«Le ha detto come si chiamava?» domandò Tony.
«No. Era sempre più arrabbiato. Continuava a urlare, a piangere, comportandosi come un pazzo. Era davvero disperato. Ho pensato che fosse un parente del defunto, distrutto dal dolore. E per questo che ho portato pazienza. Ma poi è letteralmente impazzito e mi ha urlato che lui era Bruno Frye.»
«Che cosa?»
«Sì. Ha detto che lui era Bruno Frye e che un giorno sarebbe venuto qui e mi avrebbe ammazzato per punirmi per quello che gli avevo fatto.»
«Che cos’altro ha detto?»
«Nient’altro. Appena ha iniziato con quelle scemenze ho capito che era un pazzo e ho riattaccato.»
Era come se a Tony avessero iniettato dell’acqua ghiacciata nelle vene: si sentiva completamente raggelato.
Sam Hardesty si rese conto che era rimasto sconcertato. «Qualcosa non va?»
«Mi stavo chiedendo se tre persone bastano per giustificare l’isteria collettiva.»
«Come?»
«Quel tipo aveva forse una voce un po’ strana?»
«Come fa a saperlo?»
«Era una voce molto profonda?»
«Era simile a un brontolio.»
«Aveva forse un tono gracchiante?»
«Proprio così. Lo conosce?»
«Temo di sì.»
«Chi è?»
«Se glielo dicessi, non mi crederebbe.»
«Proviamo,» lo incitò Hardesty.
Tony scosse la testa. «Mi dispiace. E una faccenda riservata.»
Hardesty appariva deluso; il sorriso che aveva stampato in volto scomparve.
«Bene, Mr Hardesty, lei mi è stato di grande aiuto. Grazie per avermi dedicato un po’ del suo tempo.»
Hardesty si strinse nelle spalle.
«Non è niente.»
Invece è qualcosa, pensò Tony. Qualcosa di importante. Anche se non so che cosa possa significare.
Uscirono dalla sala e si avviarono in direzioni opposte. Dopo pochi passi, Tony si voltò ed esclamò: «Mr Hardesty?»
Hardesty si fermò e lo fissò. «Sì?»
«Le spiace se le faccio una domanda personale?»
«Dica pure.»
«Come mai ha deciso di svolgere… questo tipo di lavoro?»
«Mio zio era un impresario di pompe funebri.»
«Capisco.»
«Era un tipo molto divertente. Soprattutto con i bambini. Adorava i bambini. Volevo essere come lui,» spiegò Hardesty. «Avevo sempre l’impressione che lo zio Alex fosse a conoscenza di qualche terribile e importantissimo segreto. Sapeva fare una valanga di giochi di prestigio, ma c’era qualcos’altro. Ho sempre pensato che il suo lavoro fosse magico, soprattutto perché mi aveva insegnato qualcosa che solo lui conosceva.»
«E ha scoperto il suo segreto?»
«Sì,» rispose Hardesty. «Credo di sì.»
«Può svelarlo anche a me?»
«Certo. Lo zio Alex aveva capito, e anch’io me ne sono reso conto, che bisogna trattare i morti con lo stesso rispetto e lo stesso impegno offerto ai vivi. Non è possibile cancellarli dalla propria mente, seppellirli e dimenticarli per sempre. Ciò che ci hanno insegnato da vivi rimane con noi. Tutto quello che hanno fatto per noi è stampato nella nostra mente e continua a influenzarci e a modificarci. Ed è proprio per questo che anche noi influenziamo le persone che continueranno a vivere quando noi saremo morti. E come dire che in realtà i morti non muoiono mai. Continuano ad andare avanti. Era questo il grande segreto dello zio Alex: anche i morti sono persone.»
Tony lo guardò per un attimo, senza sapere cosa dire. Poi la domanda gli uscì spontanea: «Lei è un uomo religioso, Mr Hardesty?»
«Non lo ero quando ho iniziato questo lavoro,» rispose. «Ma ora sì. Decisamente.»
«Sì, immagino di sì.»
