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«Sto bene.»

«Comunque ti spiace se entro?»

«Oh, certo. Scusami.»

Viveva in un minuscolo appartamento, tipico da scapolo, anche se il soggiorno era incredibilmente grande e aerato. Aveva il soffitto alto e una fila di finestre sul versante nord.

«Un’ottima luce per un pittore,» commentò Hilary.

«È per questo che ho deciso di affittare questo buco.»

Assomigliava più a uno studio che a un soggiorno. Alle pareti erano appese una decina di quadri. Appoggiate contro il muro, erano state impilate molte altre tele, sessanta, forse settanta in tutto. Un paio di cavalietti reggevano le opere ancora incompiute. C’erano anche un grande tavolo da disegno, uno sgabello e un armadietto con gli attrezzi del mestiere. La libreria era stracolma di libri d’arte. Le uniche concessioni all’arredamento tipico di un soggiorno erano due divani, due tavolini e due lampade, raggnippati in un angolo. Nonostante fosse molto particolare, il locale si presentava caldo e accogliente.

«Avevo deciso di ubriacarmi,» disse Tony chiudendo la porta. «Ubriacarmi sul serio. Mi stavo giusto versando il primo drink quando hai suonato. Vuoi qualcosa?»

«Che cosa stavi bevendo?» chiese lei.

«Bourbon.»

«Va bene anche per me.»

Tony andò in cucina a preparare i drink e Hilary ne approfittò per dare un’occhiata da vicino ai suoi quadri. Alcuni erano iperrealistici: i particolari erano così dettagliati, così accurati e rappresentati in modo così preciso che i quadri sembravano andare oltre la semplice fotografia. Alcune tele erano di ispirazione surrealistica, ma lo stile era fresco e originale, ben lontano da quello di Dalì, Ernst, Mirò o Tanguy. Ricordavano più l’opera di René Magritte, ma neppure lui aveva utilizzato dettagli così precisi nelle sue opere ed era quella visione incredibilmente realistica di Tony che rendeva gli elementi surrealisti così unici.

Tony ritornò dalla cucina con due bicchieri di bourbon e Hilary esclamò: «Le tue opere sono così fresche ed eccitanti.»

«Davvero?»

«Michael ha ragione. I tuoi quadri sarebbero facilissimi da vendere.»

«È carino pensare una cosa del genere. È un bel sogno.»

«Se solo provassi a…»

«Come ti ho già detto, sei molto gentile, ma non sei un’esperta.»

Non era Tony che stava parlando. Aveva la voce dura e tagliente. Era stanco, teso e depresso.

Hilary cercò di punzecchiarlo, nel tentativo di rianimarlo un po’. «Pensi di essere in gamba,» esordì, «ma in realtà sei sordo. Quando si tratta del tuo lavoro, non vuoi sentire. Non vuoi vedere le effettive possibilità.»

«Sono solo un dilettante.»

«Stronzate.»

«Un dilettante piuttosto bravo

«A volte fai davvero venire il nervoso,» sbottò lei.

«Non voglio parlare di arte.»

Tony accese lo stereo: una sinfonia di Beethoven interpretata da Ormandy. Poi andò verso uno dei divani nell’angolo della stanza.

Lei lo seguì e gli si sedette accanto. «Di che cosa vuoi parlare?»

«Di cinema,» rispose.

«Davvero?»

«Magari di libri.»

«Sul serio?»

«O di teatro.»

«In realtà tu vuoi parlare di quello che è successo oggi.»

«No. Quella è l’ultima cosa.»

«Ma devi parlarne, anche se non ne hai voglia.»

«Voglio solo dimenticare tutto, cancellarlo dalla mia mente.»

«Allora vuoi giocare a fare lo struzzo,» proseguì lei. «Credi di poter nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere niente.»

«Esatto.»

«La settimana scorsa, quando volevo fuggire dal mondo, quando volevi convincermi a uscire con te, dicevi che non era giusto che una persona si chiudesse in se stessa dopo un’esperienza spiacevole. Sostenevi che era meglio condividere le proprie emozioni con qualcun altro.»

