Hilary rimase alquanto delusa da Laurenski. Non era il classico sceriffo di provincia, decisamente antipatico, con la pancia straboccante, l’abbigliamento trasandato e il sigaro in bocca che si sarebbe aspettata di trovare, e nemmeno lo spregevole zoticone disposto a mentire per proteggere un signorotto locale quale Bruno Frye. Laurenski aveva circa trent’anni, era alto, biondo, dai lineamenti delicati, socievole e apparentemente amante del suo lavoro: un ottimo rappresentante della legge. Gli occhi gentili e la voce straordinariamente carezzevole le ricordavano in qualche modo Tony. Gli uffici dello sceriffo erano locali ben puliti e ordinati, dove sia gli agenti sia gli impiegati al servizio di Laurenski si davano da fare per svolgere il proprio lavoro in modo efficiente e rigoroso. Dopo solo un paio di minuti trascorsi con lo sceriffo, Hilary si rese conto che il mistero di Frye non sarebbe stato di facile soluzione, in quanto era ovviamente da escludere la cospirazione.
Nell’ufficio privato dello sceriffo Hilary e Tony si sedettero su una vecchia e robusta panca resa più comoda da un paio di cuscini di velluto. Laurenski si mise a cavalcioni su una sedia, le braccia incrociate sullo schienale.
Lo sceriffo lasciò di stucco Hilary e Tony andando diritto al nocciolo della questione e trattando se stesso in modo duro.
«Temo di essere stato poco professionale per quanto riguarda questo caso,» si scusò. «Ho mentito in merito a quelle telefonate.»
«E il motivo per cui siamo qui,» spiegò Tony.
«Si tratta di… una visita ufficiale?» chiese Laurenski, leggermente imbarazzato.
«No,» rispose Tony. «Non sono qui come poliziotto ma come semplice cittadino.»
«Negli ultimi due giorni abbiamo vissuto un’esperienza alquanto insolita e sconvolgente,» intervenne Hilary. «Sono accadute cose incredibili e speriamo che lei possa fornirci una spiegazione.»
Laurenski alzò le sopracciglia. «Non si riferisce solo all’aggressione da parte di Frye?»
«Ne parleremo più tardi,» aggiunse Tony. «Ma prima di tutto vorremmo sapere perché non ha risposto alle chiamate del dipartimento di polizia di Los Angeles.»
Laurenski annuì. Era arrossito. «Non so proprio che cosa dire. Sono stato uno stupido a garantire per Frye. Probabilmente speravo di risolvere tutto più in fretta.»
«E perché ha garantito per lui?» domandò Hilary.
«E solo che… vedete… ero davvero convinto che quella sera fosse a casa.»
«Gli ha parlato?» proseguì Hilary.
«No,» mormorò Laurenski. Si schiarì la voce. «Quella notte la telefonata fu presa dall’agente di servizio. Tim Larsson. È uno dei miei uomini migliori e lavora con me da sette anni. Un tipo molto determinato. Bene… quando la polizia di Los Angeles gli ha chiesto di Bruno Frye, Tim ha pensato di chiamarmi per vedere se volevo occuparmene io, considerato il fatto che Frye era uno dei nostri cittadini più illustri. Quella sera ero a casa. Era il compleanno di mia figlia. Era un’occasione davvero speciale e per una volta avevo deciso che il lavoro non doveva intromettersi nella mia vita privata. Passo così poco tempo con i miei bambini…»
«La capisco,» lo rassicurò Tony. «Ho l’impressione che lei svolga un ottimo lavoro qui. E so bene che per ottenere dei buoni risultati in questo mestiere, è necessaria una disponibilità che va ben oltre le classiche otto ore al giorno.»
«Diciamo piuttosto dodici ore al giorno per sei, sette giorni la settimana,» precisò lo sceriffo. «Comunque, quella sera chiesi a Tim di occuparsene al mio posto. Vedete, mi sembrava una richiesta piuttosto ridicola. Sì, insomma, Frye era uno stimato uomo d’affari, un miliardario, santo cielo. Perché mai avrebbe rinunciato a tutto per violentare una donna? Così pregai Tim di controllare e di farmi sapere. Come vi ho già detto, è un tipo molto in gamba. Inoltre, conosceva Frye meglio di me. Prima di arruolarsi nella polizia, Tim ha lavorato per cinque anni presso la Shade Tree Vineyards e, in quel periodo, vedeva Frye praticamente tutti i giorni.»
