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«Ma… io non la conosco. Non l’ho mai vista.»

«Ne parleremo più tardi.»

«È la verità. Non so niente di lei.»

«Forse sai più di quanto immagini.»

«No. Davvero.»

«Coraggio,» disse, sforzandosi di sorridere e di parlare con voce amichevole. «Andiamo in camera dove possiamo chiacchierare meglio.»

La ragazza si mise a tremare ancora più forte. «Hai intenzione di violentarmi, non è vero?»

«No, no.»

«Invece sì.»

Frye riuscì a stento a controllare la collera. Non gli andava che quella ragazza discutesse con lui. Non gli andava che fosse così dannatamente riluttante ad alzarsi. Avrebbe voluto affondarle il coltello nella pancia e strapparle le informazioni, ma, naturalmente, non era possibile. Voleva sapere dove si nascondeva Hilary Thomas. Il modo migliore per carpirle qualcosa era quello di spezzarla come un filo di ferro: sarebbe bastato piegarlo e ripiegarlo più volte e alla fine avrebbe ceduto, con una minaccia accompagnata da una lusinga e un gesto violento da una parola di conforto. Non prese neppure in considerazione il fatto che forse la ragazza gli avrebbe rivelato spontaneamente tutto quello che voleva sapere. Era convinto che fosse stata assunta da Hilary Thomas, quindi da Katherine, e di conseguenza che facesse parte del complotto che mirava a ucciderlo. Quella donna non era semplicemente una domestica innocente. Era una serva di Katherine, una cospiratrice, forse una morta vivente. Bruno era convinto che volesse mantenere il segreto e che avrebbe parlato solo se costretta.

«Ti assicuro che non ho intenzione di violentarti,» mormorò in tono dolce. «Ma mentre ti rivolgo le domande, voglio che tu rimanga distesa sulla schiena, in modo da non poterti alzare e scappare. Mi sentirò meglio se sarai sdraiata. E visto che dovrai restare così per un po’, ho pensato che saresti stata più comoda su un soffice materasso piuttosto che per terra. Lo faccio per te, Sally.»

«Io sto bene qui,» ribattè lei nervosamente.

«Non essere stupida,» sbottò. «Oltretutto, se dovesse arrivare qualcuno a suonare il campanello… potrebbero sentirci e capire che c’è qualcosa che non va. In camera saremo più tranquilli. Coraggio adesso. Forza. In piedi.»

La ragazza si alzò.

Lui le puntò il coltello alla schiena.

Si diressero verso la camera.

Hilary non era una grande bevitrice, ma fu felice di avere un bicchiere di whisky fra le mani mentre, seduta sul divano nell’ufficio di Joshua Rhinehart, ascoltava le parole dell’avvocato. Joshua raccontò a lei e Tony del denaro scomparso a San Francisco, del sosia che aveva lasciato quella strana lettera nella cassetta di sicurezza e del suo dilemma relativo all’identità del defunto seppellito nella tomba di Bruno Frye.

«Ha intenzione di riesumare la salma?» chiese Tony.

«Non ancora,» rispose Joshua. «Prima devo chiarire un paio di cose. Se riesco a ottenere determinate risposte, forse non sarà necessario aprire la tomba.»

Riferì loro di Rita Yancy a Hollister, del dottor Nicholas Rudge a San Francisco e della conversazione avuta con Latham Hawthorne.

Nonostante la stanza riscaldata e il whisky, Hilary si sentì raggelare. «Questo Hawthorne mi sembra appena uscito da un manicomio.»

Joshua sospirò. «Se dovessimo mettere tutti i matti in manicomio, non vedremmo più nessuno in giro.»

Tony si sporse in avanti. «Crede davvero che Hawthorne non sapesse nulla del sosia?»

«Sì,» disse Joshua. «È abbastanza curioso, ma gli credo. Può darsi sia un po’ pazzo con il suo satanismo, forse non ha un’etica morale ineccepibile e potrebbe persino rivelarsi pericoloso, ma non credo abbia mentito. Per quanto possa sembrare strano, lo reputo un uomo sincero sotto molti aspetti e non penso che sappia altro. Forse il dottor Rudge o Rita Yancy ci saranno più utili. Ma ora basta. Tocca a voi raccontare. Che cos’è successo? Che cosa vi ha portato a St. Helena?»

