«E a cena?»
«Cornflakes.»
«Aspetta un attimo… »
«Che cosa c’è?»
«Immagino che tu parlassi seriamente riguardo alla colazione, ma poi mi hai dato due risposte stupide di fila.»
«Ma io adoro i cornflakes.»
«Adesso mi devi due risposte serie.»
«Spara pure.»
«Dove sei nata?»
«A Chicago.»
«E sei cresciuta lì?»
«Sì.»
«I genitori?»
«Non so chi siano i miei genitori. Sono nata da un uovo. Un uovo di anatra. Un vero miracolo. Probabilmente l’hai letto sui giornali. A Chicago c’è persino una chiesa dedicata a quell’avvenimento. Nostra Signora dell’Uovo d’Anatra.»
«Davvero divertente.»
«Grazie.»
«Genitori?» le domandò di nuovo.
«Non è giusto. Non puoi rivolgermi la stessa domanda due volte.»
«Chi l’ha detto?»
«Lo dico io.»
«È così orribile?»
«Che cosa?»
«Quello che ti hanno fatto i tuoi genitori.»
Hilary cercò di sviare da quella domanda. «Perché credi che mi abbiano fatto qualcosa di orribile?»
«Ti ho già chiesto di loro e della tua infanzia. Hai sempre evitato di rispondere. Sei sempre riuscita a cambiare argomento. Pensavi non me ne fossi accorto, invece l’ho notato.»
La stava fissando con uno sguardo incredibilmente penetrante. Riusciva quasi a metterle paura.
Hilary chiuse gli occhi in modo che non potesse leggere dentro di lei.
«Raccontami,» insistè lui.
«Erano alcolizzati.»
«Tutt’e due?»
«Sì.»
«Cattivi?» .
«Oh, sì.»
«Violenti?»
«Sì.»
«E?»
«Adesso non ho voglia di parlarne.»
«Potrebbe farti bene.»
«No. Ti prego, Tony. Sono felice. E non lo sarò più se… mi costringerai a parlare di… loro. È stata una serata splendida. Non roviniamola.»
«Prima o poi, dovrai parlarmene.»
«Va bene, ma non stasera.»
Tony sospirò: «D’accordo. Vediamo… Qual è il personaggio della televisione che preferisci?»
«Kermit, la Rana.»
«E il personaggio umano della televisione che preferisci?»
«Kermit, la Rana.»
«Veramente ho detto umano.»
«Secondo me, è uno dei personaggi più umani della televisione.»
«Bella risposta. E che cosa mi dici della cicatrice?»
«Kermit ha una cicatrice?»
«Volevo dire la tua.»
«Ti dà fastidio?» chiese, cercando di eludere quella domanda.
«No. Anzi, ti rende ancora più bella.»
«Davvero?»
«Certo.»
«Ti spiace se controllo con la mia macchina della verità?»
«Hai una macchina della verità?»
«Oh, sicuro,» mormorò. Allungò la mano e afferrò il suo pene flaccido. «La mia macchina della verità funziona in modo molto semplice. Non è possibile sbagliare. Bisogna solo infilare la spina,» cinguettò stringendo la mano, «nella presa B.»
«Presa B?»
Scivolò sul letto e lo prese in bocca. Nel giro di pochi secondi, il pene si gonfiò, si irrigidì e prese a pulsare. Dopo un paio di minuti, Tony non fu più in grado di controllarsi.
Lei alzò lo sguardo e fece una smorfia. «Non stavi mentendo.»
«Devo ripetermi. Non sei decisamente una santerellina.»
«Vuoi di nuovo il mio corpo?»
«Voglio di nuovo il tuo corpo.»
«E la mia testa?»
«Non è compresa nell’offerta?»
Questa volta, Hilary si mise a cavalcioni sopra di lui e iniziò a muoversi avanti e indietro, a destra e sinistra, su e giù. Gli sorrise mentre lui le massaggiava i seni, poi non si accorse più di niente. Non avvertì i movimenti dei loro corpi o le spinte di Tony: tutto sfumò in un fluire caldo e incessante, che sembrava non avere né inizio né fine.
