Hilary aveva il volto rigato di lacrime. «Sei così bravo,» mormorò. «Sei un artista meravigliosamente sensibile.»
«E tu hai bisogno di me proprio come io ne ho di te,» continuò Tony. «Senza di me, continueresti a rinchiuderti nel tuo guscio, sempre di più. E saresti sempre più sola e amareggiata. Hai sempre osato rischiare con le cose, il denaro e la tua carriera. Ma non te la sei mai sentita di rischiare con le persone. Vedi? Siamo diametralmente opposti. Ma ci completiamo. Abbiamo parecchie cose da insegnare l’uno all’altra. Possiamo aiutarci a crescere. E come se ognuno di noi fosse solo una persona a metà: e ora abbiamo trovato la parte mancante. Io sono tuo. Tu sei mia. E una vita che brancoliamo nel buio, cercandoci disperatamente.»
Hilary lasciò cadere la camicetta gialla che stava per riporre nella valigia e gli gettò le braccia al collo.
Tony l’abbracciò, baciandole le labbra salate di lacrime.
Per un paio di minuti rimasero stretti l’uno all’altra. Nessuno dei due riusciva a parlare.
Alla fine Tony mormorò: «Guardami negli occhi.»
Lei alzò la testa.
«Hai gli occhi così scuri,» sussurrò lei.
«Dimmelo.»
«Dirti che cosa?»
«Quello che voglio sentire.»
Lo baciò agli angoli della bocca.
«Dimmelo,» ripetè.
«Io… ti amo.»
«Di nuovo.»
«Ti amo, Tony. Davvero.»
«Era così difficile?»
«Sì. Per me lo era.»
«Se continuerai a ripeterlo, sarà sempre più facile.»
«Cercherò di fare molta pratica,» mormorò Hilary.
Stava ridendo e piangendo allo stesso tempo.
Tony avvertì una strana sensazione al petto, come se fosse sul punto di esplodere per la gioia. Nonostante la notte insonne, si sentiva completamente sveglio, pieno di energia e consapevole di avere fra le braccia una donna davvero speciale: il suo calore, il corpo sinuoso, la pelle morbida, lo spirito vivace, il profumo appena accennato e l’odore della sua pelle e dei suoi capelli lo rendevano pieno di vita.
«Ora che ci siamo trovati, tutto andrà bene,» esclamò Tony.
«No, almeno fino a quando non risolveremo il caso di Bruno Frye. O chiunque sia. Qualunque cosa sia. Non sarò tranquilla fino a quando non sapremo che è morto e sepolto, una volta per tutte.»
«Se resteremo uniti,» proseguì Tony, «ne usciremo sani e salvi. Non riuscirà a mettere le mani su di te fino a quando ci sarò io nei dintorni. Te lo prometto.»
«E io ti credo. Comunque… mi fa paura.»
«Non devi.»
«Non posso farci niente. E, a ogni modo, credo sia giusto avere paura di lui.»
Tony pensò allo scempio del piano inferiore, ai picchetti appuntiti e ai sacchettini pieni di aglio che avevano trovato nel furgone di Frye e decise che Hilary aveva ragione. Era giusto avere paura di Bruno Frye.
Un morto che camminava?
Hilary rabbrividì e Tony provò un senso di inquietudine.
PARTE SECONDA
I vivi e i morti viventi
Il bene sussurra.
Il male grida.
Il bene grida.
Il male sussurra.
5
Martedì mattina, per la seconda volta in otto giorni, la terra tremò a Los Angeles. A Cal Tech venne registrata una scossa di ventitré secondi, di 4,6 gradi della scala Richter.
Il sisma non arrecò seri danni e molti abitanti si divertirono a inventare barzellette per sdrammatizzare l’evento. Ne circolava una sugli arabi: avevano provocato il terremoto per impossessarsi di parte della California e ottenere così un risarcimento per i debiti petroliferi. E quella sera, alla televisione, Johnny Carson avrebbe raccontato che era stata Dolly Parton a provocare il terremoto saltando giù dal letto. Quelli che erano arrivati in città da poco, tuttavia, non ci trovarono niente da ridere; erano convinti che non sarebbero mai riusciti a prendere un terremoto così alla leggera. In realtà, nel giro di pochi mesi, anche loro avrebbero cominciato a scherzarci sopra.
