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«Be’, visti i precedenti, direi che Frank non è un gran che nel giudicare le persone.»

«Ha i suoi problemi,» le spiegò Tony, immettendosi sul Wilshire Boulevard. «Ma sta cercando di uscirne.»

«Certo che a Los Angeles non se ne vedono molte di macchine come questa.»

«Di solito le donne mi chiedono se è la mia seconda automobile.»

«A me non interessa.»

«A Los Angeles si dice che si è ciò che si guida.»

«Ah, davvero? Allora tu sei una jeep. E io una Mercedes. Quindi siamo due automobili, non due persone. Dovremmo andare da un benzinaio a farci cambiare l’olio e non al ristorante a cenare. Ma ti sembra logico?»

«No, per niente,» rispose Tony. «A dire la verità, ho una jeep perché in inverno mi piace andare a sciare. Con questo carro armato sono sicuro di poter arrivare ovunque, anche con il brutto tempo.»

«Mi piacerebbe imparare a sciare.»

«Ti insegnerò io. Bisognerà aspettare ancora qualche settimana, ma tra poco cadrà la prima neve a Mammoth.»

«E chi ti dice che tra qualche settimana saremo ancora amici?»

«E perché no?»

«Magari litigheremo furiosamente questa sera, al ristorante.»

«Per che cosa?»

«Politica.»

«Considero i politici dei bastardi affamati di potere, troppo incompetenti per vedere oltre il proprio naso.»

«Sono d’accordo.»

«Sono un fautore del libero arbitrio.»

«In un certo senso, anch’io.»

«E allora perché dovremmo discutere?»

«Forse litigheremo per questioni religiose.»

«Sono cattolico di nascita. Ma ormai mi considero ateo.»

«Anch’io.»

«A quanto pare non riusciamo a litigare.»

«Be’,» riprese Hilary, «forse apparteniamo a quel genere di persone che discutono per delle sciocchezze.»

«Per esempio?»

«Be’, visto che stiamo andando in un ristorante italiano, forse a te piace la bruschettà mentre io la odio.»

«E dovremmo litigare per quello?»

«Oppure per le fettuccine o le lasagne.»

«No. Ti piacerà tutto. Aspetta e vedrai.»

La portò al Ristorante Savatino sul Santa Monica Boulevard. Era un locale piccolo, con non più di sessanta coperti, disposti in modo tale da sembrare la metà. Era accogliente, simpatico, il genere di ristorante nel quale si può perdere la nozione del tempo e rimanere seduti a tavola per ore senza accorgersene. Le luci erano calde e discrete. Il sottofondo di musica lirica, principalmente Gigli, Caruso e Pavarotti, era regolato in modo tale da poter essere apprezzato senza impedire la conversazione. Le pareti erano forse troppo decorate, ma su una di esse faceva bella mostra un murale che Hilary trovò semplicemente favoloso. Il dipinto occupava l’intera parete e rappresentava alcuni aspetti caratteristici della vita italiana: uva, vino, pasta, donne dagli occhi scuri, affascinanti uomini mediterranei, una nonnina deliziosa e grassoccia, un gruppo di persone che ballavano al suono di una fisarmonica, un picnic sotto gli ulivi e altro ancora. Hilary non aveva mai visto niente di simile: non era completamente realistico, né stilizzato, né astratto o impressionistico, ma ricordava piuttosto un dipinto surrealista, come se fosse nato dalla fantasiosa collaborazione di Andrew Wyeth e Salvador Dalì.

Michael Savatino, il proprietario del locale, era una persona estremamente gioviale che risultò essere un ex poliziotto. Baciò la mano di Hilary, abbracciò Tony e gli punzecchiò la pancia, raccomandandogli di mangiare un po’ di pasta per mettere su qualche chilo. Poi insisté perché andassero in cucina a vedere la sua nuova macchina per il cappuccino. Uscendo dalla cucina, incontrarono Paula, la moglie di Michael, una bionda appariscente che ricominciò con baci e abbracci. Alla fine Michael prese Hilary a braccetto e accompagnò la coppia al loro tavolo. Ordinò al sommelier una bottiglia di Brunello di Montalcino Biondi-Santi che stappò lui stesso. Dopo il brindisi di rito, Michael li lasciò, ammiccando a Tony in segno di approvazione per la scelta della compagna; vide che Hilary aveva notato la sua manovra e se ne andò ridendo e strizzando l’occhio alla ragazza.

