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«San Francisco,» propose Tony. «Pare che ci andasse regolarmente.»

«Qualsiasi città nella parte settentrionale dello stato,» proseguì Hilary. «Ovunque potesse passare inosservato, lontano da Napa Valley.»

«Aspettate,» sbottò Joshua. «Aspettate un attimo. Anche ammesso che si sia mosso da qui e abbia incontrato donne che assomigliavano vagamente a Katherine, anche ammesso che le abbia uccise in qualche altra città, be’, comunque avrebbe dovuto lasciare dietro di sé dei cadaveri. E ci sarebbe stato un legame fra i vari delitti, qualche analogia che le autorità avrebbero sicuramente individuato. Avrebbero ricercato un nuovo Jack lo Squartatore. E lo avremmo letto sui giornali.»

«Se gli omicidi sono stati compiuti in un arco di tempo di cinque anni e in città diverse, probabilmente la polizia non li avrà collegati,» spiegò Tony. «Lo stato è molto grande. Centinaia di migliaia di chilometri quadrati. Ci sono centinaia e centinaia di organizzazioni di polizia ma spesso le informazioni non passano da un gruppo all’altro. In realtà esiste solo un modo sicuro per riconoscere i legami esistenti fra omicidi apparentemente diversi: almeno due o tre dei delitti devono avvenire in un breve lasso di tempo e all’interno della stessa giurisdizione di polizia, nella stessa zona o città.»

Hilary si allontanò dalla scrivania e ritornò sul divano. «Quindi è possibile,» mormorò sentendosi gelare. «È possibile che abbia massacrato due, sei, dieci, quindici o forse più donne nel corso degli ultimi cinque anni e che io sia stata l’unica a dargli qualche problema.»

«Non è solo possibile, ma anche probabile,» intervenne Tony. «Direi che possiamo tenerlo presente.» La fotocopia della lettera trovata nella cassetta di sicurezza era sul tavolino davanti a lui. La prese e lesse a voce alta la prima frase. «’Mia madre, Katherine Anne Frye, è morta cinque anni fa, ma continua a ritornare in vita in corpi diversi.’»

«Corpi,» precisò Hilary.

«E questa la parola chiave,» continuò Tony. «Non corpo al singolare. Corpi al plurale. Da questo possiamo dedurre che l’ha uccisa in diverse occasioni e che pensava fosse ritornata dall’inferno più di una volta.»

Iò volto di Joshua era cadaverico. «Ma se avete ragione… io ho… tutti noi a St. Helena abbiamo vissuto accanto a un… mostro malvagio e crudele. E non lo sospettavamo neppure!»

Tony assunse un’espressione severa. «’La Bestia dell’Inferno cammina fra noi nei panni di un uomo comune.’»

«Da dove l’ha presa?»

«Ho una memoria prodigiosa,» rispose Tony. «È difficile che dimentichi qualcosa, per quanti sforzi faccia. Ricordo di aver udito questa frase durante una lezione di catechismo, molto tempo fa. L’ha scritta un santo, ma non so esattamente chi. ‘La Bestia dell’Inferno cammina fra noi nei panni di un uomo comune. Se il Demonio dovesse rivelare il suo vero volto quando ti sei allontanato da Cristo, allora saresti senza protezione e lui potrebbe divorarti il cuore e spezzarti le gambe per trascinare la tua anima immortale nel pozzo più profondo.’»

«Mi sembra Latham Hawthorne,» mormorò Joshua.

Fuori il vento continuava a sibilare.

Frye appoggiò il coltello sul comodino, lontano dalla portata di Sally. Poi l’afferrò per i risvolti del grembiule e tirò con violenza. I bottoni saltarono.

Lei era paralizzata dal terrore. Non oppose alcuna resistenza, non poteva.

Lui le sorrise e ringhiò: «Coraggio, Madre. Adesso mi prendo la rivincita.»

Le strappò il vestito di dosso e scostò i lembi di lato. La scoprì, facendola restare in reggiseno, slip e collant. Un bel fisico snello. Afferrò le coppe del reggiseno e tirò verso il basso. Le spalline le penetrarono nella pelle prima di spezzarsi. Il tessuto si ruppe e l’elastico saltò.

Per la sua struttura, aveva seni anche troppo grossi, rotondi, con capezzoli larghi e raggrinziti. Glieli stritolò.

«Sì, sì, sì, sì, sì!» Quelle esclamazioni, pronunciate con la sua voce profonda e gracchiante, acquisirono una sfumatura sinistra, simile a una litania satanica.

Le strappò di dosso le scarpe e le gettò da parte. Una delle due finì contro lo specchio che andò in frantumi.

Lo schianto del vetro rotto scosse la ragazza dal suo stato di trance catatonico e fu allora che cercò di ritrarsi, ma la paura le toglieva ogni forza. Continuò a dimenarsi e ad agitarsi inutilmente contro di lui.

Senza alcuna difficoltà, Frye riuscì a immobilizzarla, colpendola con tanta violenza da farle spalancare la bocca e strabuzzare gli occhi. Dall’angolo delle labbra cominciò a scorrerle un rivolo di sangue che scivolò lungo il mento.

