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Tony si alzò. «Mi spiace di averle fatto perdere tempo, dottor Goldfield.»

«E mi spiace di aver insinuato che potesse aver svolto male il suo lavoro,» aggiunse Hilary.

«Coraggio,» esclamò Goldfield. «Non potete andarvene così. Di che cosa si tratta?»

Hilary incrociò lo sguardo di Tony. Entrambi sembravano riluttanti a discutere di morti viventi con un medico.

«Forza,» li incoraggiò Goldfield. «Non mi sembrate due mattacchioni. Siete venuti qui per una ragione ben precisa.»

Tony spiegò: «La scorsa notte qualcuno si è introdotto in casa di Hilary e ha cercato di ucciderla. Quell’uomo assomigliava in modo impressionante a Bruno Frye.»

«Parlate seriamente?» lo interruppe Goldfield.

«Oh, sì,» intervenne Hilary. «Molto seriamente.»

«E avete pensato…»

«Sì.»

«Mio Dio, dev’essere stato uno choc vederlo e pensare che fosse tornato!» proruppe Goldfield. «Tutto quel che posso dirvi è che la somiglianzà è solo fortuita. Perché Frye è morto. Non ho mai visto nessuno più morto di lui.»

Ringraziarono Goldfield per il tempo che gli avevano fatto perdere e la pazienza dimostrata e il medico li accompagnò verso l’uscita.

Tony si fermò davanti alla scrivania della segretaria per chiederle il nome dell’impresa di pompe funebri che aveva ritirato il corpo di Frye.

La donna controllò nello schedario e disse: «Era la Angels’ Hill.»

Hilary prese nota dell’indirizzo.

Goldfield esclamò: «Non penserete ancora…»

«No,» lo interruppe Tony, «ma, d’altra parte, non possiamo tralasciare alcuna pista. Almeno, questo è quanto mi hanno insegnato all’accademia di polizia.»

Goldfield scosse la testa e li osservò mentre si allontanavano.

Hilary rimase nella jeep mentre Tony si recava a parlare con l’impresario delle pompe funebri di Angels’ Hill che si era occupato del corpo di Bruno Frye. Sapevano che avrebbe ottenuto le informazioni in modo più semplice e rapido se si fosse presentato da solo e avesse usato il distintivo della polizia di Los Angeles.

La Angels’ Hill era una fiorente società con una flotta di carri funebri, dodici cappelle e un nutrito staff di medici. Anche in ufficio, l’illuminazione era discreta e rilassante, i colori sobri e le pareti tappezzate di soffici tessuti murali. L’arredamento era stato studiato per suggerire un timore reverenziale nei confronti del mistero della morte, anche se Tony ebbe l’impressione che comunicasse in modo lampante la redditività del giro di affari legato ai funerali.

La centralinista era una graziosa biondina con una gonna grigia e una camicetta color bruciato. La voce era dolce e suadente, ma non conteneva la benché minima traccia di sensualità o di provocazione. Era una voce istruita a dovere e ormai abituata a offrire conforto, consolazione, rispetto e genuino interessamento. Tony si chiese se la donna usasse lo stesso tono gelido e funereo quando incitava l’amante a letto e a quel pensiero si sentì rabbrividire.

La biondina trovò la cartella di Bruno Frye e il nome del tecnico che si era occupato del suo corpo. «Sam Hardesty. Credo che Sam sia in una delle stanze di preparazione. Abbiamo un paio di nuovi arrivati,» spiegò, come se lavorasse in un ospedale invece che in un’impresa di pompe funebri. «Vedrò se può dedicarle qualche minuto. Non so a che punto sia con il trattamento. Se riesce a liberarsi, potrà incontrarlo nella sala riservata al personale.»

Poi accompagnò Tony nella saletta, un locale piccolo ma piacevole. Lungo le pareti erano state appoggiate comode sedie. C’erano molti portaceneri e giornali di tutti i tipi. Una macchinetta per il caffè. Un distributore di bibite. Un pannello coperto di appunti e foglietti.

Tony stava sfogliando una copia ciclostilata del Giornale di Angels’ Hill quando Sam Hardesty uscì da una delle stanze di preparazione. Assomigliava vagamente a un meccanico: indossava una tuta bianca spiegazzata e nelle tasche aveva una miriade di piccoli utensili. Tony preferiva non sapere a che cosa servissero. Hardesty aveva quasi trent’anni, capelli lunghi e lineamenti aguzzi.

