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Tony la fissò. «Davvero?»

«Tu no?»

Tony le regalò un sorriso speciale: non era solo la particolare configurazione della bocca, ma includeva il viso nel suo insieme e gli occhi scuri ed espressivi. Era il sorriso più spontaneo e decisamente più affascinante che avesse mai visto. Lui la punzecchiò: «Devo ammettere che anch’io speravo di assaggiare qualcosa di più della crema di menta.»

«Dannato telefono.»

Tony si chinò e la baciò. Lei socchiuse le labbra e per un dolcissimo attimo le lingue si sfiorarono. Tony si allontanò e la guardò accarezzandole delicatamente il viso. «Forse siamo ancora dell’umore giusto.»

«E se il telefono squilla di nuovo?»

«Non succederà.»

La baciò sugli occhi, poi sulle labbra e le appoggiò una mano sul seno.

Hilary si distese e lui fece altrettanto. Lei gli mise una mano sul braccio e avvertì la massa dei muscoli sotto la camicia.

Continuando a baciarla, Tony le accarezzò il collo con la punta delle dita e iniziò a sbottonarle la camicetta.

Hilary sfiorò la sua coscia muscolosa. Era così forte. Fece scivolare la mano e sentì la sua erezione, calda e dura come l’acciaio. Lo immaginò mentre entrava dentro di lei, spingendosi sempre più in fondo, e fu pervasa da un brivido di piacere.

Lui avvertì la sua eccitazione e si fermò un attimo ad accarezzare dolcemente il rigonfiamento del seno che sbucava dalla camicetta sbottonata. Le dita sembravano lasciare una traccia gelida sulla sua pelle infuocata: Hilary assaporò quella sensazione piacevole quanto il suo tocco delicato.

Il telefono squillò.

«Fai finta di niente,» suggerì Tony.

Lei cercò di seguire il suo consiglio. Gli mise le braccia al collo e si distese sul divano attirandolo a sé. Lo baciò con passione, stringendo le labbra contro le sue, leccando e mordicchiando.

Il telefono continuava a suonare.

«Dannazione!»

Si misero a sedere.

I trilli continuavano a risuonare nella casa.

Hilary si alzò.

«Non farlo,» disse Tony. «Parlargli non è servito. Lascia che me ne occupi io e vediamo che cosa succede.»

Si alzò e andò verso il telefono. Sollevò il ricevitore e non disse nulla. Si limitò ad ascoltare.

Hilary capì dalla sua espressione che l’altro non stava parlando. Tony era deciso a resistere. Guardò l’orologio.

Passarono trenta secondi. Un minuto. Due minuti.

La prova di resistenza ingaggiata dai due uomini ricordava vagamente un gioco per bambini, ma non c’era niente di infantile in quella storia. Faceva venire i brividi. Hilary aveva la pelle d’oca.

Due minuti e mezzo.

Sembravano un’eternità.

Alla fine, Tony depose il ricevitore. «Ha riappeso.»

«Senza dire nulla?»

«Neanche una parola. Ma ha riattaccato per primo e credo sia importante. Ho pensato che non avrebbe gradito la stessa medicina che cercava di somministrare a te. Crede di poterti spaventare. Ma tu ti aspetti la chiamata e ti limiti ad ascoltarlo, come fa lui. All’inizio crede che tu sia solo gentile ed è sicuro di potercela fare. Ma se continui a rimanere in silenzio, si chiede se per caso non hai in mente qualcosa. Forse hai il telefono sotto controllo? Forse la polizia sta cercando di localizzare la chiamata? Sei proprio tu che rispondi al telefono? Inizia a pensare a queste cose, si spaventa e riappende.»

«Lui ha paura? Be’, è confortante,» mormorò.

«Non credo che abbia il coraggio di richiamare. Almeno non prima di domani. Ma sarà troppo tardi, perché avrai già cambiato numero.»

«Comunque, non sarò tranquilla fino a quando quelli del telefono non avranno finito.»

Tony allargò le braccia e lei si lasciò stringere. Si baciarono di nuovo.

