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«Che cosa?» domandò Joshua.

«Lo dissotterri. Quel tipo che avete seppellito. Dissotterratelo.»

«Bruno Frye?»

«Non avete seppellito Mr Frye.» Mrs Willis era risoluta. Strinse le labbra e scosse la testa con aria decisa. «No. Se esiste un sosia di Mr Frye, non è lui che se ne sta andando in giro. Il sosia è a un paio di metri sotto terra, con una lapide di granito come cappello. Il vero Mr Frye è stato qui giovedì scorso. Sarei pronta a giurarlo in tribunale. Ci scommetterei la vita.»

«Ma se non era Frye l’uomo ucciso a Los Angeles, allora dove si trova adesso Mr Frye? Perché è scappato? Che cosa sta succedendo, per l’amor del cielo?»

«Non lo so,» rispose la donna. «Ma so che cosa ho visto. Lo dissotterri, Mr Rhinehart. Scommetto che si accorgerà di aver sepolto l’uomo sbagliato.»

Mercoledì pomeriggio alle 15.20 Joshua atterrò all’aeroporto costruito alle porte di Napa. Con una popolazione di quarantacinquemila abitanti, Napa non era precisamente una metropoli e l’atmosfera delle vigne e delle cantine contribuiva a farla sembrare ancora più piccola e raccolta. Ma per Joshua, abituato alla pace rurale della minuscola St. Helena, Napa appariva rumorosa e caotica come San Francisco: non vedeva l’ora di andarsene.

Ritrovò l’auto nel parcheggio pubblico dove l’aveva lasciata il mattino. Non si diresse a casa e nemmeno in ufficio ma decise di raggiungere direttamente la dimora di Bruno Frye a St. Helena.

Normalmente, Joshua si rendeva conto dell’incredibile bellezza paesaggistica della vallata. Ma non quel giorno. Guidò senza vedere assolutamente nulla fino a quando scorse la tenuta di Frye.

Parte della Shade Tree Vineyards, di proprietà della famiglia Frye, occupava la fertile pianura, anche se la tenuta si estendeva perlopiù sulle dolci colline a ovest della vallata. Le cantine, le sale di degustazione e gli altri edifici dell’azienda, costruiti in pietra, legno di sequoia e quercia, sembravano spuntare dalla terra ed erano raggnippati su un’altura ai confini occidentali della proprietà. Tutti gli edifici erano rivolti a oriente e si affacciavano sulle vigne. Alle loro spalle si ergeva una parete di circa cinquanta metri, formatasi in tempi remoti in seguito ai movimenti della crosta terrestre.

In cima a quella parete, in posizione isolata, si stagliava la casa che Leo Frye, il padre di Katherine, aveva fatto costruire nel 1918. Leo era un tipo solitario, di origine prussiana, che amava la sua privacy più di qualunque altra cosa. Desiderava costruire la sua casa in un luogo che potesse offrirgli una stupenda vista sulla vallata unita a una privacy assoluta, e quella proprietà rappresentava quanto di meglio potesse chiedere. Sebbene nel 1918 Leo fosse già vedovo, con un’unica figlioletta, e non prevedesse di risposarsi, fece erigere un’enorme dimora di dodici stanze in stile vittoriano sulla cima del dirupo. Era un edificio adornato da molti bovindi, da timpani e decorazioni di ogni tipo. Dominava le cantine e le vigne realizzate successivamente ed era raggiungibile in due soli modi: mediante la funivia, un sistema di cavi, pulegge, motore elettrico e una cabina a quattro posti che faceva la spola dalla stazione più bassa a quella superiore, oppure mediante la lunga scala a zigzag fissata direttamente alla parete. I trecentoventi gradini venivano tuttavia usati solo in caso di guasto della funivia, quando non era possibile aspettare che venisse riparata. Quella casa non era solo privata: era remota.

Mentre abbandonava la strada principale per infilarsi nel lungo viale privato che conduceva alla Shade Tree, Joshua cercò di ricordare quello che sapeva su Leo Frye. Non era molto. Katherine parlava raramente del padre e Leo non aveva mai avuto amici.

Joshua era arrivato in quella vallata nel 1945, qualche anno dopo la morte di Leo, e quindi non lo aveva mai incontrato. Aveva udito comunque molte voci su di lui e si era formato un’idea di quello strano individuo perennemente rintanato nella casa sulla collina. Leo Frye era freddo, severo, arcigno, padrone di se stesso, ostinato, brillante, leggermente egocentrico e decisamente autoritario. Assomigliava a un signore feudale d’altri tempi, un aristocratico del Medio Evo che preferiva vivere in una fortezza, lontano dalla plebaglia.