«Investigatore Clemenza?»

«Sì.»

Hardesty tese la mano e Tony gliela strinse seppure con riluttanza, immaginando quel che aveva appena toccato.

«Suzy mi ha detto che voleva parlarmi.» La voce di Hardesty era stata impostata dallo stesso insegnante che si era occupato della segretaria.

Tony proseguì: «So che è stato lei a preparare il corpo di Bruno Frye prima che venisse spedito a Santa Rosa, giovedì scorso.»

«Esatto. Collaboriamo con un’impresa di pompe funebri di St. Helena.»

«Le spiace dirmi esattamente che cos’ha fatto con il cadavere dopo averlo prelevato all’obitorio?»

Hardesty lo guardò con aria incuriosita. «Be’, l’abbiamo portato qui per sottoporlo al trattamento.»

«Non vi siete fermati lungo la strada?»

«No.»

«Da quando vi è stato consegnato fino a quando l’avete lasciato all’aeroporto, il cadavere è mai rimasto da solo?»

«Da solo? Forse per un paio di minuti. Abbiamo dovuto fare in fretta perché dovevamo caricare il cadavere sul volo di venerdì pomeriggio. Senta, le spiace dirmi di che cosa si tratta? Che cosa sta cercando?»

«Non ne sono ancora sicuro,» rispose Tony, «ma forse lo scoprirò con qualche domanda. L’avete imbalsamato?»

«Certo. Era necessario perché dovevano trasportarlo con un mezzo pubblico. La legge richiede che un cadavere sia svuotato e imbalsamato prima di trasferirlo su un mezzo pubblico.»

«Svuotato?» si stupì Tony.

«Temo non sia un argomento molto divertente,» si scusò Hardesty. «L’intestino, lo stomaco e altri organi rappresentano un grave problema per noi. Queste parti del corpo tendono a deteriorarsi molto più rapidamente degli altri tessuti. Per evitare odori sgradevoli e imbarazzanti accumuli di gas e per garantire una perfetta conservazione del corpo dopo la sepoltura, è necessario togliere quanti più organi possibile. Usiamo uno speciale strumento telescopico con un gancio retrattile all’estremità. Lo infiliamo nell’orifizio anale e…»

Tony si sentì impallidire e alzò rapidamente una mano per bloccare Hardesty.

«Grazie. Penso proprio di non avere bisogno d’altro. Ha reso l’idea.»

«L’avevo avvertita che non sarebbe stato divertente.»

«Già,» ammise Tony. Sentiva qualcosa in fondo alla gola. Provò a liberarsi con un colpo di tosse, ma era sempre lì. Probabilmente sarebbe passato solo uscendo da quel posto. «Bene,» esclamò rivolgendosi a Hardesty, «credo che mi abbia detto tutto quello che volevo sapere.»

Hardesty aggrottò le sopracciglia e riprese: «Non so che cosa stia cercando, ma c’era qualcosa di strano collegato a quel Frye.»

«E sarebbe?»

«È accaduto due giorni dopo aver spedito il defunto a Santa Rosa. Era domenica pomeriggio, l’altro ieri. Ha chiamato un tizio chiedendo di parlare con il tecnico che si era occupato di Bruno Frye. Io ero qui, perché i miei giorni liberi sono il mercoledì e il giovedì, così ho preso la chiamata. Era molto arrabbiato. Mi ha accusato di aver eseguito un pessimo lavoro sul defunto. E non era vero. Ho fatto del mio meglio, considerando le circostanze. Il corpo era rimasto sotto il sole per parecchie ore e poi era stato congelato. Per non parlare delle ferite e delle incisioni del coroner. Lasci che glielo dica, Mr Clemenza, il cadavere non era in buone condizioni quando è arrivato qui. Cioè, insomma, non si poteva certo pretendere che sembrasse vivo. Oltretutto, io non mi sono occupato del trucco perché ci ha pensato l’impresa di pompe funebri di St. Helena. Ho cercato di spiegare al tizio al telefono che non era colpa mia, ma quello non mi ha neanche lasciato parlare.»