Dopo essere rimasto seduto accanto a Hilary per una ventina di minuti nell’oscurità crescente, dopo aver ascoltato Beethoven, dopo aver sorbito qualche bicchierino di bourbon, Tony si ritrovò a parlare di Frank Howard. Non aveva alcuna intenzione di aprirsi l’animo davanti a lei, ma poi aveva cominciato a parlare; senza alcun preavviso gli era uscita una mezza frase e le parole avevano iniziato a fluire liberamente dalla bocca. Parlò ininterrottamente per mezz’ora, fermandosi solo per qualche sorso di bourbon; raccontò della prima impressione che aveva avuto di Frank, l’attrito iniziale che si era venuto a creare tra di loro, gli episodi comici e complessi del lavoro, la serata nebulosa passata a The Bolt Hole, l’appuntamento al buio con Janet Yamada e il rapporto affettuoso e comprensivo che era nato negli ultimi tempi. Quando infine arrivò all’appartamento di Bobby Valdez, prese a parlare sommessamente, con voce esitante. Chiudendo gli occhi, vedeva ancora la cucina disseminata di immondizia e sangue con la stessa chiarezza con cui notava i dettagli del suo salotto a occhi aperti. Cercando di spiegare a Hilary come ci si sente a tenere fra le braccia un amico in punto di morte, iniziò anche a tremare. Provò un’ondata di freddo intenso: si sentiva la carne e le ossa di pietra e il cuore di ghiaccio. I denti presero a battere. Comodamente sdraiato sul divano, immerso nelle ombre color porpora, versò le prime lacrime che, sulla pelle gelata, sembrarono ustionanti. Erano lacrime alla memoria di Frank Howard.
Hilary gli prese la mano. Poi lo strinse come lui aveva stretto Frank. Prese un tovagliolino per asciugargli il viso. Lo baciò sulle guance e sugli occhi.
All’inizio si limitò a offrire un po’ di consolazione ed era esattamente quello che anche lui stava cercando; poi, senza grandi sforzi da parte di nessuno dei due, quel gesto assunse gradualmente un altro significato. Tony l’abbracciò e, a quel punto, non fu più evidente chi stava abbracciando chi. Con le mani lui iniziò ad accarezzarle la schiena su e giù, e rimase sorpreso dalle splendide forme che stava toccando: la fermezza, la forza e la flessibilità di quel corpo sotto la camicetta lo eccitarono. Anche le mani di Hilary presero a vagabondare su di lui per accarezzare, stringere e assaporare i suoi muscoli possenti. Lo baciò all’angolo della bocca e Tony, preso dalla bramosia, ricambiò con passione. Le lingue si scontrarono e i baci si incendiarono, facendosi sempre più arditi: quando si staccarono il respiro era diventato affannoso.
Si resero subito conto di quello che stava succedendo e, al ricordo dell’amico che avevano iniziato a compiangere, l’imbarazzo ebbe il sopravvento. Se in quel momento avessero prestato ascolto alle proprie, disperate esigenze, sarebbe stato come ridere a un funerale. Per un istante, pensarono di essere stati sul punto di commettere un atto imponderato e profondamente blasfemo.
Ma il desiderio era tanto travolgente che riuscirono a superare tutti i dubbi sull’opportunità di fare l’amore proprio quella sera, fra tutte le sere. Ripresero a baciarsi timidamente poi, colti dalla sete, si lasciarono trasportare dal mare delle sensazioni. Le mani di Hilary si muovevano esigenti su di lui che ricambiava ogni attenzione. Tony capì che sarebbe stato giusto per tutt’e due assicurarsi un tocco di piacere. Fare l’amore in quel momento non sarebbe stato irrispettoso nei confronti dell’amico morto; sarebbe semplicemente stata una reazione nei confronti dell’ingiustizia della morte in sé e per sé. La loro sete insaziabile era il risultato di una serie di motivazioni fra le quali il disperato bisogno di dimostrare a se stessi di essere ancora vivi, pienamente, inequivocabilmente e felicemente vivi.
Per tacito accordo, si alzarono dal divano e si diressero in camera da letto.
Uscendo, Tony accese una lampada del salotto la cui luce illuminò il letto, filtrando attraverso la porta. Una luce soffusa. Calda e dorata. Sembrava che la luce amasse Hilary, perché su di lei aveva un riflesso del tutto particolare: le accarezzava il corpo, accentuava con amore la sfumatura bronzea della pelle, aggiungeva lucentezza ai capelli neri e le risplendeva negli occhi.