Fino al terremoto con la «T» maiuscola.
Era l’inconscia paura del grande sisma che portava i californiani a ridicolizzare le scosse minori. Se si fossero soffermati a riflettere sulla possibilità di un vero cataclisma, con la terra che si spalancava sotto i piedi, sarebbero rimasti paralizzati dalla paura. La vita doveva andare avanti nonostante il rischio. Dopotutto, la terra poteva starsene tranquilla per un centinaio d’anni, magari per sempre. Il freddo gelido delle zone orientali provocava più morti dei terremoti californiani. Vivere in Florida, battuta dagli uragani, o nelle pianure del Midwest, spesso investite dai tornado, era pericoloso quanto decidere di stabilirsi sulla faglia di Sant’Andrea. Considerando che ogni nazione del pianeta cercava di accaparrarsi le migliori armi nucleari, la furia della terra appariva quasi sminuita se paragonata alla rabbia degli uomini. Per scongiurare la minaccia di un terremoto, i californiani preferivano scherzare, trovando qualcosa di divertente nell’eventuale disastro, come se il suolo instabile non avesse alcun effetto su di loro.
Ma quel martedì, come sempre quando la terra tremava, molte più persone superarono i limiti di velocità per correre in ufficio, oppure dalla propria famiglia, dagli amici o dagli amanti; nessuno di loro si rese comunque conto di vivere in modo più frenetico rispetto alla giornata di lunedì. In un giorno simile, molti più mariti avrebbero chiesto il divorzio. E molte più mogli avrebbero lasciato i propri mariti. Molti giovani avrebbero deciso di sposarsi. Un numero incredibile di giocatori avrebbe organizzato un fine settimana a Las Vegas e le prostitute avrebbero concluso affari d’oro. E, molto probabilmente, si sarebbe registrato un forte aumento nell’attività sessuale fra i coniugi, gli amanti e i ragazzini ingenui alle prime, goffe esperienze. Non esistevano prove inconfutabili a suffragio del legame esistente fra l’aspetto erotico e l’attività sismica. Ma nel corso degli anni i sociologi e gli psicologi del comportamento avevano osservato i gorilla, gli scimpanzè e gli orangutan negli zoo e registrato un aumento anomalo di accoppiamenti frenetici nelle ore immediatamente successive ai terremoti di forte e media intensità. Era logico concludere che, almeno a livello di organi riproduttivi, l’uomo non fosse poi molto lontano dai cugini ospitati nello zoo.
La maggior parte dei californiani affermavano con aria di sufficienza di essersi ormai abituati a vivere in una zona sismica, ma in realtà, a loro insaputa, la tensione psicologica continuava a forgiarli e modificarli. Il terrore della catastrofe incombente era un sussurro onnipresente che dava voce all’inconscio, un sussurro influente che agiva sul loro comportamento più di quanto immaginassero.
Naturalmente, era solo uno dei tanti sussurri…
Hilary non fu sorpresa dalla reazione della polizia nei confronti della sua storia e cercò di non innervosirsi.
Tony aveva chiamato la Centrale usando il telefono di un vicino e nel giro di cinque minuti, trentacinque minuti prima del terremoto, giunsero a casa di Hilary due agenti in uniforme. Con il tipico atteggiamento distaccato e leggermente annoiato dei poliziotti, riportarono diligentemente la sua versione dell’incidente, individuando il punto da cui era entrato l’aggressore (di nuovo una finestra dello studio), prepararono l’inventario degli oggetti danneggiati in soggiorno e in sala da pranzo e raccolsero tutte le informazioni necessarie per il rapporto. Hilary spiegò che l’assalitore indossava i guanti e quindi gli agenti non si preoccuparono di chiamare un tecnico del laboratorio per rilevare le impronte digitali.