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Non guardò dentro la bara.

All’una Tannerton e Olmstead caricarono la cassa sul carro funebre.

Nessuno guardò dentro la bara.

Alle 13.30 si diressero verso il Napa County Memorial Park. Joshua Rhinehart e pochi altri conoscenti seguirono con le loro macchine. Considerando il fatto che si trattava del funerale di un uomo ricco e influente, il corteo funebre era incredibilmente ridotto.

Era una giornata fresca e luminosa. Gli alberi ad alto fusto proiettavano l’ombra sulla strada e il carro funebre attraversò strisce di luce e ombra.

Al cimitero, la cassa venne appoggiata su un’imbracatura sopra la tomba e una quindicina di persone si raggnipparono per ascoltare il breve servizio funebre. Gary Olmstead si appostò vicino alla pulsantiera, nascosta dai fiori, collegata all’imbracatura che avrebbe calato la bara nella fossa. Avril era davanti alla tomba e leggeva alcuni versi. Joshua Rhinehart era accanto a lui. Le altre persone erano disposte ai lati della tomba. C’erano alcuni viticoltori con le mogli. Avevano venduto i loro raccolti alla cantina di Bruno Frye e consideravano la loro presenza al funerale come un obbligo sociale. Per lo stesso motivo erano intervenuti anche i dirigenti dello Shade Tree Vineyards con le rispettive mogli. Nessuno versò una lacrima.

E nessuno ebbe l’opportunità o il desiderio di guardare dentro la bara.

Tannerton finì di leggere. Lanciò un’occhiata a Gary Olmstead e annuì.

Olmstead premette un bottone. Il piccolo motore elettrico iniziò a ronzare. La bara venne calata lentamente nella terra.

Hilary non ricordava di essersi mai divertita tanto come durante la prima giornata trascorsa interamente con Tony Clemenza.

Andarono a pranzo allo Yamashiro Skyroom, sulle colline di Hollywood. Il cibo non era eccezionale, anzi piuttosto banale, ma l’atmosfera e la splendida posizione lo rendevano perfetto per una cena o un pranzo diverso dal solito. Il ristorante era stato costruito in un autentico palazzo giapponese che in passato era appartenuto a una ricca famiglia. Era circondato da quattro ettari di giardini ornamentali perfettamente curati. Dal punto più alto, si godeva una vista impareggiabile dell’intera città di Los Angeles. La giornata era talmente limpida che Hilary riuscì a scorgere persino Long Beach e Palo Verde.

Dopo pranzo, raggiunsero Griffith Park. Per circa un’ora gironzolarono per lo zoo di Los Angeles, dando da mangiare agli orsi mentre Tony si esibiva in esilaranti imitazioni dei versi degli animali. In seguito decisero di visitare una speciale mostra di ologrammi nell’Osservatorio di Griffith Park.

Più tardi si avventurarono lungo la Melrose Avenue, gironzolando fra i negozi di antiquariato senza comprare nulla ma curiosando qua e là e scambiando quattro chiacchiere con i proprietari.

All’ora dell’aperitivo, si diressero a Tonga Lei per un Mai Tais.

Rimasero a lungo a osservare il sole che si tuffava nell’oceano e le onde che si frangevano ritmicamente sulla spiaggia.

Sebbene Hilary vivesse a Los Angeles già da parecchio tempo, il suo mondo era sempre ruotato attorno al proprio lavoro, alla casa, alle rose, al lavoro, agli studi cinematografici, al lavoro, ai pochi ristoranti eleganti nei quali la gente dello spettacolo si ritrovava per discutere di affari. Non era mai stata allo Yamashiro Skyroom, allo zoo, allo show degli ologrammi, nelle botteghe di antiquariato o a Tonga Lei. Per lei era tutto nuovo. Le sembrava di essere una turista o, meglio ancora, una prigioniera appena rilasciata dopo una condanna lunghissima trascorsa nel più assoluto isolamento.

Ma non erano solo i luoghi visitati a rendere tanto speciale quella giornata. Non sarebbero stati altrettanto interessanti e divertenti se ad accompagnarla non ci fosse stato Tony. Era così affascinante, così sagace e così pieno di energie da rendere ancora più radiosa quella giornata.

