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In quel momento l’odio nei confronti del padre e della madre si fece più gelido e risoluto, profondo come mai prima. D’improvviso la vita frenetica e l’enorme distanza che la separavano dalla gioventù infernale trascorsa a Chicago non parvero più un rimedio sufficiente contro il dolore.

«Che cosa c’è che non va?» chiese Wally.

«Niente. Sto bene.»

«Sei molto pallida.»

Con un grande sforzo, Hilary allontanò i ricordi, ricacciando indietro il passato. Sfiorò con la mano la guancia di Wally e gli diede un bacio. «Mi dispiace. A volte sono una vera rompiballe. Non ti ho nemmeno ringraziato. Sono contenta per come sono andate le cose, Wally. Davvero. E meraviglioso! Sei l’agente più in gamba di tutto il giro.»

«Hai ragione,» ammise lui. «E vero. Ma questa volta non mi sono neppure dovuto impegnare troppo. Il copione è piaciuto talmente tanto che erano disposti a offrirci tutto pur di avere in mano l’intero progetto. Non è stato solo un colpo di fortuna. E non è neanche merito, di un agente in gamba. Voglio che tu ti renda conto di questo. Mettitelo in testa, ragazzina, meriti il successo. La tua sceneggiatura è una delle cose migliori che siano mai state scritte in questi ultimi anni. Puoi anche continuare a vivere all’ombra dei tuoi genitori, puoi continuare ad aspettarti sempre il peggio, come prima, ma d’ora in poi otterrai sempre e solo successi. Se vuoi il mio consiglio, faresti meglio ad abituartici.»

Avrebbe desiderato ardentemente potergli credere e lasciarsi andare a una visione ottimista, ma gli oscuri germogli del dubbio sembravano spuntare continuamente dai semi gettati a Chicago. Negli angoli più remoti del paradiso che Wally stava descrivendo Hilary scorgeva i soliti, orrendi mostri a lei familiari. Era una fervente seguace della Legge di Murphy: Se c’è una cosa che può andar male, di certo bene non andrà.

A ogni modo, l’entusiasmo di Wally era così contagioso e il suo tono così convinto, che Hilary riuscì a ritrovare un autentico e radioso sorriso nel suo calderone ribollente di emozioni confuse.

«Così mi piaci,» esclamò lui, raggiante. «Va molto meglio. Hai un sorriso stupendo.»

«Cercherò di usarlo più spesso.»

«E io cercherò di concludere sempre il genere di affari che ti obbligheranno a usarlo più spesso.»

Continuarono a bere champagne, discussero L’Ora del Lupo, fecero progetti e risero come Hilary non ricordava di aver fatto per anni. Poco per volta, il suo umore migliorò. Un divo molto macho, la cui ultima pellicola aveva incassato oltre cinquanta milioni di dollari, fu il primo a fermarsi al loro tavolo e a chiedere il motivo di un tale festeggiamento. Sguardo assassino, labbra sottili, muscoli super e andatura spavalda, sullo schermo, nella vita di tutti i giorni era cordiale, facile alla risata e un pochino timido. Uno dei dirigenti di studios presenti in sala, tutto elegante e con lo sguardo furbo, cercò, prima in modo velato e poi sempre più apertamente, di scoprire la trama del film, nella speranza di poter far fruttare la preziosa informazione per ben figurare in qualche settimanale televisivo di anteprime cinematografiche. Ben presto, la sala si animò e almeno metà dei presenti si fermarono davanti al tavolo numero tre per congratularsi con Hilary e Wally, allontanandosi poi rapidamente per commentare le ragioni di tanto successo e chiedendosi quale sarebbe stata la percentuale dell’agente. Dopotutto, L’Ora del Lupo aveva bisogno di un produttore, di molti attori, di qualcuno che scrivesse la colonna sonora… Accanto al miglior tavolo della sala era tutto un susseguirsi di pacche sulle spalle, baci sulle guance e strette di mano.