Katherine aveva continuato a vivere in quella casa dopo la morte del padre. Aveva cresciuto Bruno in quelle stanze dai soffitti alti, lontano mille miglia dal mondo degli altri bambini: in un mondo vittoriano di pannelli di legno, tappezzeria a fiori, merletti, posapiedi, orologi a pendolo e tovaglie di pizzo. Madre e figlio erano vissuti insieme fino a quando Bruno aveva raggiunto l’età di trentacinque anni e Katherine era morta per un attacco di cuore.

Proseguendo lungo il viale in macadam, Joshua alzò lo sguardo oltre le costruzioni di legno. Fissò l’enorme casa che si stagliava come un gigantesco tumulo in cima alla collina.

Era strano che un uomo vivesse così a lungo con la madre, come aveva fatto Bruno con Katherine. Naturalmente si erano sparse voci e congetture. Gli abitanti di St. Helena erano convinti che Bruno non nutrisse alcun interesse per le ragazze e che in realtà la sua passione segreta fossero i ragazzini. Si pensava che soddisfacesse i suoi istinti durante i viaggi occasionali a San Francisco, lontano dagli sguardi indiscreti dei vicini. La probabile omosessualità di Bruno non rappresentava certo uno scandalo nella vallata. Gli abitanti del posto non ne parlavano molto poiché la faccenda non li riguardava. Nonostante St. Helena fosse un piccolo centro, poteva vantare ben altri tipi di adulterazione: non per niente in quella zona veniva prodotto il vino.

Joshua si chiese se l’opinione pubblica si fosse sbagliata in merito a Bruno. Considerando gli straordinari avvenimenti della settimana precedente, c’era il sospetto che il segreto di quell’uomo fosse ben più cupo e infinitamente più terribile di una semplice omosessualità.

Subito dopo il funerale di Katherine, profondamente scosso dalla sua morte, Bruno se n’era andato dalla grande casa sulla collina. Aveva preso con sé i suoi vestiti, una vasta collezione di quadri, alcune sculture e i libri che aveva acquistato nel corso degli anni, ma aveva abbandonato tutto ciò che era appartenuto a Katherine. Gli abiti della donna, accuratamente riposti nell’armadio, non vennero toccati. I mobili antichi, i quadri, le porcellane, la cristalleria, le scatole smaltate e gli altri oggetti di valore avrebbero potuto essere venduti all’asta per una somma considerevole. Ma Bruno aveva insistito affinchè ogni cosa fosse lasciata esattamente dove l’aveva messa Katherine. Non doveva essere toccato nulla. Aveva chiuso le finestre, tirato le tende e sprangato le imposte; aveva inoltre sigillato le porte come se volesse custodire per sempre in quella dimora il ricordo della madre adottiva.

Quando Bruno aveva affittato un appartamento e aveva iniziato a progettare la costruzione di una nuova casa accanto alle vigne, Joshua aveva cercato di convincerlo che era una pazzia lasciare incustoditi tutti quegli oggetti di valore. Bruno gli aveva assicurato che la casa era talmente isolata da non costituire un facile bersaglio per i ladri, considerando anche il fatto che in quella vallata il furto era pressoché sconosciuto. Le uniche due vie d’accesso alla dimora, la funivia e la scala, erano situate all’interno della proprietà di Frye e, oltretutto, il meccanismo aereo funzionava solo con una chiave. Inoltre, solo lui e Joshua erano a conoscenza dei tesori nascosti in quella casa. Bruno era stato inflessibile: gli oggetti appartenuti a Katherine non dovevano essere toccati. Alla fine, seppure con riluttanza, Joshua aveva dovuto assecondare la volontà del suo cliente.

Per quanto ne sapeva Joshua, nessuno era entrato in quella casa negli ultimi cinque anni, dal giorno in cui Bruno se n’era andato. La funivia era ancora in funzione, anche se veniva utilizzata solo da Gilbert Ulman, il meccanico che si occupava dei macchinali e degli autocarri della Shade Tree Vineyards. Gil aveva anche il compito di controllare ed eventualmente riparare il sistema di trasporto aereo, che non richiedeva più di un paio d’ore al mese. Quello stesso giorno o al massimo venerdì, Joshua avrebbe dovuto raggiungere la cima della collina per aprire porte e finestre di quell’enorme casa, in modo da arieggiarla prima dell’arrivo dei periti di Los Angeles e San Francisco previsto per sabato mattina.