costringendolo a riflettere sull’oscurità soffocante nella quale giaceva.
Sentì qualcosa che si muoveva su di lui.
Qualcosa che strisciava sopra di lui.
Qualcosa che strisciava sulle gambe e sulle braccia.
Qualcosa che strisciava sulla faccia.