Dopo aver sorseggiato lentamente un paio di Mai Tais, si ritrovarono con una fame da lupi. Si diressero verso San Fernando Valley per cenare al Mel’s Landing, un altro locale di cui Hilary non aveva mai sentito parlare. Il Mel’s era un ristorantino senza troppe pretese e dai prezzi accessibili dove si mangiava il pesce migliore che Hilary avesse mai assaggiato.

Mentre divoravano frutti di mare enormi, iniziarono a discutere dei vari locali nei quali erano soliti recarsi a cena: Hilary scoprì che Tony ne conosceva molti più di lei. Hilary non andava oltre quei pochi ristoranti di lusso dove si recavano gli attori e i pezzi grossi dell’industria cinematografica. Le trattorie fuori mano, i caffè seminascosti che servivano le specialità della casa e i ristorantini a conduzione familiare con i loro piatti semplici ma deliziosi sembravano rappresentare un altro aspetto della città che non si era mai presa la briga di conoscere. Si rese conto di essere diventata ricca senza assaporare la gioia e la libertà che tale ricchezza poteva offrirle.

Mangiarono troppi frutti di mare, troppi crostacei e troppi gamberi. E bevvero anche troppo vino bianco.

Considerando l’enorme quantità di cibo divorato, Hilary fu sorpresa nel notare che erano riusciti comunque a chiacchierare. Non avevano mai smesso di parlare. Normalmente, era piuttosto riservata quando usciva con un uomo per la prima volta, ma con Tony era diverso. Voleva sapere che cosa ne pensava lui di una valanga di argomenti: da Mork e Mindy al dramma shakespeariano, dalla politica all’arte. Gente, cani, religione, architettura, sport, Bach, moda, cibo, femminismo, cartoni animati del sabato… sembrava fosse di vitale importanza conoscere la sua opinione su quelle e altre mille questioni. E non vedeva l’ora di spiegargli ciò che pensava lei per sapere che cosa ne pensava lui: alla fine gli comunicò quello che pensava avesse pensato dei suoi pensieri. Continuarono a parlare ininterrottamente, come se qualcuno li avesse informati che Dio avrebbe reso tutti gli uomini sordi e muti allo spuntare del sole. Hilary era ubriaca, ma non tanto per il vino, quanto per l’intimità e la spontaneità che trasparivano da quella conversazione; era intossicata da tutte quelle parole, da quella micidiale pozione alla quale non si era ancora abituata.

Quando giunsero davanti a casa e decisero di fermarsi per il bicchiere della staffa, Hilary ebbe la certezza che avrebbero finito per fare l’amore. Lo desiderava moltissimo e il solo pensiero di stringerlo a sé la riempì di eccitazione. E sapeva che anche lui la desiderava: glielo si leggeva negli occhi. Ma per il momento erano stracolmi di cibo e Hilary ritenne più opportuno versare un po’ di crema di menta e ghiaccio per entrambi.

Si erano appena seduti quando squillò il telefono.

«Oh, no!» esclamò.

«Ti ha richiamato dopo l’altra notte?»

«No.»

«E stamattina?»

«No.»

«Forse non è lui.»

Andarono entrambi verso il telefono.

Hilary esitò un attimo, poi sollevò la cornetta. «Pronto?»

Silenzio.

«Maledizione!» urlò, sbattendo con tale forza il ricevitore da temere di averlo rotto.

«Non devi innervosirti.»

«Non ci riesco,» mormorò.

«È solo un verme schifoso che non sa come trattare le donne. Ne ho visti tanti. Se avesse la possibilità di stare con una donna, se una donna gli si offrisse su un piatto d’argento, scapperebbe via terrorizzato.»

«Comunque mi fa paura.»

«Non è pericoloso. Torniamo sul divano. Siediti. Cerca di dimenticarlo.»

Si rimisero sul divano e sorseggiarono la crema di menta in silenzio per un paio di minuti.

Poi Hilary borbottò: «Dannazione.»

«Domani pomeriggio avrai il numero nuovo. E a quel punto non potrà più darti fastidio.»

«Ma mi ha rovinato la serata. Ero così contenta.»

«Io lo sono ancora.»

«È solo che… speravo in qualcos’altro oltre a un bicchiere accanto al camino.»