Hilary sapeva che la maggior parte dei frequentatori della Polo Lounge non erano in realtà i mercenari che davano l’impressione di essere. Molti di loro erano partiti dal niente: gente povera e affamata proprio come lei. Sebbene ormai avessero accumulato autentiche fortune e avessero investito il loro denaro in modo sicuro, non potevano vincere l’impulso di continuare a lottare. Ci erano abituati da anni e non avrebbero saputo vivere diversamente.

L’immagine pubblica della vita di Hollywood era molto lontana dalla realtà. Segretarie, commessi, impiegati, tassisti, meccanici, casalinghe, camerieri: individui sparsi in tutto il paese che tornavano a casa ogni giorno distrutti dalla stanchezza, si sedevano di fronte alla televisione e sognavano di vivere come le star più famose. Secondo i luoghi comuni diffusi dalle Hawaii al Maine, dalla Florida fino in Alaska, Hollywood era un’effervescente miscela di feste esplosive, donne affascinanti, denaro facile, whisky a fiumi, cocaina a volontà, giornate di ozio, drink sui bordi delle piscine, vacanze ad Acapulco e Palm Springs e sesso sui sedili posteriori in pelle delle Rolls-Royce. Una fantasia. Un’illusione. Hilary era convinta che una società governata da capi corrotti e impotenti, una società basata su risparmi intaccati dall’inflazione e dall’eccessiva tassazione e impaurita dall’ombra di una totale distruzione nucleare, avesse bisogno di crearsi le proprie illusioni per riuscire a sopravvivere. In realtà, le persone impegnate nell’industria cinematografica e televisiva lavoravano duramente proprio come qualsiasi altro cittadino, anche se spesso il risultato delle loro fatiche non era sufficiente a ricompensarle. La star di una serie televisiva di successo lavorava dall’alba al tramonto, spesso quattordici, sedici ore al giorno. Naturalmente, le ricompense erano enormi. Ma, in realtà, le feste non erano così esplosive, le donne non più facili delle casalinghe di Filadelfia o Hackensack o Tampa, le giornate di ozio rare come per chiunque e il sesso esattamente lo stesso di quello praticato dalle segretarie di Boston e dalle commesse di Pittsburgh.

Wally alle sei e un quarto disse che doveva andarsene per arrivare puntuale a un appuntamento alle sette, mentre un paio di clienti nella Polo Lounge chiesero a Hilary di cenare con loro. Lei rifiutò, inventandosi un altro impegno.

Fuori dell’hotel, la serata autunnale era ancora luminosa e il cielo limpido era attraversato soltanto da poche nuvole alte. Il tramonto aveva colorato l’orizzonte di un biondo platino e l’aria era sorprendentemente fresca per Los Angeles. Due giovani coppie chiacchieravano e ridevano allegramente scendendo da una Cadillac blu e, poco più avanti, sul Sunset Boulevard, si udivano lo stridio delle gomme, il ruggito dei motori e il rumore dei clacson mentre l’ora di punta volgeva al termine e gli automobilisti cercavano di fare ritorno a casa sani e salvi.

Mentre Hilary e Wally aspettavano che i valletti sorridenti riportassero loro le vetture, l’uomo chiese: «Vai davvero a cena con qualcuno?»

«Sì. Io, me stessa e me medesima.»

«Ascolta, se vuoi puoi venire con me.»

«La classica ospite non invitata.»

«Ma ti ho appena invitato.»

«Non voglio rovinare i tuoi piani.»

«Sciocchezze. Saresti un’aggiunta deliziosa.»

«A ogni modo, non ho il vestito adatto.»

«Secondo me stai benissimo.»

«Voglio stare da sola,» confessò lei.

«Come Greta Garbo: sei terribile. Vieni a cena con me. Per favore. È solo una serata informale a The Palm con un cliente e sua moglie. Un intraprendente giovane scrittore per la televisione. Gente simpatica.»

«Preferisco di no, Wally. Davvero.»

«Una donna splendida come te, in una notte come questa, con un valido motivo per festeggiare: ci vorrebbe una cena a lume di candela, una musica soft, del buon vino e una persona speciale con cui condividere tutto questo.»