A mezzanotte, andarono in cucina e prepararono qualcosa da mangiare: un po’ di formaggio, del pollo avanzato, della frutta e un po’ di vino bianco ghiacciato. Portarono tutto in camera da letto e spiluccarono qualcosa, perdendo ben presto interesse al cibo.
Sembravano una coppia di adolescenti, ossessionati dal proprio corpo e dotati di un vigore illimitato. Mentre si muovevano all’unisono, Hilary si rese conto che non si trattava semplicemente di una serie di atti sessuali: era un importante rituale, una cerimonia dal significato profondo che l’avrebbe ripulita da tutte le paure del passato. Si stava donando a un’altra persona in un modo che solo pochi giorni prima avrebbe considerato impensabile. Stava allontanando il proprio orgoglio, si stava inginocchiando davanti a lui, rischiando l’umiliazione e il rifiuto, nella fragile speranza che lui non abusasse della sua debolezza. Ma non l’aveva delusa. Molte cose sarebbero sembrate degradanti con l’uomo sbagliato, ma con Tony ogni gesto era esaltante, piacevole e gioioso. Non riusciva ancora a confessargli che l’amava, almeno non con le parole, ma glielo stava rivelando in altri modi: supplicandolo di fare quello che voleva con il suo corpo, offrendosi senza difese, aprendosi completamente fino a succhiargli tutto il vigore, inginocchiata davanti a lui.
L’odio nei confronti di Earl ed Emma era più forte che mai, perché era per colpa loro che non riusciva a esprimere i propri sentimenti. Si chiese che cos’avrebbe mai dovuto fare per spezzare le catene che la tenevano prigioniera.
Rimasero distesi sul letto per un po’, stringendosi l’uno all’altra, senza bisogno di dire nulla.
Poi, alle quattro e mezzo, Hilary mormorò: «È meglio che vada a casa.»
«Rimani.»
«Nel senso che saresti in grado di rifarlo?»
«Mio Dio, no! Sono esausto. Voglio solo averti vicina. Dormi qui.»
«Se mi fermo, non riusciremo a dormire.»
«Vuoi dire che tu potresti rifarlo?»
«Sfortunatamente, amico mio, non ce la farei. Ma domani devo lavorare e immagino anche tu. Siamo troppo eccitati e troppo presi l’uno dall’altra per riposare, se restiamo nello stesso letto. Non faremmo altro che continuare a parlare e accarezzarci, senza riuscire a prendere sonno.»
«Be’, comunque dovremo imparare a dormire insieme. Dopotutto, passeremo tanto tempo nello stesso letto, non credi?»
«Moltissimo,» ammise lei. «Ma la prima notte è la peggiore. Quando non sarà più una novità ce la faremo. E io inizierò a presentarmi a letto con i bigodini e la crema sulla faccia.»
«Io invece inizierò a fumare i sigari e a guardare la televisione.»
«Un vero peccato,» mormorò lei.
«Comunque, ci vorrà un po’ di tempo per farci l’abitudine.»
«Un bel po’.»
«Magari cinquant’anni.»
«O sessanta.»
Scherzarono per un altro quarto d’ora, poi Hilary si alzò e si vestì. Tony si infilò un paio di jeans.
Mentre si avviavano verso la porta, Hilary si fermò in soggiorno per ammirare uno dei quadri. «Voglio portare sei delle tue opere migliori da Wyant Stevens a Beverly Hills per vedere se ha intenzione di esporli.»
«Non lo farà.»
«Voglio provarci.»
«È una delle migliori gallerie.»
«Perché partire dal basso?»
La fissò, ma parve non vederla neppure. Alla fine mormorò: «Forse dovrei buttarmi.»
«Buttarti?»
Gli riferì il caloroso consiglio ricevuto da Eugene Tucker, l’ex galeotto di colore che disegnava abiti da donna.
«Tucker ha ragione,» replicò Hilary. «E non devi neppure buttarti. Basta un saltello. Non devi lasciare il lavoro alla polizia, si tratta solo di tastare il terreno.»
Tony si strinse nelle spalle. «Wyant Stevens non mi prenderà neppure in considerazione ma non mi costa nulla fare un tentativo.»