Ma non ne era sicuro. L’aria sembrava piena di correnti infauste.
Qualcuno bussò alla porta. Era Karen Farr, la sua segretaria.
«Non pensavo fosse ancora qui,» esclamò Joshua. Diede un’occhiata all’orologio. «Avrebbe dovuto andarsene un’ora fa.»
«A pranzo mi sono fermata un po’ di più. Devo finire un paio di cose.»
«Il lavoro è una parte essenziale della vita, mia cara, ma non è tutto. Vada a casa. Potrà continuare domani.»
«Ne avrò solo per dieci minuti,» lo informò. «Proprio adesso sono arrivate due persone che desiderano vederla.»
«Non ho alcun appuntamento.»
«Vengono direttamente da Los Angeles. L’uomo si chiama Anthony Clemenza e la donna Hilary Thomas. E lei che…»
«So chi è,» la interruppe Joshua. «La prego, li faccia passare.»
Si alzò dalla scrivania e andò incontro ai due visitatori. Dopo le consuete presentazioni, Joshua li invitò a sedersi, offrì loro da bere e si accomodò su una sedia di fronte al divano.
Tony Clemenza fece subito un’ottima impressione a Joshua. Sembrava competente e sicuro di sé.
Hilary Thomas irradiava le stesse qualità di Clemenza ed era inoltre incredibilmente carina.
Per un attimo, sembrava che nessuno sapesse che cosa dire. Si guardarono l’un l’altro in silenzio sorseggiando il whisky.
Joshua fu il primo a rompere il silenzio. «Non ho mai creduto a fenomeni quali la chiaroveggenza ma, santo cielo, credo di aver avuto una premonizione. Non avete fatto tutta questa strada per raccontarmi ciò che è accaduto mercoledì e giovedì, vero? Dev’essere successo qualcos’altro.»
«Sono accadute molte cose,» rispose Tony. «Ma non c’è niente che abbia un minimo di logica.»
«È lo sceriffo Laurenski che ci manda da lei,» proseguì Hilary. «Speriamo possa rispondere ad alcuni interrogativi.»
«Io stesso sono alla ricerca di risposte,» mormorò Joshua.
Hilary piegò la testa e osservò Joshua con aria curiosa. «Anch’io credo di aver avuto una premonizione. È accaduto qualcosa anche qui, vero?»
Joshua bevve un sorso di whisky. «Se fossi superstizioso, probabilmente vi direi che… qui fuori, da qualche parte… c’è un morto che si aggira fra i vivi.»
Oltre le finestre, la luce del giorno si smorzò definitivamente e la notte s’impadronì della vallata. Un vento freddo cercava di farsi largo fra gli stipiti di legno fischiando e sibilando. Ma l’ufficio sembrava riscaldato dalla consapevolezza condivisa da Joshua, Tony e Hilary dell’incredibile mistero dell’apparente resurrezione di Bruno Frye.
Quella mattina Bruno Frye dormì fino alle undici nel retro del Dodge posteggiato accanto a un supermercato. Si svegliò in preda a un incubo pieno di sussurri feroci e minacciosi per quanto incomprensibili. Si mise a sedere nel furgone scarsamente illuminato, tenendosi stretto stretto; si sentiva disperatamente solo e abbandonato e si trovò a piangere e tremare come un bimbetto indifeso.
Sono morto, pensò. Morto. Quella puttana mi ha ucciso. Morto. Quella fottuta puttana mi ha conficcato un coltello nelle budella.
Mentre le lacrime cessavano gradualmente, rimase turbato da uno strano pensiero: ma se sono morto… come faccio a essere seduto qui? Come faccio a essere morto e vivo allo stesso tempo?
Si tastò la pancia con entrambe le mani. Non c’erano ferite d’arma da taglio né cicatrici.