Tony uscì, si mise al volante della jeep e chiuse la portiera. Hilary sbottò: «Allora? Ha imbalsamato Frye?»
«Peggio.»
«Peggio in che senso?»
«Non ti farà piacere saperlo.»
Le riferì della telefonata che Hardesty aveva ricevuto da un tizio che affermava di essere Bruno Frye.
«Ah,» esclamò. «Lasciamo perdere la psicosi collettiva. Questa è una prova!»
«Una prova di che cosa? Che Frye è vivo? Non può essere vivo. Tralasciando i particolari più disgustosi, è stato comunque imbalsamato. Nessuno può sopravvivere a un coma profondo con le vene e le arterie piene di liquido per l’imbalsamazione invece del sangue.»
«Ma almeno quella telefonata dimostra che sta succedendo qualcosa di strano.»
«Non proprio,» la corresse Tony.
«Non puoi parlarne al tuo capitano?»
«È inutile. Harry Lubbock direbbe che è semplicemente la telefonata di un pazzo.»
«Ma la voce!»
«Non sarebbe sufficiente per convincere Harry.»
Hilary sospirò. «E adesso?»
«Dobbiamo riflettere,» rispose Tony. «Dobbiamo esaminare la situazione da ogni possibile angolazione per vedere se abbiamo tralasciato qualcosa.»
«Non possiamo pensare mentre mangiamo?» domandò. «Sto morendo di fame.»
«Che cosa ti piacerebbe?»
«Dal momento che non siamo molto presentabili, suggerirei un posticino buio e tranquillo.»
«Come per esempio il Casey’s Bar?»
«Perfetto.»
Mentre si dirigevano verso Westwood, Tony ripensò a Hardesty e a come, in effetti, i morti non fossero del tutto morti.
Bruno Frye si distese nel retro del furgone Dodge e cercò di dormire.
Il furgone non era lo stesso con cui era arrivato a Los Angeles la settimana prima. Quel veicolo era stato sequestrato dalla polizia ed era poi stato rivendicato da un rappresentante di Joshua Rhinehart, esecutore testamentario di Frye e responsabile della corretta liquidazione dei suoi beni. Il secondo furgone non era grigio ma blu scuro con righe bianche. Frye l’aveva pagato in contanti il giorno prima da un rivenditore Dodge alla periferia di San Francisco. Era un’auto stupenda.
Aveva trascorso l’intera giornata precedente al volante ed era arrivato a Los Angeles di notte. Era andato direttamente a casa di Katherine a Westwood.
Questa volta si faceva chiamare Hilary Thomas, ma lui sapeva che era Katherine.
Katherine.
Era tornata nuovamente dall’inferno.
Quella sporca puttana.
Si era introdotto in casa sua, ma lei non c’era. Poco prima dell’alba, era finalmente arrivata e lui era quasi riuscito a metterle le mani addosso. Ancora non capiva perché fosse arrivata la polizia.
Nel corso delle ultime quattro ore, aveva continuato a passare davanti a quella casa, ma non aveva visto nulla di rilevante. Forse non era più in casa.
Era confuso. Frastornato. E impaurito. Non sapeva che cosa fare, non sapeva come localizzarla. I suoi pensieri si facevano sempre più strani, frammentari e difficili da controllare. Si sentiva stordito, confuso e incoerente sebbene non avesse bevuto nulla.
Era stanco. Molto stanco. Non dormiva da domenica notte. E anche allora non si era riposato molto. Se solo fosse riuscito a prendere sonno, sarebbe riuscito a vedere le cose in modo più chiaro.
E avrebbe potuto ricominciare a dare la caccia a quella puttana.
Tagliarle la testa.
Strapparle il cuore. Piantarci un picchetto di legno.
Ucciderla. Ucciderla, una volta per tutte.
Ma prima, doveva dormire.
Si allungò sul pavimento del furgoncino e osservò compiaciuto i raggi del sole che filtravano attraverso il parabrezza, oltre i sedili, fino alla parte posteriore. Aveva il terrore di dormire al buio.