«E sarebbe?» grugnì Frank.
«Si è introdotto in casa attraverso una finestra dello studio. Un bel lavoro. Ha messo del nastro adesivo sul vetro in modo da non far rumore nel romperlo.»
«Potrebbe essere stata lei,» sbottò Frank.
«A rompere il vetro?»
«Sì. Perché no?»
«Be’,» proseguì Prewitt, «non è stata lei a sporcare di sangue tutta la casa.»
«Quanto sangue?» domandò Tony.
«Non tantissimo, ma neanche poco,» spiegò Prewitt. «Ce n’è un po’ sul pavimento dell’ingresso, un’impronta della mano insanguinata sulla parete, alcune gocce sulle scale, un’altra macchia sul muro e tracce di sangue sul pomolo della porta.»
«Sangue umano?» indagò Frank.
Prewitt ammiccò leggermente. «Eh?»
«Volevo sapere se era sangue finto, uno scherzo, insomma.»
«Oh, per l’amor del cielo!» esclamò Tony.
«I ragazzi del laboratorio sono arrivati qui solo tre quarti d’ora fa,» proseguì Prewitt. «Non hanno ancora detto niente. Ma sono sicuro che è sangue umano. Inoltre, tre vicini hanno visto un uomo che si allontanava di corsa.»
«Ah,» mormorò Tony.
Frank scosse la testa con lo sguardo fisso al prato, come se stesse cercando di far appassire l’erba.
«Ha lasciato la casa piegato in due,» continuò Prewitt. «Si stringeva le mani allo stomaco e si trascinava curvo in avanti. Questo conferma la deposizione di Miss Thomas, che afferma di averlo pugnalato due volte al torace.»
«Dov’è andato?» chiese Tony.
«Abbiamo un testimone che sostiene di averlo visto salire su un furgone Dodge grigio a due isolati da qui. Si è allontanato in macchina.»
«Abbiamo il numero di targa?»
«No,» rispose Prewitt, «ma abbiamo sparso in giro la voce. Stiamo cercando il furgone.»
Frank Howard alzò gli occhi. «Vedi, forse questa aggressione non è collegata alla storia che ci ha fatto bere la scorsa notte. Forse ha gridato al lupo e poi questa mattina è stata aggredita sul serio.»
«Non ti sembra una strana coincidenza?» sbottò Tony, esasperato.
«Comunque, le due aggressioni devono essere collegate,» spiegò Prewitt. «La donna giura che si tratta dello stesso uomo.»
Frank incrociò lo sguardo di Tony e proseguì: «Ma non può essere Bruno Frye! Sai anche tu che cos’ha detto lo sceriffo Laurenski.»
«Non ho mai affermato che fosse davvero Frye,» proseguì Tony. «La scorsa notte ho pensato che fosse stata aggredita da qualcuno che somigliava a Frye.»
«Ma lei insisteva…»
«Sì, ma era spaventata e agitata,» incalzò Tony. «Non riusciva a vedere le cose con chiarezza e deve aver scambiato un sosia per il vero Frye. È comprensibile.»
«E poi sarei io a parlare di coincidenze,» lo punzecchiò Frank.
In quel momento l’agente Gurney, compagno di Prewitt, uscì dalla casa e li chiamò: «Ehi, l’hanno trovato! Il tizio che è stato accoltellato!»
Tony, Frank e Prewitt si precipitarono verso la porta.
«Ha appena chiamato la Centrale,» spiegò Gurney. «Un paio di ragazzini con lo skateboard l’hanno trovato circa venticinque minuti fa.»
«Dove?»
«Lungo la Sepulveda. Nel posteggio di un supermercato. Era disteso per terra accanto al furgone.»
«Morto?»
«Stecchito.»
«Aveva qualche documento d’identità?» domandò Tony.
«Sì,» rispose Gurney. «E proprio come ci ha detto la signora. È Bruno Frye.»
Freddo.
Il condizionatore ronzava attraverso le pareti. Nuvole di aria ghiacciata fuoriuscivano da due aperture poste vicino al soffitto.
Hilary indossava un abito color verde mare, decisamente troppo leggero per scacciare i brividi di freddo. Si strinse nelle spalle alla ricerca di un po’ di tepore.