Improvvisamente, tutto fu chiaro. La mente fu sgombra, la nebbia si dissipò e per un attimo tutto brillò di luci sfaccettate. Iniziò a chiedersi se Katherine era davvero tornata dall’inferno. Forse Hilary Thomas era solo Hilary Thomas e non Katherine Anne Frye? Era pazzo a cercare di ucciderla? E tutte le altre donne che aveva ucciso nel corso degli ultimi cinque anni: erano stati davvero corpi nei quali Katherine si era nascosta? O non erano forse persone normali, donne innocenti che non meritavano di morire?
Bruno si sedette sul pavimento, attonito, sopraffatto da questa nuova possibilità.
E i sussurri che invadevano il suo sonno ogni notte, quei terribili sussurri che lo angosciavano…
Improvvisamente si rese conto che se solo si fosse concentrato, se solo avesse scavato attentamente nei ricordi dell’infanzia, avrebbe scoperto che cos’erano quei sussurri e che cosa rappresentavano. Ripensò alle due pesanti porte in legno fissate nella terra. Ripensò a Katherine che apriva quelle porte e lo spingeva verso il buio. Ripensò alle porte chiuse a chiave alle sue spalle, ripensò ai gradini che conducevano da basso, verso il cuore della terra…
No!
Si strinse le mani sulle orecchie, come se potesse eliminare i ricordi spiacevoli insieme con i rumori molesti.
Era madido di sudore. E tremava, tremava senza sosta.
«No,» gemette. «No, no, no!»
Era una vita che cercava di scoprire chi sussurrava nei suoi incubi. Aveva sempre desiderato capire il messaggio contenuto in quei sussurri per essere in grado di bandirli dai suoi sogni. Ma ora che stava per scoprirlo, decise di rifiutare quell’agghiacciante verità che si sarebbe rivelata ancora più orribile, devastante e terrificante del mistero.
Il furgone fu invaso di nuovo dai sussurri, dalle voci sibilanti e dai gemiti che lo perseguitavano da sempre. Urlò per il terrore e si dondolò avanti e indietro sul pavimento.
Qualcosa gli stava strisciando addosso. Cercava di arrampicarsi sulle braccia, sul petto e sulla schiena. Cercava di arrivare fino alla faccia. Cercava di insinuarsi fra le labbra e i denti. Cercava di infilarsi su per il naso.
Gridando e contorcendosi, Bruno si sforzò di allontanare quella cosa strisciante, dandosi delle sberle e riempiendosi di unghiate.
Le sue allucinazioni si nutrivano dell’oscurità e c’era troppa luce nel furgone perché potessero conservare la loro consistenza grottesca. Vide che non c’era nulla che gli strisciava addosso e a poco a poco il terrore lo abbandonò, lasciandolo completamente svuotato.
Per parecchi minuti, rimase seduto con la schiena contro la parete del furgone, asciugandosi la faccia sudata con un fazzoletto e ascoltando il suo respiro affannoso.
Alla fine decise che era giunta l’ora di ricominciare a cercare quella puttana. Era là fuori, nascosta da qualche parte in quella grande città, e lo stava aspettando. Doveva trovarla e ucciderla prima che lei escogitasse un modo per eliminarlo.
Il breve attimo di lucidità, l’istante di saggezza, era scomparso con la stessa rapidità con la quale era nato. Aveva dimenticato le domande e i dubbi. Ancora una volta, aveva la certezza che Katherine fosse tornata dal regno dei morti e che dovesse essere fermata.
Più tardi, dopo aver mangiato un boccone, si diresse verso Westwood e parcheggiò nei pressi dell’abitazione di Hilary Thomas. Si nascose nel retro del furgone e prese a osservare la casa da un minuscolo oblò ricavato sul fianco del Dodge.
Sul vialetto d’ingresso era fermo un furgoncino bianco con una scritta in caratteri blu e dorati.
In casa, tre ragazze con il grembiule bianco si erano messe all’opera. Dovettero compiere parecchi viaggi per trasportare all’interno secchi, stracci, scope e aspirapolveri e per buttare i sacchi di plastica pieni di frammenti di mobili che Frye aveva distrutto durante la violenta incursione avvenuta poco prima dell’alba, il giorno precedente.