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«A dire il vero, non stavo pensando a niente del genere,» rispose Tony. «Mi sto chiedendo come diavolo ha fatto, ma so che non è grazie allo spaccio di droga.»

«E come fa a esserne tanto sicuro?»

«Se lei fosse uno spacciatore di droga con la passione per l’antiquariato cinese,» spiegò Tony, «arrederebbe tutta la casa in un colpo solo e non un pezzo alla volta. E evidente che sta guadagnando bene, ma non come ai tempi in cui vendeva stupefacenti.»

Tucker scoppiò nuovamente a ridere, applaudendo con le grandi mani nere. Si voltò verso Frank e disse: «Il suo compagno è perspicace.»

«Un vero Sherlock Holmes,» confermò Frank.

«Soddisfi la mia curiosità,» riprese Tony. «Che cosa fa adesso?»

Tucker si sporse in avanti, improvvisamente corrucciato. Sventolò un pugno e assunse un’espressione imponente, cattiva e minacciosa. Rispose con un grugnito: «Disegno vestiti.»

Tony rimase a bocca aperta.

Lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia, Tucker scoppiò a ridere di nuovo. Era uno degli uomini più allegri che Tony avesse mai conosciuto. «Disegno vestiti da donna,» spiegò. «È la verità. Il mio nome sta cominciando a essere conosciuto nell’ambiente californiano e un giorno diventerà una firma vera e propria. Potete esserne certi.»

Incuriosito, Frank proseguì: «Secondo le nostre informazioni, lei ha scontato quattro anni su otto di sentenza per spaccio di eroina e cocaina. Tutto questo che cos’ha a che vedere con la creazione di vestiti da donna?»

«Un tempo ero uno sporco figlio di puttana,» rispose Tucker. «E in prigione ero anche peggiorato. Incolpavo la società per tutto quello che mi era successo. Incolpavo la maledetta struttura dei bianchi. Incolpavo il mondo intero e non mi addossavo alcuna responsabilità. Pensavo di essere un vero duro, ma ancora non ero cresciuto. Non ci si può considerare uomini veri finché non si è disposti ad affrontare le proprie responsabilità. Molti non le affrontano mai.»

«E che cos’è stato a farla cambiare?» domandò Frank.

«Un’inezia,» spiegò Tucker. «E incredibile come a volte un piccolo dettaglio possa cambiare la vita di una persona. Nel mio caso si è trattato di un programma televisivo. Al telegiornale delle sei, trasmettevano una serie di servizi su persone di colore che erano riuscite a sfondare nella vita.»

«Li ho visti anch’io,» confermò Tony. «Sono passati più di cinque anni, ma me li ricordo ancora.»

«Erano molto interessanti,» continuò Tucker. «Proponevano un’immagine di nero che raramente la gente conosce. All’inizio tutti credevano che si sarebbero rivelati ridicoli. Pensavamo che il reporter avrebbe fatto sempre la stessa domanda a tutti gli intervistati: ‘Perché i poveri uomini di colore non possono lavorare e arricchirsi come Sammy Davis Jr?’ Ma non si sono rivolti a personaggi della televisione o del cinema.»