Alla sua sinistra c’era il tenente Howard, visibilmente imbarazzato. Alla sua destra il tenente Clemenza.
Quel locale non sembrava far parte di un obitorio. Assomigliava più alla cabina di una navicella spaziale. Era facile immaginare che oltre quelle pareti grigie si estendesse il gelo dello spazio. Il ronzio costante del condizionatore d’aria somigliava al ruggito lontano dei motori di un razzo. Erano in piedi davanti a una finestra che dava su un’altra stanza, ma Hilary avrebbe preferito scorgere le stelle lontane e l’oscurità infinita oltre quello spesso vetro. Avrebbe preferito mille volte trovarsi nel bel mezzo di un interminabile viaggio intergalattico invece che in un obitorio, in attesa di identificare l’uomo che aveva ucciso.
L’ho ucciso, pensò.
Quelle parole le risuonarono nella mente e aumentarono la sensazione di gelo.
Diede un’occhiata all’orologio.
Le 3.18.
«Ci vorrà solo un minuto,» le assicurò il tenente Clemenza.
Mentre Clemenza parlava, un inserviente spinse nella stanza una barella, fermandosi dall’altra parte della finestra, al centro della vetrata. Sulla barella era appoggiato un corpo, coperto da un lenzuolo. L’inserviente scoprì il cadavere fino al torace e si allontanò.
Hilary osservò il corpo e sentì la testa che girava.
La bocca era completamente secca.
Il volto di Frye era bianco e immobile, ma Hilary aveva la strana sensazione che in qualsiasi momento avrebbe potuto voltare la testa verso di lei e spalancare gli occhi.
«È lui?» chiese il tenente Clemenza.
«È Bruno Frye,» rispose in un soffio.
«Ma è l’uomo che è entrato in casa sua e che l’ha aggredita?» domandò il tenente Howard.
«Non ricominciamo con questa stupida storia,» protestò. «Per favore.»
«No, no,» intervenne Clemenza, «il tenente Howard non ha più dubbi sulla sua storia, Miss Thomas. Vede, sappiamo già che quest’uomo è Bruno Frye. L’abbiamo stabilito grazie ai documenti che aveva addosso. Ma dobbiamo assicurarci che sia l’uomo che l’ha aggredita, l’uomo che lei ha pugnalato.»
La bocca del morto era priva di espressione, senza ghigni né sorrisi, ma Hilary ricordava perfettamente la piega ironica che aveva notato in precedenza.
«È lui,» affermò. «Ne sono certa. Ne sono sempre stata certa. E me lo sognerò di notte per molto tempo.»
Il tenente Howard fece un cenno all’inserviente oltre il vetro e l’uomo ricoprì il cadavere.
Hilary fu scossa da un altro pensiero, agghiacciante per quanto assurdo: e se adesso si siede sulla barella e getta via il lenzuolo?
«Ora l’accompagneremo a casa,» mormorò Clemenza.
Hilary uscì dalla stanza precedendo i due investigatori. Si sentiva in colpa perché aveva ucciso un uomo, ma era decisamente sollevata e contenta che fosse morto.
L’accompagnarono a casa a bordo della macchina della polizia. Frank era al volante e Tony sedeva di fianco a lui. Hilary Thomas aveva preso posto dietro e se ne stava con le spalle leggermente incassate, come se avesse molto freddo nonostante la tiepida giornata di fine settembre.
Tony continuava a trovare qualche scusa per voltarsi e parlare. Non voleva staccarle gli occhi di dosso. Era incantevole e Tony si sentiva come quando, nei grandi musei, si soffermava davanti a un quadro particolarmente delicato, opera di un maestro del passato.
Lei gli rispondeva abbozzando deboli sorrisi, ma non era nello spirito più adatto per chiacchierare. Era immersa nei propri pensieri e trascorse la maggior parte del tempo in silenzio, lo sguardo perso oltre il finestrino.
Quando giunsero sul vialetto circolare che conduceva a casa sua, Frank si voltò e balbettò: «Miss Thomas… io… be’… le devo le mie scuse.»
Tony non fu sorpreso da quelle parole, ma rimase colpito dalla sincera nota di pentimento nella voce di Frank e dall’espressione supplichevole che apparve sul suo volto: la dolcezza e l’umiltà non erano certamente le caratteristiche fondamentali di Frank.