Hilary e Tony gli riferirono a turno gli avvenimenti degli ultimi giorni.

Quando ebbero finito, Joshua fissò Hilary per un attimo, poi scosse la testa ed esclamò: «Certo che ne ha di coraggio, ragazza mia.»

«Si figuri,» ribattè lei. «Sono una vigliacca. Sono spaventata a morte. Sono giorni che muoio di paura.»

«Avere paura non significa essere vigliacchi,» spiegò Joshua. «Il coraggio è basato sulla paura. Sia il vigliacco sia l’eroe agiscono in preda al terrore e alla necessità. L’unica differenza fra loro è che il vigliacco soccombe alle proprie paure mentre l’individuo coraggioso riesce a trionfare. Se fosse una vigliacca, sarebbe scappata in Europa, alle Hawaii o in qualche altro posto per un bel mese di vacanza e avrebbe lasciato che il mistero di Frye venisse risolto con il tempo. Invece è venuta qui, nella città natale di Bruno, dove potrebbe correre ancora più pericoli che a Los Angeles. Non apprezzo molte cose nella vita, ma invidio la sua audacia.»

Hilary era arrossita. Lanciò un’occhiata a Tony e poi fissò il bicchiere di whisky. «Se fossi coraggiosa,» disse, «sarei rimasta in città e gli avrei teso una trappola usando me stessa come esca. Qui non sono in pericolo. Dopotutto, lui mi sta cercando a Los Angeles e non ha modo di scoprire dove sono finita.»

La camera.

Dal letto, Sally lo osservò con gli occhi pieni di paura.

L’uomo passeggiò per la stanza, curiosando nei cassetti. Poi ritornò da lei.

Il collo della ragazza era morbido e sottile. Il sangue era colato fino alla clavlcola sulla pelle levigata.

Vide che lui stava guardando il sangue e allungò una mano, sfiorandosi il collo e fissando le dita sporche.

«Non preoccuparti,» la rassicurò. «È solo un graffio.»

La stanza di Sally era posta sul retro della casa ed era dipinta interamente nei toni caldi della terra. Tre pareti erano beige mentre la quarta era rivestita di tappezzeria. Il tappeto era marrone scuro. Il copriletto e le tende erano in una fantasia astratta color caffelatte. Tutti colori naturali e rilassanti che calmavano lo spirito. I mobili in mogano lucido scintillavano sotto la luce morbida e ambrata proveniente dalle due lampade di rame appoggiate sui comodini.

Sally era distesa sul letto, con le gambe tese, le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi. Indossava ancora il grembiule bianco leggermente alzato a scoprirle le ginocchia. I lunghi capelli scuri erano sparsi sul cuscino come un ventaglio. Era piuttosto carina.

Bruno si sedette sul bordo del letto accanto a lei. «Dov’è Katherine?»

Lei battè le palpebre. Una lacrima le scivolò dall’angolo dell’occhio. Stava piangendo, ma in assoluto silenzio, nel timore che un gemito o un sussulto spingesse quell’uomo a pugnalarla.

Lui ripetè la domanda: «Dov’è Katherine?»

«Te l’ho già detto, non conosco nessuno di nome Katherine,» rispose. Parlava a scatti, con voce tremante; ogni parola le costava un’enorme fatica. Le morbide labbra sensuali continuavano a fremere.

«Sai a chi mi riferisco,» l’aggredì brutalmente. «Non cercare di fare la furba con me. Ora si fa chiamare Hilary Thomas.»

«Ti prego. Ti prego… lasciami andare.»

Frye alzò il coltello all’altezza dell’occhio destro, con la punta diritta verso la pupilla dilatata. «Dov’è Hilary Thomas?»

«Oh Gesù,» gemette. «Senti, c’è qualcosa che non quadra. È un errore. Stai compiendo un madornale errore.»

«Vuoi rimetterci un occhio?»

Sally aveva la fronte imperlata di sudore.

«Vuoi diventare mezza cieca?» insistè.

«Non so dove sia,» mormorò Sally.

«Non mentirmi.»

«Non sto mentendo. Ti giuro di no.»

La fissò per alcuni secondi.

Goccioline di sudore si erano raccolte sopra le labbra.

Allontanò il coltello dagli occhi.

Lei ne fu visibilmente sollevata.