«Dev’essere un uomo delizioso,» commentò Hilary.

«E un tipo in gamba.»

«Ti piace molto.»

«Lo adoro. Quando lavoravamo insieme alla Omicidi era il compagno ideale.»

Discussero dell’attività della polizia e del lavoro dello sceneggiatore. Era così naturale chiacchierare con lui che a Hilary sembrava di conoscerlo da anni. Non c’era traccia dell’imbarazzo tipico del primo appuntamento.

A un certo punto, Tony notò che Hilary osservava il murale; «Ti piace quel dipinto?» domandò.

«È stupendo.»

«Davvero?»

«Non sei d’accordo?»

«Non è male.»

«Altro che se non è male. Sai chi l’ha fatto?»

«Un artista non molto fortunato,» spiegò Tony. «L’ha dipinto in cambio di cinquanta pasti gratis.»

«Solo cinquanta? Michael ha fatto un buon affare.»

Continuarono a parlare di film, libri, musica e teatro.

La cena fu incantevole quanto la conversazione. Ordinarono un antipasto leggero: due crépes, una con la ricotta e un’altra con salsa di funghi, carne, peperoni, cipolla e aglio. L’insalata era croccante e saporita, arricchita da sottili fettine di funghi crudi. Tony scelse la carne, vitello alla Savatino, una specialità della casa: tenere scaloppine ricoperte da un velo di salsa, rondelle di cipolle e zucchine alla griglia. Alla fine fu servito un ottimo cappuccino.

A quel punto, Hilary lanciò un’occhiata all’orologio e scoprì con stupore che erano già le ventitré e dieci.

Michael Savatino si fermò un attimo al loro tavolo e riferì a Tony: «Con questa siamo a ventuno.»

«Oh, no. Ventitré.»

«Non secondo i miei calcoli.»

«I tuoi calcoli sono sbagliati.»

«Ventuno,» insistè Michael.

«Ventitré,» ripetè Tony. «Anzi, visto che siamo in due, arriviamo a ventiquattro.»

«No, no,» replicò Michael. «Contiamo le visite, non il numero dei coperti.»

Hilary li ascoltò perplessa e poi domandò: «Sbaglio o state dando davvero i numeri?»

Michael scosse la testa, esasperato dalla cocciutaggine di Tony. Si rivolse a Hilary e le spiegò: «Quando ha dipinto il murale, io avrei voluto pagarlo in contanti, ma sapevo che non avrebbe mai accettato. Ha voluto barattare quel dipinto con dei pranzi gratuiti. Gliene ho proposti almeno cento. Lui ne voleva solo venticinque. Alla fine abbiamo raggiunto l’accordo su cinquanta. Sottovaluta le sue capacità ed è una cosa che mi fa andare in bestia.»

«Vuol dire che l’ha dipinto Tony?»

«Non gliel’ha detto?»

«No.»

Hilary guardò Tony che sorrise imbarazzato.

«Ecco perché va in giro con quella jeep,» proseguì Michael. «Quando vuole arrampicarsi sulle colline per dipingere un paesaggio, quella macchina lo porta ovunque.»

«Mi ha detto che la usa per andare a sciare.»

«Anche. Ma principalmente l’ha comperata per andare sulle colline a dipingere. Dovrebbe essere orgoglioso delle sue opere, ma è più facile cavare un ragno da un buco che convincerlo a parlare dei suoi quadri.»

«Sono un dilettante,» replicò Tony. «Non c’è niente di più noioso di un dilettante che parla in continuazione della sua fantomatica ‘arte’.»

«Quel dipinto non è opera di un dilettante,» puntualizzò Michael.

«Decisamente no,» rincarò Hilary.

«Siete miei amici,» continuò Tony, «ed è logico che esageriate con i complimenti. Ma nessuno di voi è un critico d’arte.»

«Ha vinto due premi,» confidò Michael a Hilary.

«Premi?» domandò Hilary a Tony.