«Quindi è stato l’agente Larsson a controllare Frye mercoledì sera,» disse Tony.
«Sì. Mi ha richiamato durante la festa di compleanno di mia figlia. Mi ha riferito che Frye era a casa e non a Los Angeles. Così ho chiamato la Centrale di Los Angeles e mi sono reso ridicolo.»
Hilary aggrottò la fronte. «Non capisco. Vuole forse dire che questo Tim Larsson le ha mentito?»
Era una domanda alla quale Laurenski avrebbe preferito non rispondere. Si alzò e si mise a passeggiare nervosamente, fissando il pavimento e scuotendo la testa. Alla fine sbottò: «Mi fido di Tim Larsson. Mi sono sempre fidato. È una brava persona. Uno dei migliori. Ma non riesco proprio a capire.»
«Aveva qualche motivo per coprire Frye?» domandò Tony.
«Vuole sapere se erano compiici? No. Niente del genere. Non erano neppure amici. Tim aveva semplicemente lavorato per Frye. Ma quell’uomo non gli piaceva.»
«Ha affermato di aver visto Bruno Frye quella notte?»
«Sul momento, ho dato per scontato che l’avesse visto. Poi Tim mi ha rivelato che era convinto di riconoscere Frye al telefono e che quindi non si era preoccupato di andare a controllare di persona. Immagino sappiate che Frye aveva una voce molto particolare e piuttosto anomala.»
«Quindi Larsson può aver parlato con qualcuno che stava proteggendo Frye, qualcuno capace di imitare la sua voce,» proseguì Tony.
Laurenski alzò lo sguardo su di lui. «E esattamente quello che ha detto Tim. Si è scusato così. Ma c’è qualcosa che non quadra. Chi può averlo fatto? E perché mai qualcuno avrebbe dovuto proteggere un uomo che si rendeva colpevole di un’azione simile? E dov’è adesso? Oltretutto, non era facile imitare la voce di Frye.»
«Lei che cosa ne pensa?» chiese Hilary.
Laurenski scosse la testa. «Non so che cosa pensare. E tutta la settimana che ci rimugino sopra. Vorrei poter credere al mio agente, ma come faccio? Qui sta succedendo qualcosa, ma che cosa? Fino a quando non avrò chiarito questa faccenda, sarò costretto a lasciare Tim senza paga.»
Tony guardò prima Hilary e poi lo sceriffo. «Quando avrà sentito quello che abbiamo da dirle, sono sicuro che potrà credere alle parole dell’agente Larsson.»
«Comunque,» intervenne Hilary, «continuerà a non capirci assolutamente nulla. Noi ne sappiamo più di lei, ma non riusciamo a raccapezzarci. Non capiamo che cosa sta succedendo.»
Raccontò a Laurenski che Bruno Frye era stato da lei giovedì mattina, cinque giorni dopo la sua morte.
Nel suo ufficio di St. Helena, Joshua Rhinehart si sedette alla scrivania con un bicchiere di Jack Daniels Black Label ed esaminò attentamente i documenti che Ronald Preston gli aveva fornito a San Francisco. Trovò, fra l’altro, le fotocopie degli estratti conto e le copie di tutti gli assegni firmati da Frye. Dal momento che Frye aveva tenuto un conto segreto nella banca di una città nella quale non era solito recarsi per motivi di lavoro, Joshua era convinto che un attento esame di quei dati avrebbe gettato una nuova luce sul caso, contribuendo a individuare l’identità del sosia di Frye.
Nei primi tre anni e mezzo dall’apertura del conto, Bruno aveva staccato due assegni al mese, non uno di più né uno di meno. Gli assegni erano sempre intestati alle stesse persone: Rita Yancy e Latham Hawthorne. Quei nomi non significavano assolutamente niente per Joshua.
Per ragioni non specificate, Mrs Yancy aveva ricevuto cinquecento dollari al mese. L’unica cosa che Joshua poté dedurre dalle fotocopie degli assegni fu che probabilmente Rita Yancy viveva a Hollister, in California, dal momento che tutti gli assegni erano stati depositati in una banca di quella città.