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Tony rimase talmente colpito dai sentimenti di Tucker che decise di svelargli il suo sogno segreto. «Mi sarebbe piaciuto fare l’artista e guadagnarmi da vivere con l’arte. Dipingo.»

«E allora perché fa il poliziotto?» gli chiese Tucker.

«Perché lo stipendio è sicuro.»

«Al rogo gli stipendi sicuri.»

«Ma me la cavo bene con il mio lavoro e non mi dispiace.»

«Se la cava bene anche con l’arte?»

«Credo di sì.»

«E allora lasci perdere. Amico, qui siamo alle frontiere del mondo occidentale, al limite delle possibilità. Bisogna buttarsi. Bisogna decollare. È una sensazione da brivido e il fondo è talmente lontano che difficilmente ci si sfracella. Al contrario, forse anche lei riuscirà a fare come me. Forse anche lei non cadrà. Per me è stato come cadere all’insù

I due investigatori si diressero verso il vialetto, oltre una siepe verde giada piena di foglie grasse e succose. La macchina era parcheggiata all’ombra di un’imponente palma da datteri. Mentre Tony apriva la portiera, Tucker gli urlò dalla veranda: «Si butti! Si butti e cominci a volare!»

«Davvero un bel tipo,» commentò Frank mentre si allontanavano dalla villetta.

«Già,» ammise Tony, domandandosi che sensazione si provasse a volare.

Mentre si dirigevano all’indirizzo fornito da Tucker, Frank riprese a sproloquiare di Janet Yamada. Ancora imbevuto dei consigli di Eugene Tucker, Tony gli prestò poca attenzione. Ma Frank non se ne accorse nemmeno. Quando parlava di Janet Yamada, non tentava nemmeno di intavolare una conversazione: si limitava al soliloquio.

Un quarto d’ora più tardi trovarono il condominio dove abitava Jimmy Ortiz. Il parcheggio sotterraneo era protetto da un cancello di ferro che si apriva con un comando elettronico e quindi non riuscirono a controllare se c’era una Jaguar nera.

Gli appartamenti erano disposti su due piani, con le scale e i passaggi all’aperto. Il complesso si affacciava su una piscina gigantesca e su un parco lussureggiante. C’era persino una vasca per l’idromassaggio accanto alla quale due ragazze in bikini e un giovanotto erano intenti a sorseggiare un martini fra una risata e l’altra, mentre dal vortice d’acqua sottostante esalavano i fumi del vapore.

Frank si fermò sul bordo della Jacuzzi e chiese dove abitava Jimmy Ortiz.

Una delle ragazze cinguettò: «È quel ragazzo carino con i baffi?»

«Con un viso da bambino,» precisò Tony.

«È lui,» esclamò la ragazza.

«Adesso ha i baffi?»

«Sempre che sia lo stesso. Quello che dico io guida una Jaguar stupenda.»

«È lui,» sbottò Frank.

«Credo che abiti lassù,» proseguì la ragazza, «nell’edificio quattro, al secondo piano, proprio in fondo.»

«È in casa?» domandò Frank.

Nessuno seppe rispondere.

Tony e Frank raggiunsero l’edifìcio quattro e salirono al secondo piano. Un balcone correva lungo i quattro appartamenti che si affacciavano sul cortile. Di fronte alle prime tre porte erano stati sistemati vasi di edera e altre piante rampicanti per regalare un po’ di verde anche al secondo piano, sprovvisto di giardino. Ma non c’era niente davanti all’ultimo appartamento.

La porta era socchiusa.

Tony incrociò lo sguardo di Frank. Entrambi avevano l’aria preoccupata.

Perché la porta era socchiusa?

Forse Bobby sapeva che stavano arrivando?

Si sistemarono ai lati dell’ingresso e rimasero in attesa, con le orecchie tese.

Si udivano solo le voci dei ragazzi vicino alla Jacuzzi.

Frank alzò un sopracciglio, con aria interrogativa.

Tony indicò il campanello.

Dopo un attimo di esitazione Frank lo premette.

All’interno si udì uno scampanellio.

Rimasero in attesa, gli occhi fissi sulla porta.