Tony ricordava che si era trattato di un gran bell’esempio di giornalismo, soprattutto per la televisione, dove le notizie, e soprattutto quelle a carattere umano, raggiungevano la profondità di una tazza da tè. I reporter avevano intervistato uomini e donne d’affari di colore che erano riusciti a sfondare, gente che aveva iniziato dal nulla e che aveva fatto i miliardi; avevano parlato di rappresentanti del mondo dell’edilizia, del mercato della ristorazione, del proprietario di una catena di saloni di bellezza. In totale una decina di persone. Tutti erano concordi nell’affermare che il colore della pelle ostacolava la strada del successo, ma non come pensavano prima di iniziare la carriera. Anzi, era più facile sfondare a Los Angeles che in Alabama o nel Mississippi o persino a Boston e New York. C’erano più miliardari di colore a Los Angeles che nel resto della California e negli altri quarantanove stati della federazione. A Los Angeles, tutti ingranavano la quarta; il californiano meridionale tipico non si limitava ad abituarsi ai cambiamenti, ma li cercava attivamente e ci sguazzava dentro. L’atmosfera costantemente innovativa e sperimentale attirava qualche folle, ma anche molte delle menti più brillanti e progredite della nazione, motivo per cui la maggior parte dei risultati culturali, scientifici e industriali provenivano da quella regione. Erano pochi i californiani del sud ad avere tempo e pazienza da sprecare in atteggiamenti fuori moda, come per esempio il pregiudizio razziale. Naturalmente c’erano razzisti anche a Los Angeles. Ma mentre una famiglia di proprietari terrieri in Georgia poteva richiedere sei generazioni per superare i pregiudizi nei confronti dei neri, nel sud della California la trasformazione arrivava a compiersi nel giro di una sola. Come aveva dichiarato uno degli intervistati del servizio televisivo: «Ormai i musi neri di Los Angeles sono i messicani.» Ma anche questo stava cambiando. La cultura ispanica veniva considerata sempre con maggior rispetto, mentre la gente di colore continuava a mettere a segno sempre più successi. A spiegazione dell’insolita fluidità delle strutture sociali della California del Sud e dell’entusiasmo con cui i suoi abitanti accettavano i cambiamenti, gli intervistatori avevano addossato la responsabilità alla geologia. Quando si vive su una delle faglie più pericolose del mondo, quando la terra può tremare, muoversi e cambiare da un momento all’altro senza il minimo preavviso, la consapevolezza dell’instabilità può arrivare a influenzare inconsciamente l’atteggiamento di una persona nei confronti di mutamenti meno cataclismici? Per la maggior parte, gli intervistati di colore si erano rivelati d’accordo con quella teoria. Anche Tony ne sembrava convinto.

«Hanno presentato una decina di ricconi neri,» riprese Eugene Tucker. «Molti, tra cui anch’io, si sono messi a fischiare il programma e gli intervistati sono stati soprannominati Zio Tom. Ma poi ci ho riflettuto. Se quelli che erano apparsi in televisione ce l’avevano fatta nel mondo dei bianchi, perché non dovevo tentare anch’io? Mi ritenevo furbo e intelligente come le persone che avevo visto parlare, anzi in alcuni casi ancora più in gamba. E nella mia mente si è accesa una lampadina, una nuova immagine del nero, una nuova idea. Los Angeles era la mia casa. Se era vero che sapeva offrire quelle possibilità, perché non dovevo approfittarne? Sicuramente alcuni degli intervistati avevano dovuto comportarsi come lo Zio Tom per arrivare in alto. Ma una volta raggiunto il successo, una volta guadagnato il primo miliardo, non si è più l’uomo di nessuno.» Sorrise. «È stato così che ho deciso di diventare ricco.»

«Detto, fatto,» commentò Frank, impressionato.

«Detto, fatto.»

«Il potere dell’ottimismo.»

«Il potere del realismo,» lo corresse Tucker.

«Ma perché la moda femminile?» domandò Tony.

«Mi sono sottoposto ad alcuni test attitudinali e ho scoperto di essere portato per il lavoro di stilista o per qualsiasi attività collegata con l’arte. Poi ho cercato di scoprire qual era l’oggetto che più mi sarei divertito a creare. Mi è venuto in mente che mi era sempre piaciuto aiutare le ragazze a scegliere i propri vestiti. Mi piaceva accompagnarle a fare spese. E mi sono accorto che, quando si mettevano il vestito scelto da me, ricevevano più complimenti del solito. Così mi sono iscritto a un corso universitario riservato ai detenuti e ho iniziato a studiare design. Ho frequentato anche diversi corsi di economia. Quando sono uscito, ho lavorato per un po’ in un fast food. Abitavo in una camera ammobiliata da quattro soldi e dovevo ridurre le spese al minimo. Ho disegnato qualche modello, ho pagato una sarta perché me lo realizzasse e ho iniziato a vendere le mie creazioni. All’inizio non è stato per niente facile. Anzi, è stato durissimo! Ogni volta che mi arrivava l’ordine di un negozio, dovevo portarlo in banca per strappare un prestito che mi sarebbe servito per produrre i vestiti. Caspita, mi sono arrampicato sui vetri. Ma poi la situazione è migliorata e adesso me la cavo bene. Aprirò un negozio tutto mio in un bel quartiere e prima o poi vedrete un’insegna a Beverly Hills con la scritta ‘Eugene Tucker’. Ve lo garantisco.»