«Avevo torto.»

«Invece avevi ragione.»

Tony chiuse gli occhi senza dire una parola.

«Vuoi che me ne vada?» domandò.

«No.»

«Se vuoi me ne vado. E non mi offendo.»

«Ti prego, rimani.»

«Va bene. Di che cosa vuoi parlare.»

«Di Beethoven e del bourbon.»

«Come vuoi.»

Rimasero seduti sul divano, a fianco a fianco, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata indietro. Ascoltarono la musica e sorseggiarono il bourbon, mentre il sole si trasformava in una palla infuocata oltre le grandi finestre. Lentamente, la stanza si riempì di ombre.

Lunedì sera, Avril Tannerton scoprì che qualcuno si era introdotto a Forever View. Se ne accorse quando scese in cantina, dove aveva allestito un piccolo laboratorio di falegnameria; notò che uno dei vetri della finestra era stato accuratamente coperto con del nastro adesivo e poi rotto per poter forzare la serratura. Era una finestra decisamente piccola ma un uomo robusto avrebbe potuto infilarcisi se solo avesse voluto.

Avril era sicuro che non ci fosse nessuno in casa in quel momento. Inoltre sapeva che la finestra non era stata rotta venerdì notte perché se ne sarebbe accorto dal momento che aveva trascorso un’ora nel laboratorio cercando di portare a termine la sua ultima creazione: un armadietto per i suoi fucili e le pistole. Nessuno avrebbe avuto il coraggio di rompere la finestra in pieno giorno o quando Tannerton era a casa, quindi era da escludere anche la notte di domenica. L’uomo concluse che l’intruso doveva essersi intrufolato in casa sabato notte, mentre si trovava da Helen Virtillion a Santa Rosa. A Forever View non c’era nessuno sabato, a eccezione del corpo di Bruno Frye. Evidentemente il ladro sapeva che la casa era deserta e ne aveva approfittato.

Un ladro.

Ma che senso aveva?

Un ladro?

Non pensava che avessero rubato nulla dalle stanze aperte al pubblico del primo piano o dal suo appartamento. Era sicuro che avrebbe notato le tracce di un furto immediatamente dopo il suo ritorno, domenica mattina. Invece, le pistole erano ancora al loro posto, come pure la collezione di monete antiche: in pratica, i principali obiettivi di un eventuale ladro non erano stati toccati.

Nel laboratorio di falegnameria, a destra della finestra rotta, c’erano attrezzi che potevano valere circa duemila dollari. Alcuni erano appesi ordinatamente alla parete, mentre altri erano appoggiati in una rastrelliera. Ma non mancava nulla.

Non era stato rubato niente.

Nessun atto di vandalismo.

Perché mai un ladro avrebbe dovuto introdursi in casa sua solo per dare un’occhiata in giro?

Avril osservò i frammenti di vetro e il nastro adesivo sul pavimento, poi la finestra rotta; controllò la cantina cercando di valutare la situazione e improvvisamente si rese conto che era stato rubato qualcosa. Erano scomparsi tre sacchi di calcina da venticinque chili ciascuno. In primavera, lui e Gary Olmstead avevano abbattuto il vecchio portico in legno posto davanti all’impresa di pompe funebri, per poi ricostruirlo in mattoni in modo estremamente professionale. Avevano anche provveduto a rifare il marciapiede ormai consunto e pieno di crepe, utilizzando mattoni dello stesso tipo. Al termine dei lavori, si erano ritrovati con tre sacchi di calcina avanzata, ma avevano pensato di conservarla per il patio che Avril aveva intenzione di costruire in estate. E ora quei tre sacchi di calcina erano scomparsi.

Invece che far luce sulla vicenda, quella scoperta non fece che renderla ancora più inspiegabile. Sconcertato e perplesso, Avril continuò a fissare il punto esatto in cui erano stati sistemati i sacchi.

Perché mai un ladro avrebbe dovuto tralasciare i costosi fucili, le monete preziose e gli altri oggetti di valore per impossessarsi di tre sacchi di calcina?

Tannerton si grattò la testa. «Molto strano,» bofonchiò.