Si fermarono di fianco al letto, si abbracciarono, si baciarono e poi iniziarono a spogliarsi. Tony le sbottonò la camicetta, poi gliela sfilò. Le sganciò il reggiseno che cadde per terra mollemente. Aveva un seno meraviglioso: tondo, pieno e alto. I capezzoli erano grandi e ben eretti; Tony si chinò in avanti e glieli baciò. Lei gli afferrò la testa e lo costrinse ad alzarsi a baciarla sulla bocca. Sospirava. Le mani di Tony presero a tremare per l’eccitazione mentre le slacciava la cintura e le apriva i jeans. I pantaloni scivolarono a terra, accarezzandole le gambe.
Tony cadde in ginocchio davanti a lei con l’intenzione di sfilarle gli slip e fu allora che si accorse della lunga cicatrice sul fianco sinistro. Partiva dal ventre piatto per arrivare fin sulla schiena. Quello non era il risultato di un intervento: neppure un chirurgo alle prime armi l’avrebbe ridotta così. Tony aveva già visto ferite da armi da fuoco o da taglio e, nonostante la luce soffusa, si accorse subito che quella cicatrice era l’effetto di un proiettile o di una lama. Era stata ferita gravemente. L’idea del dolore che aveva dovuto sopportare fece nascere in lui un senso di protezione nei suoi confronti. Aveva già in mente un centinaio di domande su quella cicatrice, ma non era sicuramente il momento adatto per rivolgergliele. Le baciò la striscia di pelle raggrinzita con delicatezza e sentì Hilary irrigidirsi sotto il suo tocco. Evidentemente quel segno la metteva in imbarazzo. Avrebbe voluto rassicurarla che quel dettaglio non toglieva niente alla sua bellezza e al suo fascino e che, al contrario, quel piccolo difetto non faceva che mettere in risalto l’incredibile perfezione del resto del corpo.
Ma per tranquillizzarla doveva passare ai fatti, tralasciando le parole. Le sfilò gli slip. Poi, lentamente, le fece scorrere le mani lungo le gambe, lungo le cosce. Le baciò il cespuglio di peli neri lucenti che si arruffarono contro la sua faccia. Rialzandosi, le afferrò le natiche e ne massaggiò la pelle tesa e liscia, mentre lei premeva contro di lui, sfiorandogli nuovamente le labbra. Il bacio durò qualche secondo e alla fine Hilary sussurrò: «Prendimi.»
Mentre lei si apprestava a infilarsi nel letto, Tony si spogliò a sua volta. Poi si distese al suo fianco e la prese fra le braccia.
Si esplorarono a vicenda, sempre più affascinati dalla pelle, dalle forme, dalle curve, dall’elasticità di entrambi, mentre l’erezione di Tony pulsava di desiderio.
Poi, ancora prima di penetrarla, Tony provò una strana sensazione, quasi si stesse fondendo con lei, come se stessero per diventare tutt’uno, non tanto fisicamente e sessualmente, quanto spiritualmente. Era come se fossero sul punto di mescolarsi miracolosamente in un’incredibile osmosi psichica. Sopraffatto dal calore di Hilary, eccitato dalle promesse di quello splendido corpo, ma più di ogni altra cosa colpito dai sussurri e dai movimenti che la rendevano unica nel suo genere, a Tony parve di avere assaggiato una nuova droga dal gusto esotico. Le percezioni superavano di gran lunga la portata dei sensi e Tony cominciò a vedere attraverso gli occhi di Hilary, a toccare con le mani di Hilary, a baciare con la bocca di Hilary. Due menti accoppiate, due cuori sincronizzati.
I baci infuocati alimentarono la sua voglia di assaggiare tutto di lei, ogni singola porzione del suo corpo. E così fece, finché giunse all’incrocio delle cosce. A quel punto lei spalancò le gambe e Tony cominciò a leccarle la fonte della sua umidità, a schiuderle le pieghe segrete della carne finché la lingua trovò la dolce protuberanza. La sfiorò facendola sussultare di piacere.
Hilary iniziò a gemere e a dimenarsi in preda all’impeto della passione.
«Tony!»
La fece godere con la lingua, i denti e le labbra.
Lei inarcò la schiena e si aggrappò alle lenzuola, cullandosi nell’estasi.