«Brutta troia schifosa!» la insulto infuriato. «Niente sesso, eh? Dicevi che non avrei mai potuto scopare, vero? Niente sesso, eh? Dicevi che non potevo correre il rischio che un’altra donna scoprisse chi sono in realtà. Be’, tu ormai sai già chi sono, Madre. Conosci già il mio segreto. A te non ho più niente da nascondere. Saprai già che sono diverso dagli altri uomini. Sai già che il mio cazzo è diverso. Sai chi era mio padre. Tu lo sai. Sai anche che il mio cazzo è uguale al suo. Non devo cercare di nascondertelo, Madre. E adesso te lo ficco dentro, Madre. Tutto dentro. Hai sentito bene?»

La donna aveva iniziato a piangere, scuotendo il capo. «No, no, no! Oh, Dio!» Ma poi riprese il controllo, incrociò il suo sguardo e lo fissò con intensità (dietro quegli occhi scuri che lo scrutavano Bruno intravide Katherine). «Ascoltami, ti prego, ascoltami,» lo implorò. «Tu sei malato, molto malato. Hai la mente confusa. Hai bisogno di aiuto.»

«Chiudi il becco! Chiudi il becco!»

La colpì con più forza, con un movimento ad arco della mano.

La violenza lo eccitava, così come il suono di ogni singolo colpo, i suoi gemiti e i suoi lamenti da usignolo, la sua pelle tenera che si arrossava e si gonfiava. La vista di quel viso contorto dal dolore e gli occhietti da coniglio spaventato alimentarono le fiamme della sua già incontenibile lussuria.

Tremava dalla voglia, tremava, vibrava e sussultava. Sbuffava come un toro. Gli occhi erano spalancati. La bocca si stava riempiendo di saliva, tanto da dover deglutire con frequenza per evitare di sputarle addosso.

Le maltrattò i seni, strizzandoli e martoriandoli.

Ritiratasi nel suo dolore, Sally era ricaduta nello stato di semitrance, immobile e irrigidita.

Da una parte Bruno la odiava e non gliene importava niente di farle del male. Anzi, voleva farle del male. Voleva che soffrisse per quello che gli aveva fatto passare e soprattutto per averlo messo al mondo.

D’altro canto, provava anche vergogna a toccare i seni di sua madre, a penetrarla con il suo pene. Quindi, toccandola goffamente, cercò di spiegare e giustificare le sue azioni. «Sei stata tu a dire che, nel caso mi fosse venuta voglia di fare l’amore, qualsiasi donna si sarebbe accorta che non ero umano. Sei stata tu a dire che chiunque si sarebbe accorto della differenza. Che qualsiasi donna avrebbe chiamato la polizia, che mi avrebbe fatto arrestare e spedito a bruciare sul rogo, a causa del padre che mi ritrovo. Ma tu sai già tutto. Per te non ci saranno sorprese, Madre. Per questo posso usare il cazzo con te. Posso ficcartelo dentro tutto e nessuno potrà bruciarmi vivo.»

Non gli era mai venuto in mente di infilarglielo dentro quando era ancora in vita. L’aveva sempre intimidito. Ma quando l’aveva vista tornare dalla tomba nel suo nuovo corpo, Bruno si era sentito liberato, pieno di coraggio e di idee nuove. Si era reso subito conto che sarebbe stato necessario ammazzarla per evitare che lo sopraffacesse una seconda volta o che lo trascinasse con sé nella bara. Ma sapeva anche di poterla scopare senza correre alcun rischio, perché lei ormai conosceva il suo segreto. Del resto era stata lei a raccontargli la verità sul suo conto. Lei sapeva che suo padre era stato un demonio, una cosa immonda e ripugnante, perché era stata violentata e fecondata da quella creatura inumana contro la sua volontà. Durante la gravidanza aveva indossato solo guaine sovrapposte per nascondere il suo stato e quando era arrivato il momento di partorire, se n’era andata a San Francisco per farsi assistere da una levatrice discreta e silenziosa. Poi aveva raccontato a tutti che Bruno era il figlio illegittimo di una vecchia compagna del college. La madre era morta subito dopo aver dato alla luce il figlio e come ultimo desiderio aveva chiesto che fosse Katherine a occuparsi dell’orfanello. Aveva così portato a casa il bambino, fingendo di averne ottenuto legalmente la custodia. Aveva vissuto nel terrore costante che qualcuno potesse scoprire che Bruno era effettivamente figlio suo e che suo padre non era umano. Il pene era una delle caratteristiche che lo bollavano come figlio del demonio. Aveva un pene diabolico, diverso da quello degli altri uomini. Avrebbe dovuto nasconderlo per sempre, altrimenti l’avrebbero scoperto e bruciato sul rogo. Katherine gli aveva raccontato tutto fin dall’inizio, fin dai tempi in cui era ancora troppo giovane per capire il significato del pene. Quindi, in un certo senso, lei era diventata la sua benedizione e, allo stesso tempo, la sua maledizione. Una maledizione perché continuava a resuscitare per riprenderlo sotto il suo controllo o ammazzarlo. Ma era anche una benedizione perché, se lei avesse smesso di tornare in vita, lui non avrebbe più avuto nessuno in cui schizzare le gigantesche e bollenti quantità di seme e sarebbe stato condannato alla castità. Ecco perché, mentre una parte di lui assisteva alle sue resurrezioni con orrore e indignazione, l’altra parte non vedeva l’ora di incontrarla nel nuovo corpo che sarebbe andata a occupare.