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Hilary era convinta che avrebbe girato intorno al divano e lei era pronta ad andare dall’altra parte, tenendosi a debita distanza e parandosi dietro al sofà fino a quando non avesse trovato un altro oggetto da scagliargli contro. Ma quando finalmente Frye si mosse, non tentò nemmeno di aggirare l’ostacolo. Si lanciò avanti con violenza, come un toro scatenato. Si piegò davanti al divano, lo afferrò con entrambe le mani, lo sollevò e con un solo rapido movimento lo scagliò a terra, come se fosse stato un cuscino. Hilary si spostò proprio mentre il divano cadeva fragorosamente dove solo un secondo prima si trovava lei. Appena il divano toccò terra, Frye lo scavalcò. Voleva raggiungerla e ce l’avrebbe fatta se non avesse inciampato e non fosse caduto su un ginocchio.

La collera di Hilary si trasformò nuovamente in paura, costringendola alla fuga. Avrebbe voluto dirigersi verso l’ingresso e la porta, ma sapeva che non avrebbe avuto il tempo per aprire le due serrature e uscire prima che lui la raggiungesse. Le era maledettamente vicino, a non più di due o tre passi. Hilary si lanciò a destra e si precipitò sulla scala a chiocciola, salendo due gradini alla volta.

Stava ansimando, ma nonostante tutto sentì l’uomo che si avvicinava. I suoi passi riecheggiavano nella casa. Stava imprecando contro di lei.

La pistola. Nel comodino. Se fosse riuscita a raggiungere la camera da letto distanziandolo, avrebbe avuto il tempo di chiudere la porta. Così l’avrebbe bloccato almeno per qualche istante, quanto bastava per prendere la pistola.

In cima alle scale, nel corridoio del piano di sopra, quando ormai era sicura di averlo distanziato, lui l’afferrò per la spalla destra e l’attirò violentemente contro di sé. Hilary urlò, ma non cercò di divincolarsi, come lui evidentemente si aspettava. Al contrario, quando l’uomo l’afferrò, si girò verso di lui. Gli si strinse contro prima che lui riuscisse a cingerla con un braccio, premette così forte da riuscire ad avvertire la sua erezione e con un ginocchio lo colpì violentemente in mezzo alle gambe. Frye reagì come se fosse stato colpito da un fulmine. Il viso infuocato dalla rabbia divenne improvvisamente di un pallore mortale. Lasciò la presa, barcollò e scivolò sul primo gradino, roteò le braccia, cominciò a ruzzolare, urlò, si buttò di lato, afferrò la ringhiera e finalmente riuscì a fermarsi.

A quanto pareva, non aveva molta esperienza di donne che opponevano una strenua resistenza. Hilary era già riuscita a ingannarlo due volte. Frye aveva forse pensato di avere a che fare con un dolce, morbido e inoffensivo coniglietto, una timida preda che si sarebbe sottomessa facilmente per lasciarsi usare e spezzare con un semplice movimento del polso. Ma lei si era rivoltata, gli aveva mostrato le unghie e i denti e appariva trionfante di fronte alla sua espressione sbalordita.

Hilary aveva sperato che Frye rotolasse giù sino in fondo e si rompesse l’osso del collo. A ogni modo la ginocchiata ai genitali lo avrebbe tenuto fuori gioco almeno per un po’, il tempo sufficiente perché lei potesse raggiungere il comodino. Rimase ovviamente sconvolta quando, dopo solo pochi secondi, prima ancora che potesse girarsi e correre via, vide l’uomo allontanarsi dalla ringhiera e, ancora sussultante per il dolore, arrancare verso di lei.

«Puttana,» mormorò a denti stretti, quasi senza fiato.

«No,» gridò Hilary. «No. Stai indietro!»

Si sentiva come uno dei personaggi di quei vecchi film dell’orrore, che un tempo produceva la Hammer Films. Stava combattendo contro un vampiro, uno zombie, ed era sempre più stupita e scoraggiata di fronte a tanta forza e alla resistenza soprannaturale del mostro.

«Puttana.»

Corse lungo il corridoio fino alla camera da letto. Sbattè la porta, cercò a tastoni la chiave, poi finalmente riuscì ad accendere la luce e a chiudere l’uscio.