Improvvisamente l’aria sembrò farsi immobile e incredibilmente pesante. Umida. Spessa. Sciropposa. Tony faceva fatica a respirare: era come se stesse inalando dei fluidi.

Nessuna risposta.

Frank suonò di nuovo.

Ancora niente. Tony infilò la mano sotto la giacca e afferrò la rivoltella. Si sentiva debole. Aveva lo stomaco in subbuglio.

Frank estrasse la pistola, tese l’orecchio per individuare eventuali movimenti all’interno e spalancò la porta con un calcio.

L’ingresso era deserto.

Tony si sporse per controllare. La parte del soggiorno che riusciva a intravedere era immersa nella penombra. Le tende erano tirate e non si vedeva alcuna luce.

Tony gridò: «Polizia!»

La sua voce risuonò lungo il balcone.

Un uccellino si mise a cinguettare fra i rami di un ulivo.

«Vieni fuori con le mani alzate, Bobby!»

Dalla strada si udì il clacson di un’auto.

In un altro appartamento squillò il telefono, appena percettibile.

«Bobby!» urlò Frank. «Hai sentito quello che ha detto? Siamo della polizia. Ormai è finita. Vieni fuori subito. Coraggio! Muoviti

Nel giardino i ragazzi erano ammutoliti. Tony ebbe la sensazione che gli occupanti degli altri appartamenti stessero scivolando silenziosamente verso le finestre per sbirciare fuori.

Frank alzò il tono della voce: «Non vogliamo farti del male, Bobby!»

«Dagli retta!» gli suggerì Tony. «Non costringerci a usare la forza. Vieni fuori senza fare storie.» Bobby non rispose.

«Se fosse in casa,» mormorò Frank, «almeno ci manderebbe affanculo.»

«E adesso?» domandò Tony.

«Cristo, non mi va per un cazzo. Forse è il caso di chiamare una squadra di rinforzo.» «Probabilmente non è armato.» «Stai scherzando.»

«Non è mai stato arrestato per possesso di armi. E solo un verme schifoso a eccezione di quando è con una donna.»

«E un assassino.»

«Di donne. È pericoloso solo per le donne.»

Tony gridò nuovamente: «Bobby, è la tua ultima possibilità! Maledizione, esci lentamente con le mani alzate!»

Silenzio.

Il cuore di Tony batteva furiosamente.

«Va bene,» sbottò Frank. «Vediamo di farla finita.»

«Se la memoria non mi inganna, l’ultima volta che ci siamo trovati in un caso del genere, sei andato avanti tu.»

«Sì. Il caso Wilkie-Pomeroy.»

«Quindi immagino tocchi a me,» proseguì Tony.

«So che non vedi l’ora di farlo.»

«Oh, certo.»

«Con tutto il cuore.»

«Peccato che ora sia finito in gola.»

«Vai a prenderlo, tigre.»

«Coprimi.»

«L’ingresso è troppo stretto per poterti coprire. Quando sarai dentro, non riuscirò a vedere niente.»

«Cercherò di stare basso,» sussurrò Tony.

«Vedi di strisciare. Proverò a guardarti sopra le spalle.»

«Mi raccomando.»

Tony aveva lo stomaco contratto. Respirò a fondo un paio di volte e cercò di calmarsi. In realtà, il cuore prese a battergli ancora più forte. Alla fine, si chinò e si lanciò all’interno dell’appartamento con la pistola spianata. Attraversò rapidamente l’ingresso e si bloccò davanti al soggiorno, per individuare eventuali ombre: ormai era certo di beccarsi una pallottola in mezzo agli occhi.

Il locale era illuminato debolmente da sottili fasci di luce che filtravano attraverso le aperture delle pesanti tende. Le grandi ombre sembravano appartenere solo a divani, sedie e tavoli. Il soggiorno era ingombro di mobili costosi ma decisamente privi di gusto. Un raggio di sole andava a colpire un divano di velluto rosso sulla cui spalliera in finta quercia risaltava un enorme e grottesco giglio in ferro battuto.

«Bobby?»

Nessuna risposta.

Da qualche parte ticchettava un orologio.

«Non vogliamo farti del male, Bobby.»

Silenzio.

Tony trattenne il fiato.