Era ancora incredibilmente bello, dolce e piacevole, ma mancava la passione irrefrenabile che li aveva assaliti poco prima. Entrambi si resero conto dolorosamente della differenza.

Ritornarono sul divano ma solo per finire la crema di menta e per parlare. Alle 12.30, Tony decise di tornare a casa. Si erano comunque accordati per trascorrere il fine settimana successivo in giro per musei. Sabato sarebbero andati al Norton Simon Museum di Pasadena per ammirare i quadri degli espressionisti tedeschi e gli arazzi del Rinascimento. Domenica si sarebbero recati al J. Paul Getty Museum, che vantava una delle collezioni più ricche del mondo. Naturalmente, fra un museo e l’altro, avrebbero gustato una valanga di buon cibo, avrebbero chiacchierato di mille cose e, lo speravano ardentemente, avrebbero ripreso da dove avevano interrotto.

Davanti alla porta, mentre Tony stava per andarsene, Hilary si rese improvvisamente conto che non avrebbe sopportato di rimanere cinque giorni senza vederlo.

«Che cosa ne dici di mercoledì?»

«Per che cosa?»

«Hai impegni per cena?»

«Oh, probabilmente mi farò un paio di uova che stanno diventando vecchie nel frigorifero.»

«Sono micidiali per il colesterolo.»

«E forse toglierò la muffa dal pane e mi farò un toast. E dovrei anche finire il succo di frutta che ho comprato due settimane fa.»

«Povero caro.»

«E la vita dello scapolo.»

«Non posso permettere che mangi ùóva vecchie e pane ammuffito. Soprattutto considerando il fatto che sono bravissima a preparare filetti di sogliola con insalata mista.»

«Una cenetta leggera ma deliziosa,» commentò.

«Non vorrai forse trovarti con la pancia strapiena e gli occhi pesanti!»

«Non si sa mai che cosa può succedere dopo.»

Hilary fece una smorfia. «Esatto.»

«Ci vediamo mercoledì.»

«Alle sette?»

«Sette in punto.»

Si scambiarono un ultimo bacio e poi lui si allontanò nel vento freddo della notte.

Mezz’ora più tardi, distesa sul letto, Hilary sentì il corpo che le doleva per la frustrazione. Aveva il seno gonfio e teso e desiderava ardentemente che le mani di Tony glielo massaggiassero dolcemente. Chiuse gli occhi e le parve di avvertire le sue labbra sui capezzoli induriti. Il ventre ebbe un fremito mentre Hilary immaginava le braccia possenti di Tony che la stringevano e il suo corpo che si muoveva lentamente dentro di lei. Si sentiva bagnata, calda e piena di desiderio. Si rigirò nel letto per più di un’ora, poi decise di alzarsi e di prendere un tranquillante.

Mentre il sonno stava per avere il sopravvento, intavolò una conversazione alquanto confusa con se stessa.

Mi sto innamorando?

— No. Certo che no.

Forse. Forse sì.

— No. L’amore è pericoloso.

Forse con lui funzionerà.

— Ricordati Earl ed Emma.

Tony è diverso.

— Tu hai voglia. Tutto qui. Hai solo voglia.

Anche questo è vero.

Si addormentò e sognò. Alcuni sogni le parvero dorati ma leggermente confusi. In uno di questi era nuda con Tony, distesa in un prato la cui erba ricordava le piume di un uccello. Il prato era posto sulla sommità di una roccia e il vento caldo era più limpido dei raggi del sole, più forte della corrente elettrica e più trasparente di qualsiasi altra cosa al mondo.

Ma ebbe anche qualche incubo. In uno si ritrovò nel vecchio appartamento di Chicago proprio mentre le pareti le si stringevano addosso. Alzò lo sguardo e vide che il soffitto era scomparso. C’erano invece Earl ed Emma che la fissavano, con le facce enormi e una smorfia sulle labbra, mentre le pareti cercavano di schiacciarla. Quando aprì la porta per fuggire dall’appartamento, si imbattè in un gigantesco scarafaggio, un insetto mostruoso più grande di lei che aveva tutta l’intenzione di volerla mangiare viva.