Nella stanza riecheggiava uno strano e spaventoso rumore. Era un suono rauco pieno di terrore. Hilary si guardò intorno ansiosamente alla ricerca della fonte del rumore; solo dopo alcuni secondi si rese conto che stava ascoltando i propri singhiozzi, strozzati e incontrollabili.

Stava per farsi prendere dal panico, e invece doveva controllarsi se voleva continuare a vivere.

Frye stava già scuotendo la maniglia, poi si scagliò con tutto il peso contro la porta, che non cedette. Ma non avrebbe resistito ancora per molto: sicuramente Hilary non avrebbe fatto in tempo a chiamare la polizia e tantomeno ad aspettare l’arrivo degli aiuti.

Il cuore le batteva all’impazzata; Hilary tremava come se fosse stata nuda su una distesa di ghiaccio, ma era decisa a non lasciarsi bloccare dalla paura. Attraversò rapidamente la stanza e girò intorno al letto, puntando verso il comodino. Passò davanti a uno specchio che le sembrò riflettere l’immagine di una perfetta sconosciuta, una donna stravolta con il viso bianco come quello di un clown.

Frye aveva cominciato a prendere a calci la porta che tremava violentemente ma per il momento sembrava reggere.

La calibro 32 automatica era appoggiata sopra una pila di pigiami nel cassetto del comodino. Il caricatore era lì accanto. Hilary prese la pistola e con le mani tremanti spinse dentro il caricatore. Si girò verso la porta.

Frye continuava a infierire. La serratura non era molto resistente. Era una di quelle che abitualmente si utilizzano per tenere lontani i bambini e gli ospiti rumorosi. Era inutile contro un uomo della forza di Bruno Frye. Al terzo colpo, i cardini cedettero e la porta si spalancò.

Quando si materializzò dall’oscurità e oltrepassò la soglia, Frye sembrava sempre più un toro impazzito, sudato fradicio e con il respiro affannoso. Le spalle larghe erano curve e le mani erano strette in due pugni. Sembrava volesse abbassare la testa, caricare, colpire e distruggere tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Nei suoi occhi brillava un desiderio di sangue, chiaramente visibile come l’immagine riflessa nello specchio vicino a Hilary. Voleva mandare in frantumi ogni cosa per gettarsi sulla propria preda.

Hilary gli puntò contro la pistola, tenendola ben salda con entrambe le mani.

Frye continuò ad avvicinarsi.

«Adesso sparo! Guarda che lo faccio! Giuro su Dio che lo faccio!»

Frye si fermò, sbattè gli occhi e finalmente si accorse della pistola.

«Fuori!» intimò Hilary.

Lui non si mosse.

«Ti ho detto di andartene!»

L’uomo mosse invece un altro passo verso di lei. Non era più lo stupratore sicuro di sé e deciso a giocare al gatto col topo che aveva affrontato in soggiorno. Gli era successo qualcosa: dentro di lui erano scattati nuovi meccanismi che gli avevano fatto nascere nella mente nuove idee, nuove voglie, bisogni e bramosie più disgustosi e perversi di quanto avesse rivelato fino a quel momento. Non aveva più niente di razionale. Il suo comportamento era quello di un pazzo. Gli occhi brillavano. Non erano più di ghiaccio, bensì acquosi, rossi e stralunati. Gocce di sudore gli imperlavano il viso. Le labbra si muovevano senza sosta, sebbene non parlasse: le storceva, le morsicava, le stringeva, le sporgeva in un broncio da bambino, le apriva in un ghigno, poi in un sorriso enigmatico, le atteggiava a una smorfia minacciosa, a un’espressione indescrivibile. Non era più spinto dalla lussuria o dal desiderio di sopraffarla. Il meccanismo segreto che lo spingeva ora era più oscuro di quello che l’aveva animato fino a pochi minuti prima e Hilary aveva la terribile sensazione che quella forza misteriosa gli avrebbe garantito una sorta di immunità, gli avrebbe permesso di avanzare illeso attraverso una raffica di proiettili.

Frye estrasse l’affilato coltello dal fodero sul fianco e lo sollevò davanti a sé.

«Stai indietro,» ripetè Hilary, disperata.

«Puttana.»

«Parlo sul serio.»

L’uomo ricominciò ad avvicinarsi.

«Per l’amor del cielo,» implorò Hilary. «Sii ragionevole. Quel coltello non può fare niente contro una pistola.»